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Sito telematico dedicato all'informazione, al confronto, al dibattito sui problemi connessi con il primo CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI – a cura del D.S. Paolo Quintavalla  in servizio presso la Direzione Didattica 3° Circolo di Parma - In Rete dal maggio 2000 –

 

 

 

 

 

La formazione nell'intesa sindacati confindustria del 19 giugno

 

Fonte: sito web Cgil Scuola – 24 giugno 2003

Tra le quattro priorità individuate nell’Intesa bilaterale tra CGIL CISL UIL e Confindustria siglata il19 giugno scorso, la formazione assume un ruolo rilevante. Al cuore dei problemi italiani di sviluppo e competitività vi è, infatti, l’esigenza di un modello di specializzazione produttiva in grado di competere in termini di qualità ed innovazione sul mercato globale, il cui sviluppo richiede “una diffusa formazione e riqualificazione delle persone che lavorano, nonché un elevato livello d’istruzione a partire dai giovani”. Se, infatti, negli ultimi decenni sono stati registrati notevoli progressi nell’innalzamento dei livelli d’istruzione dei giovani – attualmente il tasso dei 19enni diplomati sfiora il 70%-, permangono, ancora, rilevanti gap tra la situazione Italiana e la media europea per quanto riguarda il livello d’istruzione della popolazione adulta, i tassi di dispersione scolastica e i livelli di partecipazione alla formazione continua, soprattutto tra le fasce debole della popolazione.
Sulla base delle priorità fissate dal Summit europeo di Lisbona del marzo 2000, l’Intesa definisce, quindi, obiettivi e proposte che riprendono impegni già presenti in accordi precedenti, ma introducono, anche, importanti novità sulle quali sarà necessario avviare ulteriori riflessioni ed approfondimenti.
Vale, comunque, la pena di soffermarsi da subito su alcune questioni, che assumono una significatività maggiore se confrontate con le attuali politiche governative in tema d’istruzione e formazione. Se, infatti, obiettivo primario del Miur è quello della netta separazione tra canale dell’istruzione e della formazione, l’Intesa riafferma il modello della connessione tra istruzione, formazione e lavoro; il potenziamento delle politiche di orientamento e d’integrazione, che devono interessare tutto il sistema formativo, dai licei alla formazione professionale e all’università, e la formazione permanente, e il rafforzamento dell’area tecnico-professionale del sistema formativo.
Così, mentre la legge 53 cerca di escludere le organizzazioni sindacali da temi anche di loro competenza come la formazione in alternanza scuola e lavoro, l’Intesa rivendica la necessità di un maggiore coinvolgimento del sistema sociale e produttivo nella formazione, il potenziamento del ruolo degli Organismi Bilaterali a livello nazionale e regionale nelle politiche formative, attraverso il rafforzamento dei rapporti come le istituzioni, e del confronto con il Governo per l’attuazione delle leggi di riforma in atto.
Un altro aspetto interessante ed innovativo dell’Intesa è sul piano del metodo.. Per la prima volta, infatti, si definiscono (finalmente!) obiettivi quantitativi, di cui si chiede al governo il raggiungimento entro il 2010 previo verifiche in itinere: una percentuale di giovani 20enni diplomati o in possesso di qualifica pari all’85%; l’aumento del 30% del tasso di partecipazione degli adulti a percorsi d’istruzione o formazione; l’incremento del 30% dell’aziende che dedicano un preciso investimento ala formazione e il dimezzamento del tasso di abbandono scolastico tra i 14-19 anni.
Altri obiettivi da fissare a livello nazionale devono essere l’aumento pro capite degli investimenti pubblici e privati nelle risorse umane nonché l’aumento in numero assoluto di studenti ed adulti in formazione.
L’accordo sullo sviluppo occupazione e competitività è stato inviato al Governo per il necessario confronto in vista del DPEF e sarà altresì inviato a tutte le forze politiche, perché il Parlamento avvii una sessione straordinaria di discussione su tali temi e alle istituzioni locali, a sostegno dei tavoli di confronto aperti sui fabbisogni di intervento e di programmazione negoziata per lo sviluppo delle singole aree. Un percorso tutto in salita che richiede capacità propositive, momenti di confronto e di mobilitazione, ma che al momento rende giustizia delle posizioni e delle mobilitazioni della CGIl nel cercare di contrastare un declino produttivo ed economico da tempo denunciato.

 

ACCORDO

PER LO SVILUPPO, L’OCCUPAZIONE E LA COMPETITIVITA’
DEL SISTEMA ECONOMICO NAZIONALE:
PRIORITA’ CONDIVISE IN MATERIA DI POLITICHE PER LA RICERCA,
LA FORMAZIONE, LE INFRASTRUTTURE E IL MEZZOGIORNO

PREMESSA

CGIL CISL UIL e CONFINDUSTRIA, sottoscrivono il presente Accordo con la duplice finalità di consolidare, da un lato, una prassi di relazioni industriali finalizzate allo sviluppo economico del paese e alla crescita occupazionale, dall'altro per avanzare su alcuni specifici argomenti dettagliate proposte di merito.

Anche alla luce della situazione economica interna ed internazionale, le parti sottolineano l'urgenza e la necessità di politiche pubbliche, a livello comunitario e nazionale, finalizzate non solo alla riduzione dell'inflazione e alla riduzione del debito ma anche al rafforzamento della competitività e a favore degli investimenti, necessari complementi dell'impianto del Protocollo del luglio 1993 sulla politica dei redditi.

La competitività del sistema economico è infatti in questo momento la principale questione che il nostro paese deve affrontare. I dati della perdita di competitività (bassi tassi di crescita e di sviluppo della produttività, perdita di quote commerciali, bassi tassi di occupazione, rallentamento della crescita del reddito pro capite) che si è gradualmente cumulata a partire dalla metà del decennio scorso, sono ormai ampiamente noti.

Solo una crescita più forte e di migliore qualità, unita a robusti incrementi del livello di occupazione, potranno risolvere gran parte dei nodi strutturali e migliorare ulteriormente le condizioni sociali del nostro paese. E’ importante che tutte le forze politiche, le organizzazioni sindacali e le organizzazioni di rappresentanza delle imprese,condividano questi obiettivi. Riportare il nostro paese su un percorso di sviluppo richiede infatti uno sforzo in termini di migliore allocazione delle risorse disponibili, di maggiore efficienza del loro utilizzo, di maggiori investimenti in capitale fisico e sulle persone, di modernizzazione e qualificazione dei mercati tra cui quelli finanziari, dei servizi e del lavoro, di ampliamento della concorrenza, di maggiore efficienza ed efficacia della pubblica amministrazione.

In questo spirito, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno trovato una posizione comune su alcuni punti essenziali di politica di sviluppo: ricerca, formazione, infrastrutture e Mezzogiorno.


Questi punti non esauriscono tutte le tematiche di una manovra complessiva di politica economica, rispetto alla quale rimangono le diverse posizioni delle quattro organizzazioni, che al riguardo mantengono la naturale autonomia di azione e di confronto fra di loro e con le forze politiche.

Si formula tuttavia l’auspicio che le quattro priorità condivise costituiscano un’utile base per il confronto tra le parti sociali e il Governo e che quest’ultimo ne recepisca i contenuti nel nuovo Documento di Programmazione Economico e Finanziaria e nella Legge Finanziaria 2004. Analogo confronto andrà svolto con i Gruppi parlamentari.

Le priorità individuate sono tra loro integrate. Al cuore dei problemi italiani di sviluppo e competitività vi è infatti l’esigenza di un nostro modello di specializzazione produttiva, oggi più debole nei settori ad elevato contenuto di innovazione e di ricerca, in misura crescente esposto alla competizione di prezzo, e in prospettiva anche a quella sulla media qualità, da parte dei paesi di nuova industrializzazione.

