DONALD WESTLAKE, Ma chi ha rapito Sassi Manoon?
A. Mondadori, 1971, 179 p.
(Il Giallo Mondadori ; 1144). - Tit. origin.: Who Stole Sassi Manoon? (c1968). - Trad. di: Romana Rutelli. - Copertina di Carlo Jacono
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Il romanzo

Dal retro di copertina:

"Ma chi ha rapito Sassi Manoon? Domandatelo a Kelly Bram Nicholas IV, lo scienziato mezzo matto che attinge tutte le risposte da Enselaski, il computer navigante, o a Frank Ashford un tipo capace di imitare tante voci, ma tante, che non si sa più quale sia la sua, o a Robby Creswel, il Raffles con la pelle scura, o ancora alla stessa Sassi Manoon, stella di prima grandezza nel firmamento cinematografico, la quale potrebbe anche spiegarvi come mai, prelevata nel bel mezzo di un festivai, in un’isola dei Caraibi, non le importi un corno di essere stata rapita.

Ma perché, poi, non domandarlo a quell’altro pazzoide di Donald E. Westlake, inventore di una nuova formula del giallo-umoristico? In definitiva, potete pazientare un poco e scoprirlo da soli. E vi divertirete un mondo."


Le prime righe

Non c’era nessuno a bordo dello "Sbaraglio IV" quando Kelly ci arrivò, camminando a grandi passi lungo il molo, nel sole abbagliante. Il motoscafo, un dodici metri cabinato da crociera "Nelson & Almen" del 1940, di un bianco splendente, era stato rimodernato di recente, e ora vantava due motori diesel GM 6-71, l’aria condizionata e un castello di poppa completamente attrezzato. Kelly lo aveva acquistato sette mesi prima e da allora nessuno, all’infuori di lui, vi aveva messo piede. Era diventato il suo rifugio, la sua vera casa, il suo mondo segreto. Oggi, tutto ciò stava per cambiare e in fondo a Kelly rincresceva.
Questo era, in parte, il motivo per cui era arrivato in anticipo, quasi un’ora prima dell’una, l’ora fissata per l’appuntamento. Desiderava restare solo a bordo ancora un poco, prima che gli intrusi venissero a invadergli l’imbarcazione e a sovvertire un po’ la sua vita, prima che i suoi piani cessassero di essere innocue fantasticherie per concretizzarsi nella realtà, dalla quale poi non sarebbe stato più possibile retrocedere.
Kelly era un giovane smilzo e occhialuto dall’aria pensosa. Portava scarpe da ginnastica grigie, calzoni kaki e camicia bianca da polo. Saltò cautamente dalla banchina alla tolda e si fermò per scrutare intorno, tanto da accertarsi di non essere osservato. Il sole della Florida picchiava come a negare quanto affermava il calendario, e cioè che si era a novembre; e fra i barbagli e luccichii di tutte le imbarcazioni attraccate al bacino sud di Miami Beach, lo "Sbaraglio IV" splendeva anonimamente bianco-argenteo, niente affatto diverso dalle altre barche ormeggiate lì. Ma era diverso per Kelly, riguardo a qualcosa che lui solo conosceva.
Kelly abbassò la testa e scese la ripida scaletta che portava giù al saloncino, un locale lindo e luminoso con moquette verde e rivestimenti in legno d’acero. Lì sotto faceva caldo, perciò Kelly azionò il condizionatore d’aria; poi passò nella cabina di prua, piccola e stipata, che era il centro della sua vita segreta. Accese la luce e sorrise alla ‘macchina.
-Salve, Enselaski - disse.
Si appoggiò alla mensola dei comandi, le dita delicatamente posate sui tasti. La macchina taceva. Kelly sentiva il dolce sciabordio delle onde contro le fiancate, percepiva il lieve strappo intermittente dell’imbarcazione sulle cime d’attracco. Lo calmava, trovarsi in quel luogo. – Bene - disse alla macchina. - Oggi è il gran giorno. - Scosse il capo sorridendo un po’ perplesso. - Spero proprio che tu non abbia commesso errori - aggiunse.
