TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

S.O.S. Terra

Di Silvia Cordella

 

 

“I quattordici anni più caldi a partire dal 1866 si sono avuti tutti dopo il 1980. L’aumento del ‘98 ha battuto ogni record nei suoi primi sette mesi, le catastrofi legate al clima hanno prodotto danni per oltre 72 miliardi di dollari, il massimo mai registrato.” Questa è una delle tante notizie apparse sui quotidiani l’inverno scorso, dopo che l’uragano Mitch abbattuto nel Centro America, causò oltre 3 milioni di profughi. 
All’origine dei bruschi cambiamenti climatici e delle calamità naturali che da qualche tempo investono gran parte delle nostre terre, vi é un fenomeno a tutti noto come “effetto serra”.
Fin dalla sua nascita, l’uomo ha cercato di adattarsi il più possibile all’ ambiente circostante. Il suo lungo percorso nella storia, ha dato vita a un progressivo sviluppo tecnologico sempre più forte. La sua volontà di trovare uno stato sociale soddisfacente, lo ha spinto ad ottimizzare le sue ricerche scientifiche, filosofiche, spirituali e materiali, fino a raggiungere gli obiettivi programmati. La razza bianca occidentale ha saputo sfruttare al meglio, e più di qualsiasi altro, le proprie risorse e anche quelle altrui, così, tra un problema e l’altro, ha scavalcato la vecchia cultura produttrice “artigianale” arrivando a quella “industriale”. Questo passaggio non sarebbe stato poi così negativo se non fosse per gli effetti dannosi ad esso correlati.
La crescita demografica nelle città e le esigenze dipese da essa, hanno scatenato, in modo sempre crescente, il boom industriale. Ma se da una parte questa evoluzione ci ha permesso uno sviluppo pratico ed efficiente, dall’altra ci ha condotto verso una inadeguata capacità di gestire le conseguenze, dannose per la nostra salute e per l’ambiente in cui viviamo. 
Le industrie addette alla produzione energetica dell’intero pianeta lavorano principalmente alla raffinazione e alla combustione del petrolio e del carbone. Il trattamento di queste materie prime permette il riscaldamento domestico-industriale, l’utilizzo delle auto e di vari macchinari industriali, sprigionando però nell’atmosfera un grosso quantitativo di “gas serra”. 
I “gas serra artificiali” rilasciati dalle attività umane, evaporano nell’aria ispessendo la fascia dei “gas serra naturali” che proteggono e regolano da sempre l’energia termica del pianeta, mantenendola costantemente ad una temperatura di +15°C.
Queste particelle, rilasciate dal consumo umano, hanno recato un grosso squilibrio dei valori gassosi presenti naturalmente nella nostra aria, contribuendo notevolmente all’innalzamento della temperatura media globale, dando origine ad un fenomeno termico simile all’ effetto di una serra. 
Inoltre alcune di queste particelle, in particolare i clorofluorocarburi (CFC), i fertilizzanti azotati utilizzati in agricoltura e gli ossidi di azoto, usati nei processi di combustione (riscaldamento domestico, industriale e nei trasporti), contribuiscono enormemente all’assottigliamento dello strato di ozono (nel 1998 il buco di ozono avrebbe raggiunto in Antartide una superficie pari a 25 milioni di km quadrati, cioè 2,5 volte le dimensioni del continente europeo). 
Ma al di là delle conseguenze provocate dall’assottigliamento dello strato di ozono stratosferico detto volgarmente “buco dell’ozono”, dobbiamo obbligatoriamente soffermare la nostra attenzione sui danni provocati dall’ozono nella troposfera (lo strato più vicino alla superficie terrestre). 
In assenza di agenti inquinanti in atmosfera, le massime concentrazioni di “ozono troposferico naturale” sono di 0,03 ppm (parti per milione). L’ozono troposferico inquinante si forma invece in seguito a complesse reazioni chimiche in presenza di radiazione solare e temperature elevate, tra i composti organici volatili (VOC) e ossidi di azoto(NOx), emessi soprattutto dal traffico veicolare, dagli impianti di combustione delle industrie, dalle centrali termoelettriche e dagli inceneritori dei rifiuti. La sua reattività è dannosa per la nostra salute e responsabile dello smog fotochimico e ancora dell’effetto serra.