Adattare ai nuovi contesti tale modello richiede un salto nel livello degli investimenti, pubblici e privati, in ricerca e sviluppo. Lo sviluppo e l’applicazione efficiente delle nuove tecnologie richiede una diffusa formazione e riqualificazione delle persone che lavorano, nonché un elevato livello di istruzione a partire dai giovani.

In un quadro in cui le piccole e medie imprese costituiscono la base fondamentale del nostro sistema economico, l’accrescimento tecnologico richiede in prospettiva anche più imprese di maggiori dimensioni. Occorre creare le condizioni generali affinché, come avviene nella maggior parte dei paesi, le imprese di piccole dimensioni crescano proprio in virtù del loro successo. Sono processi di lungo periodo. Per questo sono di fondamentale importanza gli investimenti in infrastrutture capaci di migliorare il contesto in cui si insediano le attività economiche a partire da quelle di comunicazione e di trasporto, che facciano ampio ricorso alle tecnologie dell’informazione per accrescere la capacità del nostro sistema di piccole imprese di fare rete su scala nazionale e in tal modo accrescere la propria competitività.

Per quanto riguarda, infine la tutela e la valorizzazione del patrimonio produttivo esistente, è opportuna l’attività svolta dagli osservatori di settore previsti dai CCNL, anche in relazione con quelli operanti o in via di insediamento presso il competente Ministero, per un attento monitoraggio delle prospettive di settori, territori e distretti. Inoltre per far fronte alle emergenze va rafforzato il ruolo del Comitato per l’Occupazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri come tavolo di diagnosi e pronto intervento nelle situazioni di crisi aziendale o settoriale.

SINTESI DEGLI OBIETTIVI E DELLE PROPOSTE

Ricerca e innovazione. Le proposte mirano a definire una politica di medio-lungo periodo della Ricerca e Innovazione che, attraverso un giusto equilibrio tra ricerca fondamentale e ricerca applicata, assicuri al nostro paese un’autonoma capacità di innovazione derivante dalle nuove conoscenze scientifiche. Le proposte operative riguardano la fissazione di obiettivi di medio periodo di spesa pubblica per la R&S, le modalità per assicurare risorse adeguate al rilancio della Ricerca e Innovazione, attraverso l’elevamento graduale della percentuale sul PIL della spesa per la ricerca e la riattivazione del finanziamento delle leggi in materia.

Parallelamente, sono proposti interventi per qualificare la spesa, i meccanismi di valutazione dei progetti, e i collegamenti tra settore pubblico e privato. Le misure indicate riguardano la qualificazione della domanda pubblica, una maggiore efficienza del sistema degli incentivi pubblici alla ricerca privata attraverso interventi di defiscalizzazione e di finanziamenti su progetti di R&S, la riforma del sistema pubblico della Ricerca, adeguate politiche regionali di diffusione delle innovazioni, l’attrazione di imprese ad alta e media tecnologia nel Mezzogiorno, la creazione di nuove imprese nei settori ad alta tecnologia, la revisione della normativa sui brevetti, lo sviluppo della società dell’informazione.

Formazione. Gli obiettivi prioritari proposti riguardano essenzialmente: il sostegno delle scelte professionali e formative dei giovani e degli adulti, la definizione di un sistema integrato in grado di migliorare l’intera gamma degli strumenti di collaborazione tra scuola, formazione e mondo del lavoro. Occorre poi rispondere alla domanda di professionalità delle imprese e dei lavoratori, rafforzare l’area tecnico – professionale del sistema formativo, promuovere l’integrazione tra scuola, università, formazione e lavoro nella formazione permanente, razionalizzare l’utilizzo delle diverse indagini sui fabbisogni professionali e formativi realizzate dalle parti sociali e da altri soggetti istituzionali; favorire un allargamento e un utilizzo strategico delle risorse per la formazione continua nel cui ambito potranno operare con maggiore efficacia anche gli interventi promossi da Fondimpresa; realizzare un sistema efficace e flessibile, nazionale e decentrato di accreditamento delle strutture formative, di definizione degli standard e di certificazione delle competenze delle persone. Vengono inoltre adottati alcuni obiettivi quantitativi da verificare periodicamente secondo scadenze concordate.

Infrastrutture. Gli investimenti infrastrutturali rappresentano un passaggio fondamentale per una strategia tesa a restituire competitività al sistema Italia. Particolare importanza assumono, in una logica di coesione economica e sociale europea, le grandi opere infrastrutturale di collegamento transeuropeo e le connesse opere nazionali di interesse europeo, la cui importanza strategica dovrà imporre calendari, responsabilità e risorse precisi e predeterminati.

Contestualmente vanno rafforzate le condizioni di legalità e sicurezza negli appalti e la regolarità delle condizioni di lavoro.

Insieme a tali grandi interventi, pari importanza assumono gli investimenti sulle reti idriche ed energetiche e su quelle di comunicazione elettronica a banda larga: queste ultime, in particolare, devono trovare collocazione in una vera e propria politica delle telecomunicazioni che dovrà salvaguardare soprattutto la capacità di R&D, di progettazione e di industrializzazione.

Per quanto riguarda le politiche del settore energetico, le parti ritengono ormai mature le condizioni per la costituzione, in tempi brevi, di un tavolo di concertazione per definire una strategia condivisa, coerente con le evoluzioni della domanda e dell'offerta e con l'esigenza di promuovere la ricerca, l'innovazione e la qualità ambientale, con particolare attenzione alla evoluzione degli assetti istituzionali per effetto delle modifiche costituzionali.

Le parti si propongono di esercitare un ruolo attivo nel governo delle liberalizzazioni, in un quadro di regole definite nei servizi pubblici e per l’autotrasporto.

Mezzogiorno. Gli Obiettivi del Consiglio Europeo di Lisbona, la prospettiva dell'allargamento e la creazione dello spazio euromediterraneo costituiscono lo scenario in cui si deve inserire la politica di sviluppo del Mezzogiorno dei prossimi anni, puntando alla chiusura dei principali indicatori di divario, primo tra tutti il divario infrastrutturale e di servizi pubblici tra Mezzogiorno e resto del Paese.

Al di la della tipologia degli investimenti, è fondamentale rafforzare l'integrazione delle fonti finanziarie individuando le opere che ci si impegna già da ora a finanziare con il prossimo ciclo di programmazione dei fondi strutturali, in maniera tale da assicurare copertura e coerenza dei tempi.

La promozione di investimenti immateriali (formazione e ricerca) e di migliori condizioni di contesto per favorire gli investimenti (in particolare credito, legalità ed efficienza della Pubblica Amministrazione) sono parti essenziali di tale strategia, così come il sostegno forte alla promozione ed al consolidamento dell'imprenditorialità, che deve passare attraverso il necessario riordino degli incentivi che realizzi un quadro di convenienze di natura permanente e sia finalizzato all’attrazione degli investimenti

Le parti firmatarie sottolineano la necessità di un rafforzamento e di una razionalizzazione degli strumenti di programmazione territoriale negoziata per la promozione dello sviluppo locale all'interno di Accordi di Programma Quadro da aprire al coinvolgimento del partenariato economico e sociale.

All'interno di tale assetto territoriale deve trovare collocazione il nuovo strumento del Contratto di localizzazione, orientato alla attrazione degli investimenti che dovrà essere, superata la prima fase di sperimentazione, una delle principali priorità dell'azione in favore del Mezzogiorno.

Dal punto di vista delle risorse, il punto di riferimento è costituito dal "Quadro finanziario unico pluriennale", che definisce il profilo dei valori programmatici di spesa in conto capitale di cassa della Pubblica Amministrazione fino al 2008 per ciascuna fonte finanziaria (risorse ordinarie, aggiuntive "aree depresse", comunitarie) precisando che la spesa per gli investimenti nel Mezzogiorno dovrà essere costantemente al di sopra del 45% della spesa totale nei prossimi anni.