Kelly, Kelly Bram Nicholas IV, figlio di Kelly Bram Nicholas III, nipote di Kelly Bram Nicholas II, pronipote di Kelly Bram Nicholas, detestava il genere umano ma amava le macchine. Con un padre oppresso dal peso di essere il terzo Kelly Bram Nicholas consecutivo e una madre tirannica di cui solo uno psichiatra avrebbe potuto innamorarsi, l’attuale Kelly Bram Nicholas - per scherno soprannominato Ivy a scuola, a causa del "IV" che chiudeva la lunga teoria dei suoi nomi - era cresciuto nella convinzione che nelle macchine si poteva riporre la più completa fiducia, negli uomini no. Esisteva forse un essere umano provvisto di un pulsante, azionando il quale ci si sentisse dire "Ti voglio bene"? Niente affatto. Esisteva però Casper, l’ultimo modello di bambola-automa che eseguiva a puntino quell’operazione. E anche con sentimento. E perché? Perché all’interno del suo involucro di plastica dalla verosimiglianza perfetta c’era un minuscolo meccanismo intelligente.
Kelly stesso era, in certo senso, una minuscola macchina intelligente; e se tutti i suoi esperimenti in campo scientifico, elettronico, meccanico e chimico si erano conclusi sistematicamente con la distruzione di qualcosa, ciò non voleva dire che si trattasse di veri e propri fallimenti. Infatti, anche se non desiderava distruggere delle macchine - lui le amava, anzi - e anche se non desiderava neppure distruggere degli esseri umani - cosa che, invece, facevano tanti altri - era innegabile che Kelly voleva distruggere qualcosa. Lui stesso non sapeva che cosa.
La sua esistenza era stata un’interminabile serie di vittorie di Pirro. La vita in famiglia, dove il rapporto con sua madre era stato caratterizzato da ciò che si chiama comunemente un conflitto di personalità, aveva fatto di lui, forse, l’unico bambino non viziato di tutta la moderna America; e nell’ambito della scuola, Kelly era stato sistematicamente frustrato dal fatto di appartenere a quella categoria di studenti antisportivi e "conoscitutto", troppo intelligenti per riuscire simpatici. I professori non amano sentirsi inferiori ai loro allievi, e i ragazzi detestano i coetanei troppo sapienti. Se si aggiunge a questo quadro un padre insicuro e incapace che aborre i problemi altrui e le soste troppo prolungate fra le pareti domestiche, appare quasi inevitabile che Kelly diventasse un individuo astioso, solitario, acutamente intelligente e acidamente anti-sociale.
Dopo essere stato buttato fuori al quart’anno di università per aver imparato troppo bene l’ingegneria e assai male l’arte di vivere, Kelly, per istigazione di sua madre, si era trovato di colpo privato delle sovvenzioni paterne. Seguire ulteriori corsi di studio, eventualità già prima giudicata non indispensabile, si rendeva ora impossibile. Disgraziatamente diventava impossibile anche continuare gli appassionanti - seppure spesso "esplosivi" - esperimenti scientifici, che, prima, saltuariamente aveva attuato nei laboratori dell’università. Come effettuarli, ora? E come mantenersi? Lavorare era escluso, la sua preparazione faceva di lui un soggetto negato ad un lavoro proficuo; inoltre lui era socialmente disadatto a stabilire rapporti col suo prossimo.
A questo punto aveva deciso che non c’era un’altra prospettiva per il suo avvenire, all’infuori di questa: un periodo (breve) di attività criminosa, seguito da un’esistenza (lunga) di agi e comodità. E alla ricerca del primo complice, dove mai poteva cadere la sua scelta se non su una macchina? Enselaski, infatti.
Enselaski era stato costruito interamente da Kelly, sullo "Sbaraglio IV", da lui acquistato ad Atlantic City, di quarta mano, ma tutt’altro che a buon mercato. L’imbarcazione era costata cara, e così pure Enselaski, e il denaro era provenuto dalle più svariate fonti. Anzitutto da un ricatto, effettuato ai danni di un adultero (che era poi suo padre), il quale aveva sospirato e pagato senza aprir bocca. Ad ingrossare il gruzzolo era poi seguita la vendita dell’automobile (una creatura che Kelly aveva amato teneramente e trattato come una principessa), nonché del suo impianto stereofonico ad alta fedeltà. Con gran dolore, si era privato anche di quella che era forse la più pregevole e completa collezione dì fumetti di fantascienza e dell’orrore esistente nel mondo. Infine, aveva venduto, ad un prezzo irrisorio, due piccole invenzioni - un contenitore per latte con autosuggello e un vaporizzatore per insetticidi - elaborate durante gli anni dell’università e il cui brevetto gli aveva fruttato piccole somme annuali.