Il contributo maggiore (50%) al surriscaldamento della Terra arriva senza dubbio dall’aumento di anidride carbonica (CO2) prodotta dalla combustione dei combustibili fossili* e dalla diminuzione delle foreste, le quali risultano ormai insufficienti ad eliminare gli eccessi generati.
Il metano assume il secondo posto contribuendo per il 19% al danno ecologico, poi vengono i clorofluorocarburi(CFC) con il 17%, l’ossido di azoto (NO2) con il 4%, l’ozono troposferico di bassa quota con l’8% e il vapore acqueo atmosferico con il 2%.
*I prodotti della combustione fossile sono costituiti da vapore acqueo, ossido di carbonio, ossido di zolfo, idrocarburi incombusti, ossido di azoto, IPA, metalli pesanti, elementi radioattivi e particelle sospese. 
Il surriscaldamento atmosferico provocato dalla densa cappa dei gas rilasciati, genera un’ alterazione climatica notevole che si manifesta poi sottoforma di alluvioni, uragani, disgelo ecc... 
Inoltre questi elementi, presenti in concentrazioni sempre maggiori nelle città, oltre ad aggravare gli effetti sul clima, hanno un’azione estremamente dannosa per l’essere umano che li inala quotidianamente. Alcuni di loro sono cancerogeni, e radioattivi, un’esposizione lunga nel tempo provoca disturbi più o meno gravi al sistema cardiovascolare, all’apparato respiratorio e a quello nervoso. 
Cosa fare ?
Per quanto riguarda l’anidride carbonica (CO2) in eccesso, potremmo in teoria ricevere un grosso aiuto dalle nostre foreste, peccato però che le grandi compagnie di legname le distruggano. Greenpeace, per evitare il più possibile questo disastro, ha deciso di trasferire una sua troupe in mezzo al grande polmone brasiliano (vedi box sulla deforestazione). E’ chiaro che la riduzione degli alberi penalizza consequenzialmente una eliminazione efficace della CO2 in eccesso. 
Purtroppo le conseguenze di un mercato opportunista rivolto a favorire l’autorità economica delle più grosse multinazionali, è ancora protagonista dei più grandi danni ambientali e sociali di tutta la storia dell’uomo. Inoltre, per ottenere concorrenza economica ed entrare a far parte del mercatointernazionale, alcuni Paesi come Asia, India e Cina, impediscono una seria politica risanatoria per l’ambiente.
Vediamo quindi che i problemi dati dall’inquinamento e dal surriscaldamento umano si sommano sempre di più, e più ci addentreremo nell’argomento, più capiremo la concatenazione dei problemi correlati ad esso, e l’urgenza di un serio provvedimento di recupero. Come afferma Grazia Francescato, leader del WWF : “E’ necessario che avvenga il matrimonio tra economia ed ecologia”. Ciò risolverebbe gran parte dei problemi sociali e attuali della nostra civiltà, anche se ci sembra un ideale difficilmente realizzabile visto che sono chiamati a rispondere proprio i poteri economici dominanti sulla Terra. Tutti noi, dalle nostre case, siamo stati più volte testimoni di come il denaro sia stato in grado di convincere, cambiare, nascondere e confondere verità a menzogna, legalità a illegalità, giustizia a compromesso, ci auguriamo ora, che coloro i quali detengono il dominio economico, attuino una politica alternativa rivolta al risanamento del nostro ecosistema. La società odierna, ha purtroppo fondato il suo modello di sviluppo su delle basi assolutamente inadatte per la sopravvivenza del pianeta, l’unica alternativa valida è la “riforma energetica”.
I principali consumatori dei componenti inquinanti rilasciati dalla nostra tecnologia siamo noi, noi che ogni giorno, per poter usufruire delle comodità, facciamo un uso, spesso improprio, di acqua calda, riscaldamento, trasporti privati, plastica, detersivi, pesticidi, ecc.. ecc... 
La frenesia di riuscire ad organizzare il nostro tempo non ci permette di capire dove e come lo stiamo perdendo... L’obiettivo principale di ognuno di noi é vivere, ma non ci accorgiamo che ogni giorno ci prepariamo a morire. A dimostrarlo sono le statistiche sulle malattie tumorali, quelle all’apparato riproduttivo, i crescenti decessi dovuti agli infarti cardiaci e l’aumento delle patologie tropicali; conseguenze anch’esse dello smog e dell’effetto serra.
Bombardati da pubblicità a sfondo erotico e da giochi a premi del pomeriggio, non ci accorgiamo della nebbia che separa la nostra conoscenza dalla realtà delle cose. I media nazionali infatti, non si interessano o non approfondiscono adeguatamente le conoscenze scientifiche sui problemi che ci riguardano da vicino, come la vita dell’umanità. Notiamo una certa leggerezza nell’affrontare eventi scottanti, legati ai pilastri dell’economia mondiale, mai una indiscrezione, mai un commento sulle statistiche ambientali. E’ raro infatti sentir parlare di come, per esempio, la “Shell” contribuisca fortemente ad aggravare l’effetto serra. Diciamo pure che la critica in TV può avere effetti negativi sulle emittenti, perciò si preferisce non toccare questo tipo di argomenti. Se di tanto in tanto qualche giornalista ne proferisce parola, la notizia resta marginale o comunque parte di un insieme di nozioni a noi estranee, perché considerate lontane dalla nostra realtà quotidiana, finché un giorno le conseguenze non ci piomberanno addosso con tutto il loro peso. La maggior parte di noi, infatti, non presta più attenzione neanche alle notizie fugaci dei TG. Sono le nostre piccole cose ad assorbire tutto il nostro tempo: la chiusura tra le nostre mura domestiche ci intorpidisce la mente e il cuore, facendoci accettare passivamente tutto ciò che accade fuori dalla nostra “cittadella”. Così, tutto passa inosservato ai nostri occhi; ed intanto...