POLITICHE AMBIENTALI

Gli obiettivi dello sviluppo, della competitività e della crescita dell’occupazione, devono essere perseguiti tenendo conto anche della sostenibilità ambientale, integrando le relative politiche nelle dinamiche di mercato.

Accanto agli investimenti finalizzati alla modernizzazione delle politiche ambientali per il sistema economico e produttivo del paese, occorrerà promuovere e sviluppare i nuovi strumenti gestionali indicati dalla Commissione Europea, primo fra tutti la certificazione ambientale.

A tal fine le parti si adopereranno congiuntamente per promuovere e realizzare interventi informativi e formativi verso le rispettive rappresentanze sui temi della certificazione ambientale. Le parti solleciteranno altresì il Governo ad individuare le modalità più efficienti di realizzazione degli interventi di diretta valenza ambientale, in particolare riguardo alla attività di bonifica dei siti industriali inquinati, alla gestione delle risorse idriche, allo sviluppo di un sistema integrato di gestione dei rifiuti, agli interventi per la difesa del suolo, capaci di favorire lo sviluppo di una dimensione industriale di queste attività.

Infine, le parti sono interessate a proseguire il confronto sulle politiche ambientali, mirato anche a favorire la possibile definizione di proposte comuni in occasione del DPEF e della Legge Finanziaria e di specifiche questioni anche di carattere internazionale.

Roma, 19 giugno 2003

 

CONFINDUSTRIA

CGIL

 

CISL

 

UIL

 

In allegato i 4 documenti.

  1. Politiche per la ricerca e l'innovazione
  2. Politiche per la formazione e la valorizzazione delle risorse umane
  3. Politiche per le infrastrutture e la competitivita' territoriale
  4. Politiche per il mezzogiorno

POLITICHE PER LA RICERCA E L’ INNOVAZIONE

PRINCIPI DI RIFERIMENTO

I processi di globalizzazione in corso stanno rapidamente mutando gli scenari di evoluzione sociale ed economica, i paradigmi e le regole che hanno presieduto allo sviluppo. L’accresciuta competitività sul mercato nazionale e internazionale è collegata alla crescita esponenziale delle conoscenze - in termini di scienza, cultura, innovazione e trasferimento tecnologico - che fanno del cosiddetto “capitale immateriale” un fattore decisivo. Le imprese sono spinte a introdurre processi di medio-lungo periodo di innovazione e di crescita delle professionalità dei lavoratori per realizzare prodotti qualitativamente competitivi, che integrino nuove soluzioni tecnologiche e nuovi materiali.

Nel medio periodo è ormai chiaro che solo un processo di ricerca e di innovazione continuo ed intenso è in grado di assicurare una crescita quantitativa e qualitativa dell’occupazione ed un aumento della produttività e del reddito pro capite.

La collocazione del nostro paese in coda alle più recenti graduatorie compilate dalla Commissione Europea, denuncia uno sviluppo senza ricerca e un ulteriore allontanamento dai grandi paesi industrializzati, non solo per quanto attiene ai settori high tech ma anche ai settori tradizionali che specializzano il sistema produttivo italiano D’altro canto le Finanziarie degli ultimi anni non hanno contribuito a recuperare il gap rispetto ai principali paesi industriali. Nel biennio 2002-2003 le risorse per la ricerca hanno subito una significativa riduzione.

Per collocare stabilmente l’Italia tra i paesi maggiormente industrializzati, favorendo la qualità e la sostenibilità dello sviluppo, è necessario adottare una più chiara ed efficace politica industriale, centrata sulla ricerca e innovazione tecnologica, come motore dello sviluppo. Una politica che miri ad introdurre ottimali condizioni di contesto, nel settore pubblico e in quello privato, e corretti meccanismi di incentivazione, per avviare un circolo virtuoso di crescita qualitativa e quantitativa del nostro sistema produttivo.

Del resto le più recenti statistiche dell’Istat relative alla spesa per R&S delle imprese e la crescente propensione delle piccole e medie imprese italiane a partecipare ai programmi di agevolazione alla ricerca, nazionali e europei, indicano una maggiore sensibilità all’innovazione tecnologica.

Nel nostro paese, come in tutti i paesi avanzati, la domanda di ricerca e innovazione è stata trainata prevalentemente dalle grandi imprese, pubbliche e private, per loro natura le più idonee a introdurre innovazioni radicali e nuove professionalità. Una politica industriale centrata sulla ricerca e sull’innovazione deve pertanto porsi l’obiettivo della crescita dimensionale delle imprese italiane In questo quadro vanno inoltre individuate misure tese a incentivare l’apertura del capitale di rischio.

Con tali politiche, il nostro paese deve collocarsi con maggiore decisione e autorevolezza all’interno delle scelte dell’Unione Europea per la costruzione - decisa a Lisbona e recentemente riconfermata dalla Commissione Europea - di uno “Spazio europeo della ricerca” volto ad avviare un governo unitario delle strategie scientifiche e tecnologiche. L’Europa della ricerca mira a raccordare le scelte dei paesi membri, per costruire sinergie e massa critica adeguate a far fronte alla difficile competizione con gli altri attori internazionali e a promuovere una ricerca più interdisciplinare, più internazionale e con un maggiore collegamento tra ricerca di base e ricerca applicata.Un forte sostegno alla ricerca fondamentale, infatti, è necessario anche per un’innovazione tecnologica di qualità, in grado di sostenere la competitività delle imprese nei mercati internazionali.

Ciò richiede che anche il nostro paese incrementi le risorse destinate complessivamente alla Ricerca & Innovazione e incentivi un rapporto stabile tra ricerca pubblica e imprese all’interno di un sistema nazionale integrato e centrato su un processo di programmazione degli obiettivi strategici – autonomia nella gestione – valutazione dei risultati.

In questo quadro, occorre promuovere sia una maggiore cultura della valutazione, che pervada tutto il sistema della ricerca pubblica e privata, con riferimento soprattutto alla gestione delle risorse per il supporto all’innovazione, sia una cultura della collaborazione tra il mondo della ricerca e il mondo delle imprese.

Il sistema produttivo del nostro paese è caratterizzato da una presenza eccezionale e ben più alta che in altri paesi dell’UE, della piccola e piccolissima impresa. Pertanto - ferma restando la necessità di rafforzare l’attività di ricerca svolta dalle grandi imprese private e di salvaguardare i patrimoni di conoscenze acquisiti dalle imprese pubbliche operanti nei settori ad alta tecnologia - ciò richiede che si realizzino interventi specifici per il sostegno a questo decisivo settore, sia in termini di politiche regionali e locali per lo sviluppo dell’innovazione, in coerenza con il nuovo assetto federalista scaturito dalla riforma del titolo V della Costituzione, sia in termini di specifiche modalità di sostegno economico, più rapide ed efficaci.

Non si tratta quindi soltanto di rifinanziare le leggi di sostegno alla ricerca e innovazione e di rivedere i meccanismi di valutazione ed erogazione finanziaria - cosa certamente necessaria - ma anche di introdurre interventi che favoriscano nel territorio la nascita di sedi di incontro tra domanda di innovazione e competenze disponibili, aggregazioni di imprese finalizzate all’innovazione, processi sia negoziali sia gestiti in autonomia che favoriscano l’integrazione delle risorse pubbliche e private. Fondamentale in questo senso è l’obiettivo di costruire un sistema integrato a rete, all’interno del quale le imprese, soprattutto piccole e medie - associate o consorziate in relazione ad un comune obiettivo di innovazione - possano trovare nelle università, negli enti e nei centri di ricerca pubblici le risorse immateriali indispensabili per innovare prodotti e conquistare competitività.