Kelly aveva stabilito (e Enselaski, non appena aveva cominciato a funzionare, si era dichiarato d’accordo con lui) di commettere un unico crimine, ma di proporzioni tali da garantirgli l’agiatezza per il resto della sua vita. All’inizio, era totalmente all’oscuro circa la specie di crimine che avrebbe dovuto commettere, ma aveva la certezza assoluta che lui e la sua macchina avrebbero trovato un’impresa degna dei loro geni congiunti.
Non appena Enselaski era stato montato, perciò, Kelly aveva cominciato a nutrirlo quotidianamente col "New York Times" (compresa l’edizione domenicale); lui inghiottiva diligentemente notizie e dati d’ogni genere, a palate, a camionate, fino a che la sua "memoria" fu rigurgitante di informazioni finanziarie, commerciali, politiche e di cronaca. Soltanto allora, quando cioè Kelly aveva ritenuto che la macchina fosse alla pari con lui, dal punto di vista informativo, i due avevano cominciato a studiare insieme il colpo per il quale Enselaski - allora non ancor battezzato - era stato chiamato all’onor del mondo; avevano cogitato sul problema per settimane e settimane, prima di prendere la loro decisione.
Una volta stabilito il "gioco", comunque, era sorto fra loro un grosso contrasto, che quasi aveva rischiato di pregiudicare i loro rapporti. Kelly, inutile dirlo, avrebbe voluto agire da solo, mentre invece Enselaski insisteva sulla necessità di valersi di assistenti, almeno due. Kelly, molto irritato, aveva sollevato numerose obiezioni, ma alla fine Enselaski, con logica e pazienza, lo aveva fatto ragionare e insieme si erano accinti alla ricerca dei tipi adatti.
Era stato Enselaski a decidere di limitare la ricerca alla cerchia di persone che Kelly già conosceva; e, ripensandoci in seguito, Kelly aveva dovuto riconoscere a Enselaski una perspicacia e una sensibilità notevoli, tanto da fargli sorgere il sospetto di aver trasferito nella macchina quella diffidenza che in lui, rasentava la paranoia. La difficoltà, infatti, stava nel trovare qualcuno con cui si potesse stabilire un rapporto di fiducia reciproca; infatti entrambi (Kelly e Enselaski) nutrivano il sospetto che dei malfattori professionisti non si sarebbero sentiti sufficientemente sicuri nel trattare un affare con un dilettante, estraneo alla malavita. Meglio, quindi, associare altri dilettanti, orientando la ricerca su individui che in altre circostanze si fossero dimostrati fidati e leali.
Kelly, allora, aveva fatto ingurgitare a Enselaski tutte le briciole di informazioni che era riuscito a trovare o a ricordare su tutte le persone che aveva conosciuto a fondo. I candidati non erano in gran numero, data la personalità di Kelly; comunque, alla fine, Enselaski aveva scelto, sui dati fornitigli, due nomi. Questi due non solo vantavano, secondo Enselaski, le doti e cognizioni indispensabili per entrare a far parte del gruppo, ma i loro caratteri e le loro vicende personali erano tali da farli supporre perfettamente adatti al tipo di piano che Kelly aveva in mente.
Lui li aveva persi di vista entrambi da parecchio tempo, ma non gli era stato difficile rintracciarli; a quanto sembrava, né l’uno né l’altro avevano combinato un gran che, nel frattempo, cosa molto incoraggiante per Kelly. Seguendo il suggerimento di Enselaski, per prender contatto con loro Kelly aveva inviato due lettere contenenti ciascuna un biglietto d’aereo e venti dollari. Le lettere, senza firma, informavano laconicamente il destinatario sulla possibilità di concludere un buon affare, qualora egli fosse venuto all’appuntamento fissato per il dato giorno e nel dato luogo, spese di viaggio pagate. L’implicazione di qualcosa d’ambiguo era talmente chiara da garantire che i due, se venivano all’appuntamento, erano già mezzo preparati a commettere qualcosa d’illegale.
