O.L.F.A

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ANNO VI NN. 25/26 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2002 FERRARA

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GALLERIA LETTERARIA UNGHERESE

Lirica Ungherese

Kassák Lajos  (1887-1967)

 

Monoton

 

Eső esik

esik az eső

mintha

opál gyöngyök

hullanának

az ég

fekete kötényéből

esik az eső

esik

esik

esik.

 

 

Monotono

 

Cade cadente

cade la pioggia

come

opali perle

cadessero

dal nero

grembiule del cielo

cade la pioggia

cade

cade

cade.

 

Traduzione Ó di  Mario De Bartolomeis

 

Kassák Lajos  (1887-1967)

 

Felajánlott béke

 

Ha elmész

az a te dolgod.

 

De nem miattad

sír majd a szél

a tulipánok

nem miattad csukják be

szirmaikat.

 

Nélküled maradok

és kicsépelem

termésem maradékát.

 

Ha éhes leszel

szállj ablakom párkányára

tiszta búza lesz ott

s én jó étvágyat kívánok hozzá.

 

 

Proposta di pace

 

Fatti tuoi

se vai via.

 

Ma non per te

i venti piangeranno

i tulipani

i petali non per te

chiuderanno.

 

Di te resto senza

e del mio raccolto

batterň la semenza.

 

Quando affamato tu sarai

al mio davanzale volerai

buon grano vi troverai

e il mio buon appetito riceverai.

 

 

Traduzione Ó di  Mario De Bartolomeis

 

Kassák Lajos  (1887-1967)

 

A vak sóhaja

 

Éjszaka van

éjszaka van

fekete éjszaka van

iszapos éjszaka van

éjszaka van

éjszaka van

mindig

éjszaka van.

 

Il sospiro del cieco

 

Č notte

č notte

č notte tetra

č notte melmosa

č notte

č notte

sempre

č notte.

 

 

Traduzione Ó di  Mario De Bartolomeis

 

Kassák Lajos (1887-1967)

 

Veled vagyok

 

Előtted megyek
te én előttem
a koranap aranylánca
csilingel kezemen.

Hová mégy - kérdezem
feleled - nem tudom.

Siettetném lépteim
de te jobban sietsz.

Előtted én
te én előttem.

Egy kapu előtt mégis megállunk.

Megcsókollak
te nekem adsz csókot
aztán elindulsz szótlanul

és magaddal viszed életem.

 

 

Con te sono

 

Ti vado avanti

tu a me davanti

del primo sole l'aurea catena

nella mano mi tintinna.

 

Dove vai chiedo

rispondi non so.

 

Piů in fretta i miei passi darei

ma tu meglio li affretti dei miei.

Io a te davanti

tu a me davanti.

A una porta comunque sostiamo.

Ti bacio
tu mi dai un bacio
poi senza parlare vai via
e la vita mia con te porti via.

 

Traduzione Ó di  Mario De Bartolomeis

 

 

Kemény Géza (1937-2002)

VAN EGY NAGY FA,

aranyló, nagy fa:

a világ álmodik alatta.

Ezer évenként ha megébred,

kondul a hold tornyán az éjnek.

 

S amott, a messzi égi lápon

fázós csillag a madárlábnyom.

Hajnalodván megtelik éggel,

s eggyé sápadt szittyós vizével.

 

Van egy nagy fa, aranyló, nagy fa,

fölcsipog a világ alatta,

s dallal telik meg minden ága:

az égnek madár a világa.

2001

V'Č UN GRAN ALBERO,

dagli aurei barbagli:

vi sogna il mondo che sotto stagli.

Quando ad ogni millennio si desta

rintocca a notte su torre di luna.

 

E lŕ in palude celeste lontana

freddosa stella č d'uccello l'impronta.

Di cielo colmasi al fare dell’alba

e insieme d’acqua giuncosa scialba.

 

V'č un gran albero, dagli aurei barbagli,

vi becca il mondo che sotto stagli,

ed ogni ramo di canto ne investe:

il suo mondo č uccello celeste.

 

 

Traduzione Ódi  Melinda Tamás-Tarr e

Mario De Bartolomeis

 

 

 

Tolnai Bíró Ábel (1928)

 

A JÓ ÖREG NAP

 

Évezredek óta rója az utat

Reggeltől estig keres és kutat.

 

Sokszor látogatja strandok tájait,

S végigsimogatja a nők bájait.

 

Ám fáradt lábakkal nászágyába szállva,

Kellő bűntudattal pirul a pofája.

 

Kecskemétről utazva haza

1989. augusztus 29-e alkonyatján.