In sintesi, un disegno di programmazione, sostenuto da un forte investimento economico dovrebbe ridefinire una complessiva governance del sistema, costituendo una sede di relazioni integrate di indirizzo. Un’adeguata governance dovrebbe esplicitare la missione ed i macro obiettivi del "sistema ricerca" traducendoli in competenze, funzioni e regole certe, in un quadro complessivo di unitarietà di obiettivi.

Occorre infatti, superare l’attuale frammentarietà delle competenze e duplicazioni degli interventi sia tra Ministeri, sia tra il livello nazionale e il livello regionale.

Dal punto di vista strategico è necessario operare in due direzioni:

  • tradurre in obiettivi e filoni di impegno integrato le aree di ricerca pubblica, concentrando risorse in pochi grandi progetti di respiro europeo
  • tradurre in concreto l’auspicato meccanismo di sinergie fra sistema pubblico e privato, fra ricerca e innovazione, fra ricerca, innovazione e territorio.

Sull’insieme di tali temi - relativi ai processi di riforma istituzionale e alle priorità delle politiche di sostegno economico alle imprese - al fine di integrare le politiche industriali e di sviluppo tra i diversi Ministeri, tra Stato e Regioni e con la domanda espressa dalle parti sociali, è opportuno costituire presso il MIUR un tavolo stabile di confronto, composto, oltre che dal MIUR stesso, dagli altri Ministeri maggiormente coinvolti, dalla rappresentanza delle Regioni e delle Autonomie Locali, e dalle parti sociali maggiormente rappresentative.

OBIETTIVI

  • Definire una politica di medio-lungo periodo della Ricerca e Innovazione che, attraverso un giusto equilibrio tra ricerca fondamentale e ricerca applicata, assicuri al nostro paese un’autonoma capacità di innovazione derivante dalle nuove conoscenze scientifiche, in stretto raccordo con le politiche dell’UE.
  • Nell’ambito di una chiara priorità assegnata alla ricerca e innovazione, assicurare la certezza delle risorse umane e finanziarie e degli strumenti disponibili creando le condizioni ottimali per favorire investimenti in Ricerca & Innovazione, procedendo al riequilibrio Nord-Sud e stimolando il protagonismo degli attori locali.
  • Confermare e rafforzare la partecipazione del nostro paese ai progetti europei - a partire dal VI Programma Quadro - e internazionali.
  • Garantire il finanziamento delle Linee Guida per il Piano Nazionale della Ricerca, assicurando il rilancio sia della ricerca fondamentale, sia di quella applicata e in questo quadro rafforzare la nostra presenza nei settori ad alta tecnologia. Occorre anche verificare i finanziamenti del Piano Spaziale Nazionale, che può consentire importanti ricadute sulle infrastrutture e sul sistema produttivo.
  • Promuovere la ricerca e l’innovazione in settori particolarmente strategici per il miglioramento della qualità della vita dei cittadini, quali la salute, l’ambiente, l’energia, l’agricoltura e l’alimentazione, i beni culturali.
  • Rafforzare i settori ad alta intensità di conoscenza e tecnologia, mobilitando e coordinando i soggetti che promuovono il trasferimento tecnologico.
  • Favorire l’evoluzione del nostro sistema produttivo operante nei settori tradizionali verso linee di prodotto e fasi produttive a maggiore intensità tecnologica.
  • Migliorare l’efficienza del sistema di ricerca pubblica e di alta formazione, assicurando un livello qualitativo adeguato del sistema nazionale, valorizzando e potenziando le eccellenze, favorendo la diffusione di una cultura di collaborazione con il sistema privato. Gli interventi mirati a migliorare l’efficienza della ricerca pubblica non devono, d’altro canto, ridurne l’autonomia e la creatività scientifica.
  • Incrementare il numero degli addetti (ricercatori e tecnici), per superare il gap con i principali paesi avanzati, anche con politiche formative adeguate a incentivare la scelta verso il mondo della ricerca.
  • Assicurare la disponibilità delle competenze necessarie attraverso un eccellente sistema di istruzione e formazione, che preveda l’integrazione tra conoscenze e abilità, sia decentrato e consenta la personalizzazione dell’offerta formativa, attraverso l’esigibilità dei crediti formativi comunque acquisiti, in un’ottica di “life long learning”, come raccomanda l’Unione Europea.

L’insieme di tali obiettivi richiede un profondo cambiamento delle politiche adottate in questi ultimi anni.


PROPOSTE

1) Assicurare risorse adeguate al rilancio della Ricerca e Innovazione

 

Il Consiglio Europeo di Barcellona ha fissato l’obiettivo di una spesa per R&S complessiva, pubblica e privata, pari al 3% del Pil nella media europea, entro il 2010 e confermato dal recente Piano di Azione della Commissione Europea. Coerentemente con tale obiettivo, è necessaria una politica di programmazione che preveda risorse adeguate e gradualmente crescenti per qualificare il sistema di ricerca pubblico e stimolare la spesa di ricerca del settore privato.

 

  • In questo contesto, affinché sia credibile il raggiungimento dell’obiettivo dell’1% di spesa pubblica rispetto al Pil entro il 2006 , fissato nelle Linee Guida per il Pnr, approvato dal Governo nell’aprile del 2002, è fondamentale che siano stabiliti, fin da ora, per ogni anno di legislatura, gli obiettivi di spesa pubblica per R&S, prevedendo, a partire dal 2004, percentuali pari a 0,75%, 0,85%, e 1% del Pil. E’ necessario infatti procedere a una programmazione della spesa su base pluriennale, piuttosto che prevedere stanziamenti annuali legati alla disponibilità della legge finanziaria. Ciò permetterebbe alle aziende e al mondo della ricerca pubblica di programmare i propri investimenti e le proprie attività a fronte di uno scenario definito. In termini finanziari la spesa pubblica per R&S deve aumentare di un ammontare compreso tra i 6 e i 14 miliardi di euro a seconda delle ipotesi di crescita del Pil, entro il 2006. Questo è un obiettivo molto ambizioso che, se non vuole essere velleitario, presuppone precise scelte di priorità e il superamento degli incentivi a pioggia che rappresentano un onere per la finanza pubblica senza produrre risultati.
  • Occorre definire le priorità strategiche del sistema Paese, privilegiando i comparti di frontiera su cui il nostro paese è in grado di competere e le tecnologie avanzate a carattere diffusivo, con maggiori ricadute, sui quali concentrare volumi critici di finanziamento, a partire dal sostegno alle grandi imprese e alle imprese high tech.
  • Il Paese deve dotarsi di uno strumento di ”assessment” delle competenze della ricerca pubblica e privata e delle potenzialità di sviluppo scientifico e tecnologico. Ogni due anni il Miur deve pubblicare una mappa delle competenze e delle eccellenze del sistema scientifico e tecnologico, realizzata secondo criteri di analisi e di valutazione coerenti con gli standard comunitari.
  • Occorre prevedere specifici strumenti di sostegno alla nascita di reti locali di innovazione realizzate dalle istituzioni in collaborazione con le associazioni di imprese, anche piccole e medie. In quest’ambito un rilievo particolare va assicurato alle iniziative derivanti dai processi di programmazione negoziata.
  • L’imposta aggiuntiva sul consumo dei tabacchi, introdotto dalla recente Legge Finanziaria, va finalizzata al finanziamento dei Fondi esistenti per il supporto alla Ricerca pubblica e privata.
  • Destinare l’otto per mille assegnato allo Stato, dell’imposta derivante dalla dichiarazione dei redditi di cittadini e imprese, a progetti di ricerca di alto contenuto scientifico miranti al miglioramento della qualità della vita.
  • Occorre valorizzare il ruolo delle Fondazioni bancarie, che già negli ultimi anni hanno mostrato crescente interesse alla ricerca, incentivando il loro contributo all’integrazione della ricerca pubblica e privata.