EMERGENZA GHIACCI

Secondo alcuni rapporti scientifici, nel 2100 si avrà un incremento della temperatura di 4°C e un innalzamento dei mari oltre i 50 cm, già saliti nell’ultimo secolo di più di 25cm, mentre lo scioglimento del permafrost (sottosuolo Artico) è già in corso. Andremo così incontro all’estinzione di sempre più numerose specie animali e vegetali, ad un aumento di varie patologie umane, come la malaria e la febbre gialla, ad un incremento dei profughi fino alla scomparsa definitiva di alcune culture.
Un crescente aumento della temperatura ai Poli, 3 volte più rapida della media, fa seriamente preoccupare gli esperti. Il surriscaldamento avrebbe ridotto l’estensione di ghiaccio in Groenlandia e della Ogden Feature, una fascia di ghiaccio che regolava fino a ieri le correnti d’acqua dell’Atlantico settentrionale. Dopo gli ultimi cambiamenti ambientali, sembra che la Ogden Feature non possa più svolgere quel ruolo, così si teme una mutazione del clima accentuata dalla Corrente del Golfo, nelle regioni dell’Europa settentrionale, rendendole più calde della norma. 
Le colonnine di mercurio hanno registrato un aumento delle temperature anche in Siberia e in Alaska, spostando verso nord la foresta boreale e stimolando una ulteriore emissione di gas, quali il metano e l’anidride carbonica. Per fare un esempio, citiamo la tundra dell’Alaska che assorbe da migliaia di anni il diossido di carbonio presente nell’atmosfera. Quando le piante muoiono, prima della loro decomposizione, si congelano in strati permanenti di permafrost, immagazzinando il diossido di carbonio presente nell’aria. Nel 1993 però, è iniziato il processo di disgelo della tundra. Secondo Walter Oechel, della San Diego State University siamo di fronte al riscaldamento Artico, “aumentato di 4°C in soli vent’anni”. E’ chiaro che col disgelo anche il diossido di carbonio si libererà nell’ atmosfera.
I primi allarmi polari, risalgono al gennaio del 1995 quando un enorme pezzo di ghiaccio si staccò dall’Antartide. Una banchisa spessa oltre 300 m e larga più di 60 km si frantumò in numerosissimi pezzi finendo in mare. Due mesi più tardi, una spaccatura lunga circa 65km si manifestava in una zona più a settentrione, nella piattaforma di Larsen, tutto ciò a causa di un aumento delle temperature di 11°C negli ultimi vent’anni. 
Il prolungamento della stagione estiva, la diminuzione dei ghiacci insieme alla mancanza di alcune specifiche alghe, ha causato in Antartide l’estinzione di alcune specie di pinguini. Si teme inoltre nella stessa regione antartica un cedimento della sua parte occidentale, appoggiata direttamente sul fondo oceanico. Le conseguenze potrebbero essere inimmaginabili, le inondazioni potrebbero sommergere molti continenti e molte città di bassa quota come Londra e Giakarta. 
Ma questa previsione non è valida solo nel caso in cui si stacchi una parte della calotta polare, anche il processo di scioglimento avrebbe nel tempo simili, anche se più lente, conseguenze. Il disgelo legato all’effetto serra è un grosso problema per la sopravvivenza dell’uomo, una questione che richiede immediate soluzioni.
Le superfici di ghiaccio, infatti, investono un ruolo determinante nella termoregolazione globale: fungendo da specchio terrestre, respingono gran parte del calore solare. Il disgelo, e la scoperta della crosta sottostante, fanno si che le rocce assorbano il calore atmosferico, riscaldando maggiormente la calotta glaciale, l’aumento del livello dei mari e le inondazioni costiere, sarebbero le conseguenze di questo delicato processo.
Lo scioglimento dei ghiacci, i violenti uragani, il caldo torrido, il cambio repentino del clima, la sua instabilità degli ultimi anni, sono chiari moniti del forte squilibrio ambientale, e mentre alcuni “esperti” continuano a discutere sulla possibilità che questa ipotesi sia reale, scienziati e climatologi studiano seriamente gli effetti del riscaldamento globale, per loro in fase avanzata. Alcuni personaggi però, non ritengono l’opinione pubblica pronta ad affrontare questa tipologia di argomento, così si preoccupa accuratamente di tenere il più possibile nascosta tale informazione. 