E questo era il giorno fissato. Supposto che fossero in viaggio, sarebbero arrivati all’una. Kelly si sorprese ad augurarsi, mentre sedeva fantasticando davanti ad Enselaski, che la fase preparatoria del piano procedesse indefinitamente, che l’effettivo reclutamento di uomini e l’effettiva esecuzione del piano subissero una serie senza fine di rinvii. Il fatto era, invece, che il colpo era ormai in via d’attuazione: la partita era cominciata.
Una voce notevolmente simile a quella di Charles Laughton interruppe di colpo le sue riflessioni, chiamando dal ponte: - Ehi della barca!
- Questo è .Frank - Kelly informò Enselaski, saltando in piedi e guardando l’orologio. L’una meno cinque. Era rimasto li a gingillarsi per quasi un’ora.
Con un’ultima occhiata a Enselaski, e rimpiangendo amaramente di non aver provvisto la macchina di un dispositivo per parlare, il che gli avrebbe consentito ora di accollare a lei il fastidio di quel colloquio., Kelly spense la luce e passò nel saloncin, chiudendosi la porta alle spalle. Si affacciò alla scala e gridò: - Sono qui sotto.
Il giovanotto che scese frettolosamente i gradini aveva pressappoco la stessa età e la stessa statura di Kelly, ma la somiglianza fra i due non andava oltre questi dati. Frank era biondo, estroverso, allegro e di corporatura un po’ tarchiata. Indossava mocassini marrone, calzoni marrone e una camicia bianca a maniche corte aperta sul collo. Aveva gli occhiali da sole con montatura bianca. Se li tolse ai piedi della scaletta e disse:
- Kelly!. Sei proprio tu quello della lettera!
- Sono proprio io — rispose Kelly. Il nervosismo lo rendeva laconico.
Frank gli porse la mano.
- Non ci si vede da un sacco di tempo, Kelly. L’ultima volta è stato quando cercavi di vendere la tua collezione di fumetti. Sei poi riuscito a sbarazzartene?
- Sì, sì.
- Mi sarebbe piaciuto aiutarti a trovare un acquirente - disse Frank - ma sono rimasto fuori dal giro per un bel po’. - Ora non faceva più l’imitazione di Charles Laughton.
- Lo so - disse Kelly.
Frank si guardava intorno.
- E’ tua questa barca? Sembra mica male.
- Già.
Frank lo guardò.
- E allora? Di che si tratta?
Kelly non si sentiva pronto ad affrontare l’argomento. Balbettando un po’ disse:
- Come, di che si tratta?
- La lettera - Frank disse. - Il biglietto d’aereo. I venti dollari. Non mi hai certo fatto venire per vendermi degli albi di fumetti.
- No, no. Ehm...
- C’è nessuno?
Era un’altra voce che chiamava dal ponte, e Kelly, lieto dell’interruzione, gridò:
- Siamo qui sotto!
Frank volse lo sguardo alla scaletta, con una certa curiosità.
- Un altro? - domandò.
- Non credo che tu lo conosca - disse Kelly, mentre il nuovo venuto scendeva i gradini. - Ehi, Robby, lieto di rivederti!
Robby si fermò sul terzo gradino. - Kelly - disse. - Be’, possa pigliarmi un accidente.
Robby sarebbe potuto essere il fratello minore di Harry Belafonte - nero, agile, prestante - ma con un sorriso un po’ meno affabile. Indossava scarpe nere tipo Oxford, pantaloni grigio scuro dalla piega inappuntabilmente stirata, camicia bianca, cravatta grigio, perla, giacca blu elettrico. Anche lui, aveva gli occhiali da sole ma erano blu, montati in metallo. Aveva in mano una sacca blu con la scritta "Lufthansa".
Kelly puntò l’indice su quella sacca.
- La "Lufthansa" è l’aviolinea tedesca… ma tu non hai mai varcato l’oceano! - disse.
- L’ho arraffata all’aeroporto - spiegò Robby.
Scese gli ultimi tre gradini, lasciò cadere la sacca, si tolse gli occhiali, strinse la mano a Kelly e si volse con aria cordiale verso Frank. Si muoveva con eleganza e sicurezza. All’università, doveva essere stato di quelli per i quali le conquiste femminili sono la principale materia di studio.