2) Qualificare la domanda pubblica

 

Assicurare una costante e rilevante domanda della Pubblica Amministrazione, relativa a prodotti e servizi ad alta tecnologia nei settori pubblici (energia, ambiente, acqua, sanità, beni culturali, difesa, trasporti etc.), prevedendo un adeguato coordinamento. Al tempo stesso occorre attivare la domanda pubblica, migliorandone la qualità, nei settori ad alta tecnologia, a partire da quello dell’Aerospazio e delle Telecomunicazioni, in stretto raccordo con i programmi europei.


3) Rendere più efficiente il sistema degli incentivi pubblici alla ricerca privata

 

La drammatica situazione dei fondi per il sostegno alla ricerca privata richiede un tempestivo aumento delle risorse destinate a questo obiettivo. Occorre rendere più efficiente l’intero sistema di agevolazione, sia assicurando strumenti semplificati per progetti di minori dimensioni, sia migliorando il funzionamento degli strumenti a valutazione per i progetti di dimensioni maggiori.

a) Interventi di defiscalizzazione

Va ampliato l’utilizzo della leva fiscale per finanziare investimenti in R&S. Se utilizzata in modo efficiente, tale strumento introduce un meccanismo virtuoso che genera le risorse necessarie al suo stesso mantenimento. Si propone di:

·        introdurre, specialmente per le piccole e medie imprese e per i progetti di minori dimensioni - inferiori ad una soglia da definire - e coerentemente con la legge delega di riforma del sistema fiscale, uno strumento di agevolazione fiscale a carattere permanente per le imprese che investano in ricerca e sviluppo. Tale strumento dovrà mirare a fornire un supporto semplificato e certo per le piccole e medie imprese, con modalità che attestino il carattere di innovazione del progetto e la congruità dell’impegno di spesa.

·        Introdurre un’agevolazione fiscale per gli utili reinvestiti per le imprese che, attraverso adeguata
certificazione, eseguita da enti registrati presso l’autorità competente, mostrino di investire in ricerca e sviluppo risorse proprie superiori alla media dei tre anni precedenti. Va valutata l’opportunità di modulare l’agevolazione in base alla dinamicità dei soggetti beneficiari.

·        Ampliare la concessione di vantaggi fiscali automatici alle aziende per le committenze di progetti di ricerca e innovazione a Università e Enti Pubblici di ricerca, già previsti dalla Legge 297/99.

·        Potenziare le agevolazioni fiscali automatiche per le imprese che assumono nuovi ricercatori, già previste dalla Legge 297/99.

·        Ampliare la detraibilità delle erogazioni da parte delle persone fisiche a favore degli enti di ricerca senza scopo di lucro, registrati presso un apposito albo del Miur.

·        Ridurre del 50% l’aliquota di tassazione di fondi mobiliari chiusi, che investono in partecipazioni in nuove imprese operanti in settori ad alta tecnologia.

·        Al fine di favorire l’internazionalizzazione della ricerca pubblica e privata italiana vanno ampliati e diffusi gli accordi bilaterali reciproci per agevolazioni fiscali a favore di ricercatori stranieri, per i primi anni della loro permanenza.


b) Interventi di finanziamento diretto alle imprese

I principali strumenti di agevolazione diretta per progetti di ricerca e sviluppo delle imprese, i fondi FAR e FIT, da oltre due anni, per le Regioni del Centro-Nord, hanno ormai esaurito le risorse. Oltre all’indispensabile rifinanziamento di tali fondi, occorre rivederne i meccanismi di funzionamento per assicurare un maggiore grado di efficienza, sia nella valutazione della qualità dei progetti, sia nei tempi di processamento delle domande. Occorre inoltre rendere effettivamente operativa la possibilità di operare attraverso piani pluriennali di finanziamento, come in altri paesi europei, superando il meccanismo dei finanziamenti annuali che comporta instabilità e tagli legati alla congiuntura economica.

Tenendo conto delle diverse finalità dei due Fondi, si propongono i seguenti interventi di modifica:

·        l’accesso agli strumenti a valutazione dei fondi Far e Fit deve essere riservato ai progetti di dimensioni medio-grandi (di importo superiore ad una soglia da definire);

·        uniformare la regolamentazione e le procedure, a partire dalla valutazione istruttoria, dall’ammissibilità dei costi e dai criteri di imputazione territoriali, ora diversi;

·        si considera opportuno mantenere una preselezione dei progetti, prima di procedere all’assegnazione dell’esperto, fornendo al Comitato Tecnico Scientifico adeguate risorse e strumentazione;

·        ampliare, tra le forme di agevolazione previste, i contributi in conto interesse e le garanzie per il finanziamento bancario;

·        bandi di finanziamento riservati a consorzi di piccole imprese, in collaborazione con università e centri pubblici di ricerca;

·        prevedere meccanismi di attento monitoraggio relativo alla disponibilità dei fondi. In caso di esaurimento delle risorse l’operatività di questi strumenti deve essere dichiarata sospesa. Per i progetti già approvati e privi di finanziamento dovranno prevedersi interventi adeguati per risolvere la situazione pre-esistente e entrare nel nuovo sistema di regole;

·        definire e rispettare tempi certi per l’espletamento delle pratiche di esame e valutazione delle proposte;

·        unificare, ampliare e aggiornare l’Albo degli esperti istituito presso il MIUR e presso il MAP, anche per ricomprendere discipline e competenze oggi assenti. Va prevista inoltre la possibilità che il Comitato Tecnico Scientifico possa affidare, motivando, il referaggio anche a docenti e ricercatori esterni di università e Enti Pubblici italiani e stranieri, nonché ad esperti italiani e stranieri, garantendo comunque l’imparzialità del giudizio

·        monitorare gli esiti dei progetti di ricerca, pubblici e privati, più rilevanti, che hanno ottenuto finanziamenti, allo scopo di avviare una valutazione della capacità dei soggetti beneficiari di realizzare gli obiettivi enunciati;

·        definire in modo trasparente i criteri di valutazione del CTS dei progetti di ricerca presentati sul FIT e sul FAR, indicando una soglia minima di idoneità;

·        esaminare e rafforzare le procedure per il monitoraggio e la verifica dei progetti, oggi affidata ad uno stesso referee, e le condizioni per il pagamento delle diverse tranches di finanziamento;

·        monitorare l’operato dei soggetti incaricati delle istruttorie finanziarie (banche concessionarie) richiedendo uniformità di standard qualitativi del servizio e criteri comuni di valutazione;

·        rendere completa ed efficiente la banca dati dei soggetti pubblici e privati che hanno ottenuto i finanziamenti, rendendone pubblico l’accesso. Anche attraverso questo strumento va monitorato l’impatto di tali finanziamenti in termini di tassi di innovazione;

·        brevetti, produttività, competitività e occupazione.