INSTABILITÀ’ CLIMATICA E CRISI ECONOMICA

Nel 1988, l’ONU istituì l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) comitato intergovernativo sul cambiamento climatico. Furono chiamati a partecipare 2500 scienziati fra i più importanti nel mondo, al fine di identificare e valutare chiaramente gli effetti del riscaldamento atmosferico. I gruppi scientifici istituiti per i lavori, espressero in quell’occasione una forte preoccupazione dovuta all’urgenza di un’ immediata risoluzione. 
Secondo alcuni studi, pare che prima di una totale dissolvenza dei gas serra, occorrano alcune centinaia di anni, vale a dire che se da oggi partissero gli impianti a energia pulita, subiremmo per parecchio tempo ancora, gli effetti del vecchio sistema energetico.
Come vediamo, correre ai ripari è la parola d’ordine, non vogliamo essere catastrofisti, ma se le cose non dovessero cambiare, o meglio se il sistema economico-energetico dovesse restare come quello attuale, fra circa cento anni le temperature globali salirebbero di 3-4°C. Questo cambiamento viene comparato, da alcuni scienziati, alla differenza del passaggio climatico dall’era glaciale a quella moderna.
A questo punto ci chiediamo: perché non è stata attuata ancora una politica di decontaminazione e di alternativa al problema “effetto serra”?
Per capire realmente la risposta, dobbiamo addentrarci nella diplomazia economica, fautrice del bello e del cattivo tempo in ogni situazione e in qualsiasi Paese. 
Il petrolio ha un giro d’affari annuo che supera il trilione di dollari. I suoi derivati mantengono quotidianamente il nostro fabbisogno energetico. Il sostentamento di molte nazioni (Paesi Mediorientali, Messico, Russia, Venezuela, Nigeria, Indonesia, Norvegia, Gran Bretagna...) viene dall’economia legata a questa fonte naturale e alla sua raffinazione. La caduta di tale patrimonio, danneggerebbe tantissimi investitori e tutto il sistema energetico mondiale andrebbe letteralmente in crisi. 
Le grandi Corporations mondiali, petrolifere e carbonifere, dopo svariati tentativi di opposizione e di contrasto nei confronti dei climatologi e degli scienziati incaricati di seguire l’effetto serra, si trovano ora costrette a riconsiderare completamente il mercato economico energetico, d’altra parte l’IPCC (International Climate Change Partnership) vorrebbe che fossero proprio queste imprese a progettare e gestire la nuova alternativa.
La loro adesione a tale iniziativa non ci infonde comunque troppa tranquillità, dato che, come hanno sempre fatto, cercherebbero, per motivi professionali e aziendali, il modo di ottimizzare le loro produzioni nella forma più vantaggiosa, probabilmente sottovalutando le esigenze ambientali e quelle sociali dei Paesi in via di Sviluppo.
Anche le compagnie di assicurazione temono il peggio. Dopo gli ultimi uragani, cicloni, incendi e inondazioni che hanno letteralmente messo in ginocchio Paesi come l’America, l’Asia e l’Europa, il settore assicurativo ha sborsato dal ‘90 al ‘95 oltre 30.000.000.000 di dollari l’anno, tanto che ora si astengono dall’ assicurare i propri clienti contro i danni ambientali.