Kelly fece le presentazioni:
- Frank Ashford, Robby Creswel. Ho conosciuto Frank quando commerciava in libri usati, eravamo ancora due mocciosi. Robby ed io siamo stati insieme al politecnico di Sherman, per un semestre.
- Finché tu non facesti saltare per aria il dormitorio - disse Robby. - Ma perché, ora, tutti questi misteri? Dico, riguardo alla lettera e così via. Come mai non mi hai chiamato per telefono?
- Stavo per domandare la stessa cosa, quando siete arrivato voi - disse Frank.
Kelly si accinse a recitare il suo preambolo, quello che lui ed Enselaski avevano messo a punto come il più indicato alle circostanze.
- Lasciatemi spiegare la cosa a modo mio, anche se vi sembrerà che io la prenda un po’ alla larga - disse.
- Per la miseria! - lo interruppe Frank - non c’è qualcosa da bere?
- Troverai un buon rifornimento di alcoolici, là dentro - gli rispose Kelly, indicando un armadietto. - Per me, gin e acqua tonica.
- Bene. Robby?
- La stessa cosa.
Kelly li osservava. Non sembravano molto incuriositi. Avrebbe funzionato? Si schiarì la voce e riprese:
- Una delle ragioni per cui ci troviamo qui insieme è che abbiamo un sacco di cose in comune.
Frank alzò lo sguardo dal frigorifero aperto. - Davvero?
Robby rise e osservò:
- Non si direbbe, a guardarci.
- Tutti e tre abbiamo bisogno di denaro - disse Kelly.
Gli altri due persero di colpo il loro buon umore. Frank chiuse il frigorifero, senza aver preso il ghiaccio, e domandò:
- Come sarebbe a dire?
- Né più né meno di quel che ho detto.
- Cosa ti fa pensare di saperla tanto lunga sul conto mio?
- Ne so abbastanza - rispose Kelly. - Ne so abbastanza su tutti e due. Non mi va di parlare dei fatti dell’uno di fronte all’altro, ma so perfettamente che nessuno di voi due dispone di molto denaro, né di un buon impiego, né ha brillanti prospettive per il futuro; so anche che se vi offrissero un buon impiego, probabilmente non lo accettereste. Frank, vuoi preparare da bere?
L’interpellato si esibì in una nuova imitazione e rispose, con la voce di Frank Sinatra:
- Mi sbrigo subito. Qualcosa mi dice che molto presto avrò bisogno di un goccio. - Riaprì il frigorifero e tirò fuori il ghiaccio.
- Tutti e due volete quello che voglio io: un sacco di soldi - proseguì Kelly. - Abbastanza da poterci ritirare e vivere di rendita, dedicandoci ai nostri personali interessi, senza doverci preoccupare di lavoro, impieghi o qualsiasi altra cosa che ci costringerebbe a dipendere dagli altri.
- Amen - disse Robby.
Mentre apriva le bottigliette dell’acqua tonica, Frank disse:
- Un vitalizio, ecco quel che vorrei io. Non sono un avido. Giusto quel che basta per tirare avanti, nient’altro. A me non servono gli yachts. - Fece un gesto circolare. - Niente di questa roba. Con diecimila dollari l’anno, me la caverei benissimo.
- Calcolando prudenzialmente un interesse del cinque per cento, per disporre di diecimila dollari annui ti occorre un capitale di duecentomila dollari - precisò Kelly.
- Una bella montagna di soldi - osservò Frank. Versò il gin sul ghiaccio e l’acqua nel gin.
Robby disse, un sorrisetto appena accennato agli angoli della bocca:
- Per caso, stai per proporci un impresa un po’ losca?
- Naturalmente - rispose Kelly. - Nessuno si sognerebbe di poter arraffare duecentomila dollari senza sporcarsi le mani.
Frank porse loro i bicchieri e, sollevando il proprio, disse con la voce di Edward G. Robinson.
- Al colpo!
Bevvero.
- Che genere di colpo, Kelly? — domandò Robby.
- Prima dovete dirmi se ci state o no - ribatté Kelly. - Non posso darvi i particolari e poi magari sentirmi rispondere ciao e buona notte.
- Sii logico, Kelly - protestò Frank. - Non so cosa ne pensi Robby, ma per quel che mi riguarda non posso darti una risposta senza sapere di che si tratta. Potrei dirti che ci sto e sentirmi poi proporre di andare a far fuori il mio vecchio.
