O.L.F.A
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ANNO
VI NN. 25/26 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2002 FERRARA
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EDITORIALE
_________________________ di
Melinda Tamás-Tarr _________________________
Carissimi Lettori,
eccoci di nuovo insieme in questo mondo
pieno di fragore: oltre ai vari problemi di inquinamento ambientale da cui
siamo purtroppo afflitti rischiamo di
essere anche menomati dall'alto inquinamento acustico di fragorosi
litigi provenienti da ogni dove… Udiamo da una parte urla di vario tipo, giuste
od ingiuste, accompagnate ovunque tanto
in pubblico che in privato da rabbia, dispetto, sgomento, mancanza di rispetto per gli
altri. Dall'altra, a rappresentare un muro insuperabile, vi sono orecchie rese
sorde dall'indifferenza e dalla disattenzione per il prossimo… Fra le urla
corrono tutti affannosamente, spintonando, travolgendo e calpestando gli altri,
particolarmente i più deboli e meno fortunati. Non si ha mai un po' di tempo
per fermarsi a scambiare pensieri profondi ed amorevoli, a prevalere sono le false apparenze e la superficialità degli umani rapporti…. C'è spazio solo per
il «bla, bla, bla» di vuoti discorsi
farciti di tante volgarità. «Così fan…» - quasi - «…tutti»… In questo paese che
è ora divenuto anche il mio, nella mia patria d'origine, ovunque in questo
nostro mondo regna ormai in modo insopportabile il fragore, ai più alti livelli
di inquinamento e sempre più caotico in tutte le sfere del nostro vivere
quotidiano. Non rimane che fuggire questo fragore restando dietro le quinte – e
possibilmente anche più dietro – andando contro corrente, evitando di
mischiarsi con la farina del mulino pur se il seguire questo percorso è molto
più faticoso. Dietro le quinte, attraverso le nostre pagine, in punta di piedi
ma – almeno ce lo auguriamo – con
efficacia, divulghiamo i nostri pensieri, i nostri ideali, i nostri sogni, le
nostre speranze o delusioni, i nostri messaggi. L'Osservatorio Letterario con i
suoi collaboratori continua a scrivere perché ha sempre qualcosa da dire,
perché come anche Francis Scott Fitzerald sosteneva «non si scrive perché si
vuol dire qualcosa: si scrive perché si ha qualcosa da dire»! Le penne delle variopinti idee della grande famiglia dell'Osservatorio Letterario
sono state impugnate per lasciare ulteriori nuove tracce nell'intento di
continuare a costituire motivo di riflessione per gli altri scritti. Mi si
permetta di ricordare le parole di Thomas Mann e Joseph Conrad… Diceva il
primo: «La felicità di chi scrive è il pensiero che riesce a diventare
sentimento, è il sentimento che riesce a diventare pensiero». E così si
esprimeva Conrad: «Il compito che mi spetta e che cerco di assolvere è di
riuscire, col potere della parola scritta, a farvi udire, a farvi sentire… di
riuscire, soprattutto, a farvi vedere.» Ed in nome dell'Arte, della
Letteratura, della Bellezza noi cerchiamo di combattere, perché è necessario
farlo contro le molte specie di violenza, contro le immagini dei linguaggi
ipertestuali, contro le raffigurazioni dei sistemi virtuali della
comunicazione. È assolutamente necessaria un'educazione estetica che consenta
al nostro sguardo, al nostro udito, al nostro spirito di poter cogliere l'attimo in cui i nostri sensi si lasciano
incantare dalla bellezza della tradizione per rinnovarla nell'attualità del
presente. E qui ribadisco quanto ho detto nella presentazione del libro
intitolato «La realtà sospesa» del ns. Autore, Marco Vaccari, del 29 gennaio
scorso alla Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara nella quale ho fatto
riferimento alle varie affermazioni delle sue novelle sottolineando i fenomeni
sgradevoli del nostro poco attraente mondo in cui si divulga - particolarmente
tra i giovani - la volgarità, l'impoverimento di un linguaggio peraltro
arricchito di bestemmie e sgrammaticature, per mancanza di stimolo e voglia di
leggere buona letteratura che
arricchirebbe notevolmente il lessico individuale. L'odierna mentalità e mancanza di buona cultura è denotata
dall'attaccamento alle solite melense e vacue «situationcomedy» interrotte da
valanghe di pubblicità televisiva - o dalla lettura dei tristi libri della
serie «Harmony» e simili. Anche nella
realtà, come in una novella del succitato Vaccari, l'interiore malattia
spirituale di tante persone è diagnosticabile come una «forma perniciosa di
aridità dello spirito, causato dalla mancanza di buone letture»… Una lezione
deve trarsi ponendo attenzione alle parole della frase finale del suo racconto intitolato
«Bellezza»: «la bellezza, la luce degli occhi e del viso derivano dalla luce
dello spirito!» N.B.: mi permetto qui
di ricordare l'editoriale che
accompagnava il N. O. 1997 della nostra
rivista.