ENERGIA PULITA?

Siamo decisamente al punto di svolta, questo potrebbe essere il pretesto per l’utilizzo dei vari metodi, peraltro già sperimentati e funzionali, di un’energia diversa e pulita che avrebbe come diretto risultato, tra le altre cose, una drastica riduzione delle patologie umane. “...Per promuovere questa iniziativa”, dice il Dott. Ross Gelbspan, vincitore del Premio Pulitzer per il giornalismo, autore del libro “Clima rovente”, “si potrebbe utilizzare la stessa forza lavoro, attualmente impiegata nel settore petrolifero e carbonifero”. “Occorre però una seria presa di coscienza da parte di ogni singolo uomo, una collaborazione scientifica ed economica generale, volta, al solo successo del risultato finale”.
In questo passaggio tecnologico, le industrie imputate, dovranno forzatamente adattarsi, favorendo un’economia energetica che rispetti le leggi naturali della Terra. 
Nella soluzione del problema ci sarebbe da affrontare un’altra non trascurabile difficoltà.
I Paesi in via di sviluppo si trovano come sempre svantaggiati rispetto alle corporations più ricche, e se le risorse finanziarie destinate alla costruzione dei nuovi impianti , non fossero equamente suddivise fra tutte le nazioni del mondo, se a monopolizzare la nuova scienza fossero ancora queste aziende, i paesi più poveri subirebbero ancora una volta lo schiacciamento dei grandi leader economici. Un impatto questo, che marcherebbe ulteriormente le differenze sociali tra Stati ricchi e Stati poveri, i quali si vedrebbero costretti ad usufruire ancora del vecchio sistema energetico.
Fino a poco tempo fa, nel ‘97 per esattezza, e non possedendo dati recenti a dimostrazione del contrario, la Banca Mondiale continuava a finanziare progetti in cui energia combusta e petrolifera prendevano il sopravvento. Secondo alcune fonti, sempre nello stesso anno, sarebbero stati spesi 9,4 miliardi di dollari col progetto di spenderne altri 4,1. Questa iniziativa era destinata all’ aiuto dei Paesi poveri, in aree prive di qualsiasi fonte energetica. Secondo il WWF solo 2 dei 56 progetti della BM, raggiunsero lo scopo prefissato. In base a uno studio dell’Institute For Policy Studies e dell’International Trade Information Service, “...la maggior parte dei finanziamenti si traduce in profitti per le industrie e solo il 10% viene speso per dotare le popolazioni di elettricità o di fonti energetiche alternative”. “Si valuta che i progetti già approvati aggiungeranno circa 36.000.000.000 di tonnellate di anidride carbonica per anno, alle 27,6 già prodotte”. Oltre alle aree in via di sviluppo, la BM finanzia altrove imprese che poi si rivelano dannose per l’atmosfera terrestre. In Russia, per esempio, cooperò con alcune miniere private di carbone che nel loro complesso emetterebbero una quantità di gas ad effetto serra pari a 10 volte quella correntemente emessa in un anno. Al tempo stesso, paradossalmente, la BM finanziava il Global Environmental Facility, un’istituzione che si occupava proprio di individuare strategie per combattere il surriscaldamento atmosferico”. 
Mentre la burocrazia speculativa e gli interessi economici congelano i provvedimenti, l’urgenza di un’adeguata soluzione incalza sempre di più. Gli allarmismi arrivano sempre e inevitabilmente dopo il passaggio di un qualche uragano, al conteggio finale delle vittime o al bilancio dei senza tetto, oppure allo stanziamento dei dollari destinati alle ricostruzioni. 
Risulta essenziale oggi, attuare un sistema energetico ecocompatibile. Alcuni progetti sono funzionali e si realizzano a un costo notevolmente basso, ma se nessuno li richiede non verranno mai pubblicizzati. Molti passi avanti sono stati fatti grazie alla voce degli ambientalisti e di molte altre organizzazioni, questo significa che con un eco più grande si possono cambiare leggi e sistemi politici. Diventa, alla fine, una ricerca di ogni singolo uomo, ognuno deve essere protagonista della propria vita, della propria scelta, di mangiare il biologico o il transgenico, di usare un’energia che inquina piuttosto che un’energia pulita.
“...E che dire della Terra, questo bellissimo pianeta pieno di vita nel quale viviamo da secoli, mai valutato nel modo giusto. 
Durante la sua evoluzione, l’umanità si è sempre preoccupata di sopraffare a tutti costi qualunque cosa pur di ottenere ricchezza economica e potere personale, non ci siamo curati di lei né tantomeno di creare un sistema di vita sano ed efficiente uguale per tutti. La Terra, questo bellissimo astro azzurro immerso nel grande blu infinito, è ammalata. La nostra frenesia e il nostro disinteresse hanno minacciato fortemente la sua salute e la sua stabilità fisica, ora siamo tutti chiamati in causa ad assistere davanti al suo capezzale, ai suoi spasmi e alla sua lotta per la sopravvivenza. Vorremmo non dover raccontare un giorno, di una civiltà vissuta anticamente sulla Terra, estinta per colpa della propria avidità e del proprio egoismo. Vorremmo poter contribuire alla guarigione di questa nostra casa, vorremmo ancora, collaborare con tutte quelle associazioni che, al di là delle proprie credenze politiche e religiose, lavorano per ristabilire la salute, la dignità e la pace di questo meraviglioso pianeta. 