 

IL BUON VECCHIO SOLE

 

Egli percorre da millenni la strada

Da mane a sera cerca ed indaga.

 

Bazzica molto i paraggi di spiagge

E delle donne carezza le grazie.

 

Posando al talamo stanche le gambe

Del giusto arrossa mea culpa le gote.

 

Da Kecskemét verso casa

al tramonto del 29 agosto 1989.

 

Traduzione Ó di  Mario De Bartolomeis

 

 

Prosa Ungherese

 

Cate Carry - Pécs (H)

IL GITANO INNAMORATO

 

      I cavalli andavano a piccola andatura. Ove passavano la rena rossiccia strideva seccamente. Era uno snervante pomeriggio d’estate. L'uomo si calň meglio il cappello sugli occhi. Egli stava in sella con un viso dall'espressione immobile, impassibile,  come se non lo interessasse nulla e nessuno. Aveva la schiena dritta come una colonna. Qualunque giovane avrebbe potuto invidiare il suo corpo.

     Le sue mani sfioravano appena la briglia. Conosceva bene il suo cavallo, ed anch’esso lui. Bastava stringere appena le cosce che l'imponente animale alzava subito il capo. Pareva quasi chiedesse:

     - E allora, cosa vuoi che faccia?

L'uomo dette un profondo sospiro. Socchiuse gli occhi, ma anche cosě vedeva attraverso le fitte ciglia il cavallo che incedeva lento ed i suoi trasportati. Li vedeva ma avrebbe preferito non vederli. Un giovane recava con sé la propria moglie. La gonna a balze della donna si stendeva interamente sul posteriore del cavallo. Le balze orlate di merletti solo si muovevano in accordo al cadenzato passo del cavallo.

     L'uomo volse la testa. Posň lo sguardo sui cespugli d’un colore grigioverde che fiancheggiavano il percorso  ed ebbe come la sensazione che una polvere sottile gli scendesse nei  polmoni. Guardň in lontananza, grosse nubi tondeggianti bordavano il cielo sulla linea dell'orizzonte. Il che gli riportň alla mente la donna che gli andava innanzi. Volse il capo di nuovo in avanti e come guardň la donna avvertě al torace un lacerante dolore. Ne distingueva solo la nera crocchia di  capelli con dentro un fiore, la schiena sottile e le tante tante balze. Ebbe come la sensazione d’una visione quasi dolorosa,  ed era tuttavia cosě cara al suo cuore.

     Della donna percepiva ogni movenza e pure, come il vento le sfiorava il filo d'un capello, quel fremito impercettibile. Alzň la mano ad accarezzare le linee dello snello corpo della donna. Oltre ogni immaginazione l'amava …        

     Si calň nuovamente il cappello sugli occhi e chinň il capo. Non  doveva neppure guardarla per vederla. La meravigliosa donna dagli occhi scuri giŕ era nel suo intimo.

 

     La sera sopraggiunse pian piano. Gli zingari si accamparono. Anche l'uomo smontň da cavallo. Gli ultimi raggi di sole  brillavano sulla sua pelle color bronzo.

      Egli temeva le sere ed i desideri che nel buio lo assalivano sempre piů selvaggi e torturanti. Non sedette con gli altri accanto al fuoco, tanto la fiamma da egli stesso si sprigionava. Andň a passeggiare di dietro, tra gli alberi, ove avevano legato i cavalli. Rimirň fisso il cielo ed ebbe la sensazione che fosse incantato. Avvertě come un leggero senso di galleggiamento ed al tempo stesso una specie di plumbeo peso attorno al cuore. Avrebbe voluto morire perché sapeva  di non poter vivere assieme a colei con cui avrebbe voluto. In lontananza udiva le allegre risate dei suoi compagni e vedeva nel buio vellutato della notte il fuoco brillare. Rivedeva persino le balze, quelle in fondo alla gonna della sua regina. S'avvolgevano attorno al suo cuore, cingevano l’intera anima sua e la sua vita. Pensava con tanto affetto e tenerezza a quell'abito a balze, come ad una reliquia. Chiuse gli occhi e della donna provň ad immaginare il sapore, il profumo. Col pensiero ne aveva quasi raggiunto le labbra quando lo sbruffare dei cavalli lo destarono dai suoi sogni ad occhi aperti.

      Era balzato in piedi in un attimo ed aveva portato la mano alla tasca a cercare il coltello. Tra gli alberi  vide guizzare i lembi d'una gonna a balze. Il  cuore gli cominciň a battere cosě impetuoso da sentirsi quasi  male. Era come se con un martello gli avessero picchiato sui timpani.  Avrebbe voluto fare molto piano e con delicatezza, ma sotto i suoi stivali i rami scricchiolarono ed ebbe la sensazione di sollevare un  fragore terribile.