- Non ci sarà da far fuori nessuno, né da malmenare - disse Kelly. Indicò la porta chiusa che dava nell’altro locale. - Là dentro ho un computer, un piccolo congegno perfetto che si chiama Enselaski. Enselaski vuol dire Elaboratore Neutronico Selettivo Elementi Localizzazione Automatica Soggetti Kidnapping.
- Cosa, cosa! -. esclamò Frank.
- Te lo spiegherò fra un minuto. Il punto è che il computer preparerà il piano del colpo per noi. Un colpo scientifico. Enselaski è in grado di considerare ogni possibile particolare, ogni circostanza, ogni eventualità. Ci vorrebbero un centinaio di criminali professionisti e un anno di lavoro, per mettere a punto un piano che Enselaski, fornito delle informazioni necessarie, può elaborare in cinque minuti.
- Bene, vedo che non sei cambiato - osservò Robby. - Sempre il solito pazzo imbottito di scienza.
Enselaski funziona - disse Kelly.
- Non lo metto in dubbio - ribatté Robby.
- Un momento, fammi capire - disse Frank. - Tu vorresti dare inizio a un’attività criminale e...
- Un solo colpo - lo interruppe Kelly. Uno solo, grosso abbastanza da fruttare un bottino che ci metta a posto per sempre.
- Vale a dire? - s’informò Robby.
- Quasi duecentottantacinquemila dollari a testa.
- Ci fu una pausa di religioso silenzio. Poi Robby disse:
- Un colpo a Fort Knox?... Un po’ dell’oro dello zio Sam?
- Meglio, meglio - rispose Kelly. - Più sicuro.
Frank rifletté ad alta voce:
- E non ci saranno morti. Né feriti. E tu hai un computer che prepara il piano.
- Già.
- E noi dobbiamo darti la nostra risposta, prima che tu ci spieghi di cosa si tratta.
- Già. E un’altra cosa: noi dovremmo metterci in viaggio oggi stesso. E’ necessario che ci troviamo nei Caraibi domattina, per organizzare un mucchio di cose. Perciò dovete prendere subito una decisione.
- E se decidiamo per il sì, partiamo immediatamente? - domandò Robby.
- Proprio così.
Frank e Robby si guardarono in faccia.
- Probabilmente volete pensarci sopra - soggiunse Kelly - magari parlarne tra voi. Io andrò di là qualche minuto; quando avete fatto, bussate pure.
- D’accordo - disse Frank sottovoce. Sembrava sconvolto.
Kelly entrò nella cabina attigua e si sedette vicino a Enselaski.
- Credo che ci staranno - gli disse. E mandò giù un sorso del suo gin. Era ottimo.
Dopo tre minuti, si udì un colpetto alla porta. Kelly si alzò in piedi e apri, dicendo:
- Volete vedere Enselaski?
Robby e Frank si affacciarono all’uscio. Sbirciarono la macchina.
- E’ costruita interamente su mio progetto - spiegò Kelly. .Ho messo insieme elementi di macchine IBM, Remington, Burroghs, Control Data, RCA e National Cash Register.
- Ha l’aria di saperla lunga - ammise Frank. - Quell’aria che ti fa sentire inferiore, capisci cosa intendo?
- Ci avete pensato sopra? —domandò Kelly.
- Siamo qui, come vedi - rispose Frank; e Robby fece un cenno per significare che era d’accordo.
- Bene - disse Kelly. - Andiamo di là a sederci.
Tornarono nel saloncino, si sedettero, e Frank disse:
- Non tenerci sulla corda, Kelly. Ti abbiamo risposto che ci stiamo. Di che colpo si tratta, dunque?
- Avete sentito parlare di un’attrice del cinema chiamata Sassi Manoon? - chiese Kelly.
Robby scoppiò a ridere e Frank disse:
- Sentito parlare? Per l’amor di Dio, Kelly, di manifesti con l’immagine di Sassi Manoon è tappezzato il mondo intero! Su, esci dalla tua torre d’avorio.
- Io non sto in una torre d’avorio - rispose lui. - So benissimo che è un’attrice famosa. Volevo accertarmi che lo sapeste anche voi.
Lo sappiamo, vieni al punto - disse Robby.
- Bene, noi la rapiremo - disse Kelly.


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