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ACCORDI INTERNAZIONALI SUL CLIMA RIO - KYOTO
- BUENOS AIRES (‘92 - ‘97 - ‘98)

In occasione delle conferenze dell’ONU sull’ambiente e sullo sviluppo, la comunità internazionale consapevole ormai di tutti i rischi derivati dal surriscaldamento del pianeta, sottoscrive un trattato per fronteggiare gli effetti e ridurre l’emissione dei “gas serra” prodotti dalle attività industriali ed urbane. L’impegno dei paesi industrializzati è quello di diminuire questi gas entro il 2000, peccato che la maggior parte di loro non abbia rispettato gli accordi. 
Gli USA, per esempio, dopo il summit di Rio de Janeiro, avrebbero aumentato la concentrazione di anidride carbonica del 13%, l’Unione Europea e il Giappone del 6%.
I soli Paesi occidentali avevano già prodotto tra il ‘90 e il ‘95 un aumento di gas del 4%.
L’Unione Europea durante il summit di Rio, propose che fossero gli stati più industrializzati a ridurre per primi il 15% dell’emissione di CO2 N2O CH4 entro il 2005. Anche se, secondo l’AOSIS, organismo che riunisce le isole dei Paesi in via di sviluppo, tale percentuale sarebbe stata insufficiente. Secondo i loro studi, era necessaria una riduzione minima del 20% entro il 2005. Pare che però, alcuni stati come gli USA, Giappone e Canada si siano invece rifiutati di intraprendere iniziative esplicite per la riduzione dei gas serra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GREENPEACE PROPONE LA CASA ECOLOGICA