4. Riforma del sistema pubblico della Ricerca

La riforma del sistema universitario e degli Enti Pubblici di Ricerca deve puntare ad un potenziamento, oltre che alla razionalizzazione dell'organizzazione, favorendo l'elevazione complessiva del sistema dell'alta formazione e della ricerca attraverso la circolarità delle esperienze e del personale e una più intensa collaborazione nazionale, comunitaria ed internazionale che consenta di raggiungere un'adeguata massa critica. Il sistema deve puntare a migliorare il patrimonio delle competenze, valorizzando le eccellenze e favorendo la crescita di giovani ricercatori. A tale proposito:

  • occorre prevedere procedure che garantiscano il funzionamento del circuito programmazione-autonomia-valutazione; a tal fine è necessario che l'Autorità politica si faccia carico di elaborare linee programmatiche credibili, confrontate con le forze sociali e con la comunità scientifica, ed adeguatamente finanziate; che la Comunità scientifica, nelle sue articolazioni, goda di effettiva autonomia; che siano elaborati criteri di valutazione della performance dei gruppi di ricerca e dei singoli ricercatori basati su standard internazionali e metodologie che garantiscano dal rischio di autoreferenzialità. Occorre favorire sia per i ricercatori degli EPR, sia per i docenti universitari una politica normativa e contrattuale che consenta di premiare in termini retributivi e di carriera sia il merito scientifico, sia l'impegno nelle attività didattiche e istituzionali, valorizzando inoltre le attività in collaborazione con il sistema produttivo e la partecipazione a spin off;
  • occorre un impegno straordinario per l’inserimento di giovani ricercatori per recuperare il gap quantitativo che ci separa dagli altri paesi sviluppati. Ciò implica un potenziamento degli organici, che, ferma restando la necessità di garantire una selezione basata sul merito, assicuri una crescita delle risorse umane coerente con lo sviluppo scientifico e tecnologico del Paese. Tale esigenza è accentuata dal fatto che nel prossimo decennio una larga parte dell’attuale personale di ricerca raggiungerà limiti di età, creando un vuoto generazionale irrecuperabile nel medio periodo;
  • va sostenuta e incentivata la mobilità dei ricercatori dal sistema pubblico alle imprese per la realizzazione di progetti di ricerca e innovazione, attraverso misure normative e contrattuali che prevedano sia incentivi per le imprese, sia la valorizzazione delle competenze acquisite dal ricercatore in termini retributivi e di carriera;
  • si ritiene indispensabile una riforma dei principali enti pubblici di ricerca che punti a: rifocalizzazione complessiva degli obiettivi; riorganizzazione dei meccanismi di funzionamento; partecipazione della Comunità scientifica; valorizzazione delle eccellenze e delle competenze; valutazione dei risultati dell'attività di ricerca in sé, ma anche delle sue possibilità di trasferimento al sistema produttivo e dei servizi;
  • le risorse aggiuntive disponibili vanno concentrate sui migliori progetti, coerenti con le scelte strategiche del Piano Nazionale della Ricerca. Ciò non deve significare riduzione dell'autonomia scientifica dei ricercatori, condizione imprescindibile per l'efficienza dell'intero sistema, ma anzi permettere una ulteriore valorizzazione delle eccellenze;
  • affinché sia effettivamente attuata, la riforma richiede una revisione dei sistemi di governo attualmente operanti. In particolare, è fondamentale creare uno stretto ed esplicito collegamento tra la necessaria autonomia dell’università e degli enti pubblici di ricerca e la responsabilità nella gestione delle risorse e nella selezione delle competenze, verificata attraverso una valutazione esterna e non autoreferenziale dei risultati ottenuti, coerentemente con gli obiettivi e le regole definite in fase di programmazione.

4) Il livello territoriale della politica della Ricerca e Innovazione

Le Regioni nel rispetto del nuovo ordinamento introdotto dalla riforma federalista, insieme alle Autonomie Locali, devono potenziare il loro ruolo di programmazione, di governo e di finanziamento dei processi e degli strumenti di diffusione per l’innovazione nell’ambito di politiche concertate per lo sviluppo locale, con particolare attenzione alle piccole e piccolissime imprese e, più in generale, alla fertilizzazione del sistema produttivo e dei servizi. A tal fine le Regioni dovranno destinare maggiori risorse alla politica della ricerca e innovazione e prevedere processi stabili di confronto con le parti sociali.

Per il livello territoriale della politica della R&I si individuano le seguenti priorità:

  • Favorire l’emergere della domanda di innovazione, a partire dall’analisi dei fabbisogni e delle potenzialità territoriali dei sistemi produttivi, sostenendo e incentivando i processi di aggregazione.
  • Favorire la costruzione di reti regionali e territoriali per l’innovazione tra università, enti e centri di ricerca pubblici e privati focalizzando le eccellenze e le competenze in un processo di integrazione tra territori. A questo scopo va potenziato e ristrutturato il sistema dei centri tecnologici a supporto delle imprese, anche sperimentano modelli organizzativi innovativi (es i Centri di Competenza realizzati in Campania e i costituendi Centri di Competenza Tecnologica previsti nell’ambito del Piano Operativo Nazionale, nelle regioni del Mezzogiorno).
  • Procedere alla verifica dei risultati dei progetti realizzati con contributi pubblici a cui collegare, sia per i soggetti pubblici che privati, la possibilità di presentare altri progetti.
  • Sostenere la diffusione nelle università e negli EPR di azioni di promozione del trasferimento tecnologico e di azioni propedeutiche alla creazione di nuove imprese high tech. Definire azioni concrete ed innovative, in collaborazione con i privati, per l’incentivazione degli spin-off.
  • Promuovere - raccordando i soggetti del sistema formativo, del sistema di trasferimento tecnologico e le associazioni imprenditoriali - programmi dedicati alla formazione di tecnici e alla diffusione di cultura soprattutto nei sistemi di piccole imprese, per sollecitare la capacità di gestione dell’innovazione e per ricollocare l’impresa nel contesto nazionale e internazionale.

Sull’insieme delle politiche delle Regioni e delle Amministrazioni locali per la costruzione di un sistema territoriale di innovazione e di ricerca, è necessario aprire il confronto con la Conferenza dei Presidenti delle Regioni, con l’ANCI e con l’UPI, con l’’obiettivo di pervenire ad un accordo quadro che individui obiettivi prioritari, risorse, sedi e strumenti di riferimento, in grado di creare sinergie tra i diversi livelli istituzionali e tra i territori, in coerenza con la domanda sociale di innovazione e di professionalità.

5) Il Mezzogiorno

Per quanto riguarda il Mezzogiorno, è da tenere presente che la scelta delle imprese che investono in queste aree, preferendole, ad esempio, a quelle dei paesi dell’Est, è dovuta alle opportunità di contenuti tecnologici più avanzati e ad alto valore aggiunto. Pertanto dovrà adottarsi una politica di riequilibrio delle risorse umane e finanziarie e di sostegno, a livello territoriale, per l’affermazione di reti tecnologiche e di infrastrutture in grado di fertilizzare il territorio e di attrarre imprese anche ad alta e media tecnologia, favorendone l’insediamento.

Ciò è coerente con l'impostazione che, a partire dai Patti territoriali d'Area, dalle politiche per i distretti e più recentemente con i PIT, ha perseguito la costruzione e l'adozione di strumenti che orientino, attraverso la concertazione, le scelte dei territori.

In tal senso vanno riprese e rafforzate le "Strategie Regionali per l'Innovazione" predisposte in attuazione del disposto del Quadro Comunitario di Sostegno Obiettivo 1 2000-2006 dei fondi strutturali europei.

Per quanto riguarda gli strumenti, appaiono da preferire quelle forme di aiuto che, permettono ad un tempo efficienza amministrativa e capacità politica di orientamento delle scelte. A tale proposito, si segnala l'esperienza (finanziata da fondi strutturali Obiettivo 1) del "Pacchetto Integrato di Agevolazioni" (PIA) che, pur se migliorabile sotto l’aspetto gestionale, consente alle imprese, attraverso un'unica domanda, di ottenere agevolazioni per un programma organico e completo di interventi riferito ad attività di ricerca ed innovazione tecnologica ed ai conseguenti investimenti per l'industrializzazione dei risultati nell'ambito di proprie unità produttive. A tali programmi possono essere collegati anche investimenti in formazione e/o servizi specialistici.


6) Il sostegno alla creazione di nuove imprese nei settori ad alta tecnologia

  • Occorre introdurre anche in Italia misure dirette a favorire la creazione di nuove imprese nei settori a maggiore intensità tecnologica. In questa direzione, fra le possibili linee di intervento, va ripensata la politica dei Parchi scientifici e Tecnologici, la politica dei Bic e degli Incubatori.
  • Va riconsiderata a questo scopo la finalizzazione delle risorse e degli strumenti gestiti da Sviluppo Italia.
  • Va costruito un meccanismo pubblico-privato, che permetta alle idee più promettenti di raggiungere un primo livello di avanzamento, indispensabile per collocarsi con successo sui mercati dei capitali di rischio.