Dallo scorso numero non faccio che
riflettere, ragionare e cercare risposta alle tantissime domande che varie
situazioni del mondo che ci circonda fanno in me scaturire mentre riordino i
miei appunti giornalistici d'un tempo… Ecco alcuni pensieri che sono purtroppo
ancora attuali: Quali speranze e quali paure nutrono l'immaginario dei poeti,
dei narratori, degli uomini di pensiero? Perché si percepisce una grande
incertezza?… Registrate nei miei appunti, mi balzano a proposito davanti agli
occhi alcune affermazioni contenute nella relazione intitolata «I lumi spenti:
i giovani tra irrazionalismo e nuove mistiche» del giovane scrittore Enrico
Brizzi pronunciate tre anni fa al Convegno Letterario Internazionale di Ferrara
«L'Immaginario Contemporaneo» (21-23
maggio 1999): «La grande incertezza dei tempi attuali pare risolversi in una
diffusa isteria autoalimentata da tensioni sociali e da una capillare mancanza
di consapevolezza… L'importante è rendersi conto di come siamo quotidianamente
visitati e contagiati da forme di disagio che vanno dall'atteggiamento
gladiatario di molti automobilisti alla
mancanza di solidarietà nel tessuto sociale. Siamo sospesi tra l'alienazione da
superlavoro e l'auspicata mobilità lavorativa all'americana… Siamo sospesi tra
i congedi al secolo nichilista e i brindisi per un nuovo millennio… Siamo
sospesi tra le autoaffermazioni di potenza individuale (di cui le cattive
profetesse della libertà sessuale sono splendide corifee) e l'ospedalizzazione
a domicilio tramite terapeuti, psicofarmaci e maghi d'ogni setta… Le madri sono
le migliori amiche delle figlie, i padri dei figli. Le figlie sono madri delle
loro stesse madri scombussolate. I figli sono padri dei padri disillusi e
frustati che portano a casa pagnotta e travasi di bile… Per le strade girano
silenziosi gli epigoni dei movimenti giovanili, gli scaltri teen-ager
agghindati da fiera delle vanità, aggressivi e alienati un tanto al kilo, e non
mi sembra che le massaie al supermercato abbiano una luce felice negli occhi.
C'è sospetto. C'è tensione. Ognuno contribuisce all'infelicità altrui. Intanto
i cervelli migliori della mia generazione, assorbite le sbornie e le albe in
riva al mare, si perdono nei cinema e davanti agli schermi baluginanti dei
computer. Nelle strade e nei parchi non c'è più nessuno. Le piazze sono deserti
in mano a guardie e ladri. Si esce la sera solo per incontrare qualcuno di
prestabilito. La paura e la violenza ci sono compagne tutti i giorni, e quando
dobbiamo pescare la carta degli imprevisti già ci fasciamo la testa in attesa
di brutte news. La cattiva stampa faccia il suo mea culpa, please. L'allarmismo
ci sta portando alla paranoia.… Cinquant'anni fa si pensava alla vita come a
qualcosa di indiscutibilmente vero, non di realistico o plagiario come viene in
mente dando retta a certa tivù o a determinati autori minori cosiddetti
d'avanguardia. Ci si sbrana in attesa di un futuro a sorpresa, ma quali
sorprese ci allieteranno quando saremo a brandelli? Le alchimie, le profezie, i
vaticini? Abbiamo bisogno di così tanta sicurezza, o siamo soltanto in attesa
di una Grande Cosa Nuova, di un nuovo rigore e una nuova disciplina? Dietro
l'angolo c'è una visione più umana o un nuovo fascismo? I sogni gentili di
Martin Heidegger o le peggio allucinazioni di George Orwell? Nella fuga centrifuga di tutti noi c'è una certezza
sola: il positivismo è finito, la fiducia nelle sorti progressive è svanita, i
lumi della razionalità in grado di gettare luce e mostrare inequivocabilmente
la via sono spenti per sempre…» Da queste parole e da tante altre simili a
maggio saranno trascorsi tre anni ed io mi domando: è cambiato in positivo
qualcosa da allora? Ho paura di rispondere… La risposta la sappiamo tutti…
Continuerei ora la riflessione con le affermazioni contenute nella relazione
intitolata «Perso per sempre?» di Valentin Rasputin, sentite sempre al
succitato convegno ed a tre anni di distanza ancora attuali: «Il mondo odierno
costituisce il crollo di tutte le speranze che hanno portato conforto
all'umanità nel percorso della sua intera storia, di tutte le speranze che hanno
stimolato le varie forme di attività di questa umanità, a partire da quella
pratica per arrivare agli ideali etici. Oggi questo crollo delle aspirazioni di
tante generazioni è sempre più evidente sia in terra che in cielo. È comodo per
noi far finta di non sapere se viviamo già nello spazio della catastrofe o
soltanto se ci stiamo avvicinando ad esso… John Locke diceva un tempo che è
inutile parlare di moralità, quando si tratta dello stato e della politica. A
distanza di tre secoli, decine e centinaia di predicatori dichiarano che è
ugualmente privo di senso parlare di moralità, quando si tratta di cultura. La
cultura si è presentata sempre in duplice aspetto , esprimendo il meglio con le
forme migliori, la bellezza morale congiunta alla bellezza artistica.