Greenpeace si batte per convincere i governi e le industrie di tutto il mondo che una rapida riduzione dei gas climalteranti è non solo urgente, ma facilmente praticabile. Dal 1992 (anno del Summit della Terra di Rio de Janeiro) ad oggi, Greenpeace ha promosso diverse “soluzioni” per combattere l’effetto serra che, puntualmente, sono state ignorate o prese in considerazione con notevole ritardo dalla classe politica ed industriale. 
Greenpeace ha organizzato un tour con la casa ecologica (Mobil) del centro di ricerche ambientali Energie und Umweltschutzung di Springe (Germania), allo scopo di promuovere anche nel nostro paese il risparmio energetico e la produzione di energia da fonti rinnovabili pulite, come l’eolico e il solare. 
In Italia, Greenpeace ha da anni attivato una Campagna Clima. Nell’estate 1998 ha lanciato un’iniziativa per la promozione del solare termico denominata “Alla scoperta dell’acqua calda…”. L’obiettivo è quello di far crescere un mercato che attualmente vede l’Italia nelle ultime posizioni in Europa, nonostante il buon livello di insolazione di cui gode il nostro Paese. 
In tutto il mondo Greenpeace organizza iniziative (interventi dimostrativi) promozionali, come la fornitura di energia elettrica fotovoltaica per eventi musicali o per l’alimentazione di cucine elettriche, dimostrando che l’energia solare ha “il potere di cambiare”. 

Le richieste di Greenpeace: 

Eliminare l’uso del carbone, poiché, tra i combustibili fossili convenzionali, è quello che presenta il più alto tasso di rilascio di gas serra a parità di energia prodotta; 
(Introdurre meccanismi) di abbandono progressivo dell’esplorazione e dello sfruttamento delle riserve di petrolio e gas già note; 
Cancellare i piani di espansione per l’esplorazione di nuove riserve, comprese quelle non convenzionali; 
Trasferire i sussidi destinati alla produzione ed utilizzo del petrolio e degli altri combustibili fossili allo sviluppo (investire) delle fonti energetiche rinnovabili come il solare e l’eolico.

 

 

 

 

GREENPEACE: “l’ultimo grande polmone della Terra”

Secondo un rapporto di Greenpeace, non più di un quinto della foresta amazzonica originaria sarebbe rimasto intatto. “Le multinazionali del legname stanno minacciando l’integrità di questa terra meravigliosa. Dopo aver esaurito le foreste del Sudest Asiatico e dell’Africa Centrale, le grandi compagnie asiatiche, nordamericane ed europee si stanno ora spostando sull’Amazzonia brasiliana, attratti dall’incredibile volume di legname presente, circa 60 miliardi di m cubi. Si tratta di compagnie dotate di grande potere economico, alcune delle quali con consolidata fama di abusi sociali e ambientali.” “...In appena tre decenni, sono stati distrutti più di 55 milioni di ettari di foresta, l’equivalente di una regione vasta quanto la Francia. Nel corso degli ultimi decenni la quota amazzonica nella produzione di legname del Brasile è salita dal 14% al 85%, tanto che solo nel ‘97 la regione ha fornito almeno 28 milioni di mq di legname. 
Fonti ufficiali ammettono che l’80% di tale produzione è illegale. Ma anche l’estrazione legale è distruttiva: impiega tecnologie inadeguate così che i due terzi di legname vengono sprecati.
La crisi finanziaria asiatica ha accelerato lo spostamento delle grandi compagnie verso il Brasile, e al tempo stesso la svalutazione della moneta brasiliana, il Real, ha reso economicamente competitivo il legname brasiliano sul mercato internazionale, tanto che si prevede un aumento del 20% delle esportazioni di legname. In un decennio, 25 compagnie europee, asiatiche e statunitensi si sono insediate in Brasile, arrivando a gestire quasi la metà delle esportazioni. Da sole, otto di queste compagnie possiedono un pezzo di terra grande quanto il Belgio. Solo una di esse opera sulla base di certificazioni d’impatto ambientale (Forest Stewardship Council - FSC) e solo un’altra ne ha fatto richiesta. Una di queste grandi compagnie è in grado di produrre annualmente oltre 150 mila m cubi di legno lavorato, circa 30 volte la produzione di una compagnia locale di medie dimensioni. Il pericolo di una deforestazione su larga scala rischia di distruggere specie animali e vegetali, legate indissolubilmente alle condizioni ambientali e climatiche della foresta. Il disboscamento ha già causato sensibili mutazioni nel microclima e esiste la possibilità che un suo aumento acceleri i mutamenti climatici in larga scala.
La foresta amazzonica è una delle ultime risorse naturali che siamo ancora in grado di proteggere, ma bisogna intervenire subito. Anche da questo dipenderà il nostro futuro.”

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