Venerdi' scorso, 9 febbraio, come Coordinamento per il "No alle bombe", abbiamo incontrato i lavoratori della SEI Esplosivi di Domusnovas, i cittadini del paese, le associazioni e le parti sociali. Durante la discussione che si e' sviluppata ci siamo accorti di ... avere sbagliato a non evidenziare, da subito e con maggior forza, il nostro essere assieme e non contro i disoccupati di Domusnovas. Abbiamo sbagliato nel presentare solo alternative lavorative basate sul binomio "mare & ambiente", anzi abbiamo sbagliato nel cercare di proporre, noi soli e un po' sbrigativamente, "nuove" iniziative imprenditoriali. Un nuovo modello di sviluppo sul territorio infatti, non puo' non essere un percorso piu' lungo di una prima chiacchierata ed elaborato insieme da tutte le parti sociali. Siamo sicuri pero' di non esserci sbagliati nell'affermare che il nostro spirito e la nostra terra non devono essere ulteriormente oppresse e martoriate da una fabbrica di esplosivi militari.

Un primo aspetto importante da sottolineare e chiarire e' che la SEI non sta chiudendo la produzione civile a Domusnovas e licenziando gli attuali occupati. La SEI intende creare pochi posti aggiuntivi con un grosso impegno economico (dodici miliardi, di cui il 50% sottoposti a richiesta di finanziamento pubblico). Pertanto, al momento, la domanda piu' interessante dal punto di vista economico ed occupazionale, e' se sia possibile creare gli stessi posti di lavoro con meno soldi e con
altre inziaitive, piu' rispettose dell'ambiente, della pace, della crescita e della salute, dei lavoratori e dei cittadini.
La nostra opinione e' che un tale scenario sia non solo possibile ma anche dimostrato nel nostro territorio dalla nascita di piccole e medie imprese e dallo sviluppo incredibile delle nuove tecnolgoie informatiche (la Sardegna e' fra le regioni col maggior numero di disoccupati laureati, pensate la potenzialita' di creare occupazione qualificata!)

Una seconda osservazione e' che la SEI di Brescia, stretta fra l'aereoporto militare e la cittadina di Ghedi, non vede l'ora di trovare
ospitalita' in luoghi piu' ampi e meno severi (a Ghedi sono gia' mortitre operai ed e' esploso un bunker, con danni al paese). Questo
significhera' una chiusura a Ghedi (ove attualmente sono occupate circa 60 persone) e di conseguenza un buon numero di licenziamenti. Anche se la disoccupazione nel bresciano e' molto bassa, questa si configura come una classica guerra fra poveri.

Una terza ed ultima osservazione: probabilmente, come di norma per le imprese che si stabiliscono sul nostro terriotrio, la SEI manterra' il controllo amministrativo ed il know-how (la progettazione) a Brescia, spostando qui solo la produzione a minor valore aggiunto. Cosi', quando i tempi saranno piu' difficili anche nel Sulcis, la SEI potra' con poca fatica spostare la produzione in luoghi con meno vincoli ambientali e di sicurezza e soprattutto con manodopera a minor costo.

Ai cittadini, ai disoccupati ed ai lavoratori della SEI, la sfida che noi lanciamo e' la seguente: siamo tutti cittadini attivi e dobbiamo progettare assieme il nostro "camminare sulla nostra terra". L'incontro di venerdi' scorso e' stato il nostro primo, incerto e un po' confuso, ma sincero tentativo per andare in questa direzione.