Nell'attuale situazione, rinunciando all'essenza spirituale della vita, essa ha
perduto anche la possibilità di esprimersi attraverso la bellezza e l'armonia
delle forme… Oggi la letteratura si
muove piuttosto su un piano orizzontale, con scopi venali, non esiste il
peccato, non esiste la santità, non esiste né il bene né il male, il mondo è
solo un mercato dove regna la legge della domanda e dell'offerta. Oggi nella
società è considerato etico ciò che piace alla maggioranza, in base alla
valutazione del mercato; la letteratura ha rinunciato alla sua missione di
offrire al lettore il piacere estetico e spirituale ed è passata a titillare i
sensi in una visione materialistica del piacere. Il patto di neutralità tra
bene e male non poteva durare a lungo; il male paga meglio e si comporta in
modo più stimolante e meno noioso. Sant'Antonio lo aveva intuito sin dal IV
secolo, quando diceva: "Arriverà un tempo in cui ti diranno: sei pazzo,
poiché non vuoi partecipare della pazzia universale; ma noi ti ridurremo uguale
a tutti gli altri". Poco prima di morire, il geniale Fellini riconobbe che
il cinema contribuisce alla degradazione dei costumi, ma aveva paura di
protestare per non sembrare neoprogressista. Sono passati sedici secoli tra la
profezia di Sant'Antonio e la confessione di Fellini, ma la profezia negli
ultimi trenta-quarant'anni si è compiuta… Il mondo è impazzito e l'uomo
inserito nella quotidianità non sta nemmeno a pensare a quel che gli succede
intorno…» Rileggendo gli appunti di affermazioni interessanti, che non perdono
purtroppo la loro attualità, fatte sempre in quel congresso da Stefano Zecchi
cerco qui di farne un essenziale riassunto: il nichilismo moderno non è la
conseguenza della tecnologia e dei suoi linguaggi, ma la causa. In questo secolo
l'arte ha rinunciato all'espressione, a un'espressività fatta di simboli e
di e di bellezza vivente. Le grandi
avanguardie hanno teorizzato la fine di ogni eccellenza comunicativa, hanno
adeguato i propri linguaggi a quelli
tecnico-scientifici. Era inevitabile che depotenziandosi il linguaggio
espressivo dell'arte - basato sui principi dell'educazione estetica, che a loro
volta erano fondamento dell'eticità della convivenza civile -, tutto il sistema
comunicativo finisse per perdere progressivamente la sua antica funzione di
costruzione umanistica dell'uomo. La crisi della comunicazione artistica ha
prodotto la crisi del dialogo del linguaggio che istituisce differenza e
identità, che detiene la responsabilità della descrizione e dell'interpretazione,
che possiede eticità. La dissoluzione delle forme espressive dell'arte annulla
i fondamenti dell'eticità; l'oblio o la o la derisione della bellezza rinnegano
ogni esperienza di verità. Nel sistema di comunicazione di massa c'è assenza di
grandi opere. La tecnologia ed i suoi linguaggi hanno dato un colpo forse
mortale al fondamento umanistico della nostra cultura. L'efficacia di questi
linguaggi è tanto più forte e diffusa quanto più essi si emancipano dalla
scrittura. I nuovi sistemi comunicativi, le tecnologie informatiche non trovano
più un punto di resistenza e di confronto nella tradizione umanistica:
ereditano e sviluppano la disgregazione della cultura di questo secolo, nata
dagli sperimentalismi artistici, letterari, musicali delle avanguardie. La
teorizzazione sempre più convinta e argomentata dell'antiumanesimo è, infine,
trasformata in un ilare nichilismo che spettacolarizza tutto e omologa ogni
cosa, in grado di assorbire ogni tentativo di opposizione facendolo proprio.
Purtroppo viviamo immersi nell'esteticità delle rappresentazioni, nelle
apparenze belle e fuggevoli: la nostra esperienza quotidiana è dominata da
questa seduttiva esteticità, dal kitsch immaginario che inducono al consumo,
alla leggerezza, a una dialogicità superficiale o inconsistente, che dissolvono
ogni elemento di simbolicità dell'esistenza.
Termino ora questa riflessione condotta
attraverso le parole di alcuni esponenti della letteratura e della cultura con gli auguri di buona Pasqua. A risentirci quindi in estate, nel mese di luglio, e buona
lettura!