7) Rivedere la normativa sui brevetti

  • Per facilitare la collaborazione pubblico-privato è necessario rivedere la politica brevettuale recentemente adottata che trasferisce la titolarità dei brevetti dall’ente pubblico di ricerca ai singoli ricercatori. In conseguenza di tale normativa, peraltro, le imprese stanno riducendo la collaborazione in attività di ricerca con università ed Epr, poiché non hanno la garanzia che gli eventuali brevetti ottenuti siano poi sfruttabili industrialmente.
  • Occorre incentivare la ricerca pubblica a dotarsi di competenze e strutture necessarie per sfruttare in modo più efficiente i risultati della propria attività.
  • Occorre diffondere una cultura brevettale anche tra le imprese italiane, sia incentivando e sostenendo l’attività di brevettazione, sia agevolando l’accesso a banche brevetti e licenze a disposizione delle imprese, comprendenti anche opportunità provenienti da paesi esteri.

9) Sviluppo della società dell’informazione

  • Introdurre strumenti di supporto mirati a integrare le esigenze della domanda con la produzione di nuovi servizi ad alto valore aggiunto, ad esempio sostenendo progetti trasversali per la produzione di servizi nel campo della logistica, della gestione di infrastrutture e del territorio, della salute, dell’ambiente, della sicurezza e della formazione, della mobilità, del supporto ai disabili.
  • Adottare specifiche iniziative di sostegno delle piccole e medie imprese con aiuti all’introduzione di nuove tecnologie, supporto alla formazione delle professionalità, facilitazione dell’accesso al mercato della pubblica amministrazione per la fornitura di beni e servizi, supporto alla digitalizzazione dei distretti industriali.
  • Accelerare e razionalizzare lo sviluppo dell’e-governement in una logica di semplificazione e riduzione dei costi.
  • Definire un piano nazionale, e le relative linee di finanziamento, per il pieno consolidamento di una Società dell’Informazione in coerenza con quanto indicato nel piano e-Europe 2005.


10) Priorità del Semestre Italiano di Presidenza europea

L’obiettivo definito nel Consiglio Europeo di Barcellona, di raggiungere un livello medio di spesa complessiva, pubblica e privata, per Ricerca e Innovazione pari al 3% del Pil, deve diventare una delle priorità del prossimo semestre di Presidenza italiana dell’Unione Europea. A questo scopo si suggeriscono alcune azioni da promuovere in sede comunitaria nei prossimi mesi:

  • Sostenere un’interpretazione del Patto di Stabilità che, fatta salva la stabilità macroeconomica, consenta di escludere la spesa pubblica per la ricerca nel calcolo dell’indebitamento rilevante per il rispetto dei parametri concordati.
  • Prevedere una diversa formulazione della regolamentazione relativa agli aiuti di stato che tenga conto delle precise esigenze delle PMI e favorisca un più agevole accesso alla ricerca.
  • Ipotizzare regimi fiscali condivisi dagli Stati membri a sostegno della ricerca, innovazione e formazione.
  • Monitorare l’effettiva partecipazione delle PMI al VI Programma Quadro ed eventualmente verificare l’opportunità di introdurre correzioni.
  •  

POLITICHE PER LA FORMAZIONE E LA VALORIZZAZIONE DELLE
RISORSE UMANE

PREMESSA

La formazione è una delle leve cardine per il rilancio di un'efficace politica di sviluppo, dei diritti di cittadinanza e di coesione sociale, per la competitività delle imprese e per la crescita della professionalità delle persone.

La popolazione adulta italiana mostra una percentuale di diplomati crescente, anche se ancora si registra un forte gap rispetto alla media europea. Infatti solo il 42% della popolazione adulta ha un diploma di scuola secondaria, contro il 62% della Francia e del Regno Unito e l’81% della Germania e una media europea del 59%.
Il tasso di diploma sfiora il 70% dei 19enni. Il confronto internazionale tuttavia ci pone al disotto della media europea. La Francia ha un tasso di diploma pari all’81%, la Germania pari all’89%.

Il tasso di dispersione scolastica italiano è il più alto d’Europa ed è nell’ordine del 30% nella fascia di età 14 -19 anni, mentre il tasso medio europeo è inferiore al 20% e quello tedesco è inferiore al 10%.

I più recenti risultati della rilevazione europea sulla formazione del personale nelle imprese (Eurostat) mostrano una tendenza alla crescita della percentuale di imprese che hanno svolto formazione tra il 1993 e il 1999. Tuttavia la posizione relativa dell’Italia (con il 23,9% di imprese con formazione e con un aumento di circa il 50% rispetto al 1993) rimane ancora arretrata rispetto agli altri partner europei.

La sintonia degli accordi tra le parti sociali con le politiche e gli orientamenti dell’Unione Europea hanno sempre rappresentato una bussola per la definizione degli obiettivi ed i risultati da raggiungere ed ancora una volta si intende partire da queste indicazioni per il futuro.

Nel nuovo quadro politico e in una fase in cui le relazioni industriali attraversano un processo di complessa ridefinizione, il progressivo dispiegamento delle politiche dell’U.E. sollecita Governo e Parti sociali a nuove responsabilità nel campo dell’istruzione e della formazione.

Il Vertice di Lisbona del 23 e 24 marzo del 2000 ha posto le basi fondamentali per il rilancio dei sistemi di istruzione e formazione, indicando alcune priorità da raggiungere:

  • attribuire una priorità all’apprendimento durante tutto l’arco della vita, in particolare per le fasce più deboli;
  • aumentare gli investimenti pro capite in risorse umane;
  • elevare il livello di istruzione per tutti i giovani ed offrire un ampia gamma di opportunità formative;
  • definire nuove competenze di base;
  • aumentare la mobilità, anche con l’uso di incentivi appropriati;
  • migliorare l’occupabilità dei giovani, attraverso sistemi di alternanza diffusi, e degli adulti, con il sostegno alla formazione continua.



I RISULTATI

In questi anni alcuni primi importanti risultati sono stati raggiunti, proprio grazie all’impegno delle parti sociali ed in coerenza con la strategia comunitaria. Si possono considerare avviati:

 

» la qualificazione e la realizzazione di percorsi di formazione in alternanza;

» la costruzione di un sistema di formazione continua, anche attraverso la costituzione dei Fondi interprofessionali, che dovranno trovare ora una rapida fase di implementazione;

» la sperimentazione di modelli bilaterali di rilevazione sistematica dei fabbisogni formativi;

» il collegamento delle dinamiche dei processi formativi alle reali esigenze del sistema sociale e produttivo.


IL METODO

Un nuovo impulso al ruolo delle parti sociali, sia a livello nazionale che a livello locale, può favorire una più efficace realizzazione delle riforme degli assetti normativi ed organizzativi dei sistemi di formazione.

I processi di riforma, che hanno caratterizzato gli ultimi anni, hanno avuto come obiettivi da un lato una maggiore integrazione tra le varie tipologie formative e dall’altro il decentramento dei livelli decisionali.

L’integrazione, rispetto alla quale resta ancora molto da fare, ha implicato un maggiore coinvolgimento del sistema sociale e produttivo nella formazione, in termini di connessione con la domanda di competenze e di partecipazione.


Di fronte a questo scenario, le parti sociali ribadiscono l’impegno a livello centrale e ritengono necessario che i loro rappresentanti locali rafforzino i rapporti con le istituzioni, anche attraverso gli Organismi Bilaterali Regionali, in relazione all'attribuzione alle Regioni di maggiori competenze sull'istruzione e sulla formazione.