      Non dovette perň camminare tanto. La donna era lě faccia a faccia, davanti a lui, le mani nascoste dietro la schiena. Non ne vedeva il volto nel buio, ma dalla curva delle spalle, dalla vita snella subito capě ch’era lei. Respirava anch’essa velocemente, il torace le andava impetuoso sů e giů. Non disse nulla ma l'uomo sapeva perché era venuta. Lo sapeva, pur se mai aveva sperato che una volta sarebbe accaduto. O, a dire il vero, l’aveva sperato anche sempre …

      Prese delicatamente tra le mani il sottile e morbido viso della donna e la baciň con formidabile passione. Mai aveva baciato in tal modo e sapeva che neppure la donna l’aveva fatto.

      Erano come due folli usciti di senno, si squarciavano e laceravano a vicenda le labbra.

La donna allontanň poi il capo e s’appoggiň all'albero. Cominciň a dondolare lentamente tutto il suo corpo e con voce singhiozzante disse:

       - Dio mio, dio mio…

L'uomo tremava in ogni fibra suo del corpo. Lo aveva preso un calore tale da  non riuscire piů a dominarsi…

     - Trovati al ruscello vero l'alba - disse poi alla donna e tornň a dirigersi verso il fuoco a  passi rudi e malinconici. Si calň il cappello sugli occhi e non sapeva se gioia od amarezza si stava diffondendo nelle sue vene. Si sedette sull'erba volgendo in parte la schiena  agli altri e si lasciň prendere dai suoi pensieri. Mille volte con l’immaginazione rivisse il tutto, ogni sua cellula avvertiva l’impressione della donna. Non sapeva dove l’avrebbe portata al mattino, solo che sarebbe stato il piů lontano possibile, cosě lontano che mai piů li avrebbero trovati.

     Non chiuse occhio,  andň a prendere il suo cavallo ancora prima dell'alba. Ci si vedeva a fatica,  lasciň al cavallo trovare la strada. Raggiunsero il ruscello con un giro piů largo e l'uomo era pieno d’aspettativa. Stava sul cavallo con la schiena diritta,  aveva un po' sistemato il cappello sulla fronte  e scrutava ad occhi fissi nella direzione da cui attendeva la donna. Ogni volta che un ramo si muoveva o si piegava una foglia immancabilmente credeva fosse il baleno d’una balza della gonna.  Lo torturavano dubbi, con animo trepidante si muoveva agitato sulla sella. Non sapendo il  cavallo cosa pensare del suo comportamento, col capo dette un gran strattone alla briglia. Dall’improvviso movimento qualcosa cadde a terra. L'uomo non  vide bene  cosa fosse, scese perciň di sella per raccoglierla.

      Era un pezzo di balza di pizzo bianco appartenente alla gonna della donna. L'uomo guardň fisso il triste messaggio caduto dalla briglia e per qualche istante non riuscě ad afferrarne il significato. Lo mise prima in tasca accanto al suo coltello, poi lo tornň a prendere fuori e lo riportň all'altezza del viso.

      Montň a cavallo e partě in una direzione a caso. Il sole sorse facendo brillare la sua luce sul rossiccio paesaggio andaluso. Dalle colline distese si alzava  una leggera foschia  e la sabbia strideva sotto gli zoccoli del cavallo.

      L'uomo serrň la balza nella mano, si calň il cappello a fondo sugli occhi e tra  considerň se mai donna ancora esistesse da amare cosě tanto.

 

     Dritto in sella come un fusto, lanciň il cavallo al piů rapido trotto.

 

 

               Traduzione © di Melinda Tamás-Tarr e Mario De Bartolomeis

 

 

István Örkény

(1912 - 1979)

ITALIA

 

Il direttore d'orchestra italiano, portata a termine l'esecuzione de "Il ballo in maschera", si immerse nella notte di Pest.  Verso l'alba invitň al proprio tavolo una donna con cui aveva ballato a piů riprese.

L'artista ospite - tramite l'interprete - la corteggiň per un po' poi mise la mano in tasca, estrasse il portafogli e, coprendolo con la mano, guardň l'interprete rimanendo in attesa.

    << Cinquecento >> 1)  riferě quindi al direttore d'orchestra.

    << Trecento >>  2) ribatté l'ospite cui la cifra era sembrata alta.

    << Quattrocento >> 3) propose alla fine l'interprete.

Qui l'accordo fu raggiunto.

 

Note.

1) , 2) , 3)  In italiano nel testo originale.

 Traduzione © di Melinda Tamás-Tarr

                            

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