Gli OBR avranno inoltre il compito di coordinarsi con gli Organismi Nazionali, eventualmente costituiti a livello settoriale, anche con l’obiettivo di dare attuazione alle iniziative di competenza di Fondimpresa, di cui gli OBR rappresentano la rete territoriale.

Le parti sociali, anche attraverso gli OBR, potranno concorrere alla realizzazione di iniziative che favoriscano la competitività delle imprese, rafforzino le competenze dei lavoratori, contribuiscano allo sviluppo dei sistemi formativi, anche attraverso l’assistenza alle imprese e ai lavoratori che si qualificano per individuare i fabbisogni di professionalità a livello regionale, che sviluppino in un contesto territoriale i risultati delle ricerche già realizzate bilateralmente dalle parti sociali.


GLI OBIETTIVI E LE PROPOSTE

Sulla base del percorso sin qui compiuto, le parti sociali ritengono prioritario orientare le politiche formative e i relativi finanziamenti verso la domanda del sistema produttivo, per realizzare in Italia un sistema di formazione coerente con lo sviluppo, la competitività delle imprese e la valorizzazione delle competenze dei lavoratori. In questo quadro assumono particolare rilievo i seguenti obiettivi:

  1. sviluppare sedi e strumenti finalizzati all’orientamento, per sostenere le scelte professionali e formative dei giovani e degli adulti, attraverso interventi integrati tra i sistemi formativi e i nuovi servizi per l’impiego, individuando per questi opportuni standard di qualità, in base ai quali si instauri un più stretto rapporto di collaborazione tra pubblico e privato;
  2. definire un sistema integrato, dai licei alla formazione professionale e all’università, in grado di migliorare l’intera gamma degli strumenti di collaborazione tra scuola, formazione e mondo del lavoro, a partire dall’estensione del numero di qualificati e diplomati, da una migliore qualificazione della formazione nell’apprendistato e dal potenziamento di forme di alternanza studio-lavoro;
  3. rispondere alla domanda di professionalità delle imprese e dei lavoratori anche con l’obiettivo di far emergere e potenziare le forme di “apprendimento informale”;
  4. rafforzare l’area tecnico-professionale del sistema formativo, per rispondere alle nuove domande professionali delle imprese e dei giovani;
  5. portare a regime la formazione tecnica superiore, mantenendo lo stretto legame con i fabbisogni formativi delle imprese e dei lavoratori;
  6. promuovere l’integrazione tra scuola, università, formazione e lavoro nella formazione permanente, utilizzando anche gli strumenti contrattuali e normativi esistenti (150 ore, congedi formativi individuali ex lege 53/2000 ecc.), per il raggiungimento di qualifiche professionali riconosciute;
  7. individuare, attraverso un confronto con le istituzioni (Ministeri e Regioni) criteri coerenti di utilizzazione delle diverse indagini sui fabbisogni professionali e formativi realizzate dalle parti sociali e da altri soggetti istituzionali;
  8. promuovere un confronto con Governo e Regioni per favorire un allargamento e un utilizzo strategico delle risorse per la formazione continua (FSE, Leggi nazionali e regionali), nel cui ambito potranno operare con maggiore efficacia anche gli interventi promossi da Fondimpresa. In questo quadro dovranno essere promossi e favoriti adeguati interventi formativi a sostegno delle fasce deboli, dei lavoratori coinvolti in processi di mobilità, dei lavoratori ultraquarantacinquenni, con particolare attenzione al rafforzamento delle pari opportunità uomo-donna e alle problematiche connesse a salute e sicurezza nei posti di lavoro;
  9. realizzare un sistema efficace e flessibile, nazionale e decentrato di accreditamento delle strutture formative, di definizione degli standard e di certificazione delle competenze delle persone, a partire dal documento redatto dal tavolo tecnico Regioni – Parti Sociali;
  10. utilizzare la prossima scadenza (2004) della riprogrammazione del Fondo Sociale Europeo per attivare efficaci strumenti che permettano alle parti sociali di conoscere e valutare in tempo reale l’effettivo andamento qualitativo e quantitativo dell’utilizzo dei finanziamenti europei e per semplificare drasticamente le procedure di accesso ai finanziamenti regionali, nazionali e comunitari, ampliando e qualificando le misure finalizzate alla formazione e alle politiche attive del lavoro, anche attraverso la riorganizzazione delle sedi della concertazione territoriale in modo snello ed efficace;
  11. attivare un tavolo bilaterale per affrontare le implicazioni del presente documento sulle materie strettamente attinenti ai rapporti tra le parti sociali, a partire dalla promozione di un’iniziativa pubblica sul dialogo sociale in merito ai temi della formazione, nell’ambito del semestre italiano di presidenza dell’UE, e dalla costituzione di un gruppo tecnico bilaterale per la costruzione di un “Thesaurus” delle definizioni dei più importanti concetti della formazione, che si ritrovano in tutte le riforme in atto e che potranno valere in tutte le sedi del dialogo sociale.


L’ITALIA AL 2010

Le parti sociali chiedono alla Conferenza Stato Regioni, al Parlamento e al Governo di adottare un documento di prevalente interesse nazionale sull’impegno dell’Italia per il conseguimento degli obiettivi previsti dal Vertice di Lisbona del 2000, prevedendo il raggiungimento entro il 2010 di almeno i seguenti obiettivi, che le parti sociali fanno propri e si impegnano a verificare periodicamente secondo scadenze concordate:

 

» L’85% dei giovani di 20 anni dovrà conseguire un diploma di istruzione o formazione o una qualifica professionale.

» Il tasso di partecipazione degli adulti all’istruzione e alla formazione dovrà aumentare del 30%.

» Il numero di aziende italiane che dedicano un preciso investimento (in termini di costi diretti e indiretti) alla formazione dovrà crescere del 30%.

» Il tasso di abbandono scolastico nella fascia di età 14 -19 anni dovrà essere dimezzato.


Inoltre devono essere fissati obiettivi nazionali per:

» Aumento pro capite degli investimenti pubblici e privati nelle risorse umane.

» Aumento del numero di studenti che frequentano corsi di istruzione e formazione professionale.

» Aumento del numero di studenti che frequentano corsi di istruzione e formazione tecnica superiore.

» Aumento del numero di diplomati e qualificati.

» Aumento del numero di laureati.

» Aumento del numero di adulti che frequentano corsi EDA.

» Aumento del numero degli occupati in formazione continua.

Per il conseguimento di questi obiettivi risulta essenziale il rafforzamento delle infrastrutture formative del Mezzogiorno e la diffusione di esperienze di alternanza scuola-lavoro.

Le parti sociali chiedono alla Conferenza Stato-Regioni, al Parlamento e al Governo di definire con rigore gli obiettivi nazionali, che l’Italia intende perseguire, per migliorare la competitività del sistema formativo e rafforzare l’inclusione sociale.

Si impegnano a realizzare un monitoraggio annuale sull’effettivo, progressivo raggiungimento di tali obiettivi da considerare come parte integrante di un complessivo “piano di rientro” verso gli standard europei nel campo della formazione, da cui attualmente il nostro paese è lontano.

Ritengono irrinunciabile il confronto con il Governo per l’attuazione delle leggi di riforma in atto.

Richiedono che nell’ambito dell’utilizzo del Fondo Sociale Europeo vengano premiate non solo le Regioni che dimostrano maggiore capacità di spesa, ma anche le Regioni che perseguono gli obiettivi fissati.

Chiedono, infine, che nel DPEF vengano indicate risorse adeguate al progressivo conseguimento degli obiettivi di miglioramento dei risultati del sistema formativo, compreso uno specifico riferimento all’esigenza di trasferire l’intero ammontare delle risorse dello 0,30% ai fondi interprofessionali per la formazione continua.

 

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