Giorgio Scerbanenco, Traditori di tutti, in "La Milano nera di Scerbanenco", 2. ed., Garzanti, 143-291 p.  

Il romanzo

La vicenda si apre con la morte di un'anziana coppia di signori dal torbido passato, annegati nel Naviglio dentro la loro macchina, finita in acqua a causa dell'intervento di una misteriosa accompagnatrice americana che sparisce subito dopo.

L'episodio viene dimenticato e, solo casualmente, Duca Lamberti, diverso tempo dopo, in seguito ad una sparatoria avvenuta nel medesimo tratto di canale, scopre degli insospettabili collegamenti tra i due fatti. Per condurre le ricerche s'infiltra in un'organizzazione malavitosa scoprendo un ingente traffico di droga e armi.

La vicenda si svolge con continui ed improvvisi colpi di scena da cui emerge una Milano feroce e spietata che ai tempi potè sembrare eccessiva, ma che risultò estremamente realistica.

Nell'imprevedibile finale, di cui ovviamente non voglio accennare, verrà scoperto il movente del delitto d'apertura.


Le prime righe

PARTE PRIMA

Quando venne la televisione, il primo a metterla fu il mio fidanzato, il macellaio, tutta Ca’ Tarino voleva andare a casa sua a vederla, ma lui sceglieva, invitava i miei genitori, così andavo anch’io e così ci siamo fidanzati, al buio lui mi metteva una mano sulle ginocchia, poi saliva su, e appena ha potuto mi ha chiesto se ero vergine, io con quella mano sulle gambe e mia madre vicina m’infastidivo e gli ho risposto di sì, per prenderlo in giro: ero stata proprio ad aspettare lui.

E’ difficile uccidere due persone contemporaneamente, ma lei fermò l'auto al punto esatto, studiato più volte, quasi al centimetro, anche di notte, riconoscibile per il curioso, gotico e ciffeliano ponticello in ferro che scavalcava il canale e disse, fermando appunto l'auto nel centimetro quadrato voluto come una freccia si ferma quando centra nel centro del bersaglio: "Scendo a fumare una sigaretta, non mi piace fumare in macchina," lo disse ai due seduti dietro. che erano i due che doveva uccidere, e scese senza attendere risposta, anche se quelli, gentilmente, intorpiditi dal grosso pranzo e anche dall'età, rocamente dissero sì, che scendesse pure, e liberi dalla sua presenza si disposero quasi a dormire meglio, vecchiotti e grassotti com'erano, tutti e due in impermeabile bianco, lei con la sciarpa di lana intorno al collo, di un colore avana fegatoso, simile a quello del collo, che la rendeva così più grassa, il viso che richiamava una grossa rana, e un tempo, invece, milioni di anni prima. non era ancora finita la guerra, la seconda guerra mondiale, era stata molto bella - così diceva, e lei, adesso. stava per ucciderla, insieme col suo compagno – qualcuno, ufficialmente, la chiamava Adele Terrini e a Buccinasco, invece, alla Ca' Tarino. dove era nata e dove sapevano molte cose di lei, la chiamavano Adele La Troia, e suo papà. invece, che era americano e fesso, l'aveva chiamata Adele la Speranza.

Anche lei era americana. ma non era fessa e, appena discese, richiuse la portiera della macchina, e in precedenza aveva spinto la sicura, così come la sicura era spinta a tutte le altre portiere, e poi si accese la sigaretta, e poi guardo dall'altra parte del canale, sullo stradone che portava a Pavia e dove, data l'ora, le auto passavano con pigra frequenza, e anche questo era calcolato, e poi, come passeggiasse, arrivò dietro l'auto, una modesta, leggera quattroposti della Fiat, di cui lei non conosceva il nome del modello, ma ne aveva valutate le possibilità e i pregi per lo scopo che doveva raggiungere.

Dunque, in mezzo c’era un canale, si chiamava Alzaia Naviglio Pavese, era un nome assai difficile per lei americana, e incomprensibile, il suo professore d'italiano a San Francisco, in Arizona, nulla a che fare con l'altra San Francisco, non era sceso a spiegare sottigliezze e che "alzaia" era il nome di quella fune con cui si tirano, da terra, in un certo senso si alzano, barche e barconi contro la corrente di un fiume o di un canale, ma non era certo l'etimologia, la filologia di quel nome che a lei interessava, ma la meravigliosa posizione di un canale tra due strade, e il fatto che in quella stagione le acque del canale fossero alte, e la strada più grande e asfaltata era una strada statale, denominazione ufficiale da lei studiata con puntiglio: Strada Statale n. 35 dei Giovi, mentre l'altra, senza asfalto, ancora commoventemente campagnola, era la vecchia strada dell'Alzaia. E in mezzo il canale.

E i canali contengono acqua, se non sono asciutti, e quello non era asciutto, e per di più quello non aveva neppure sponde, cordonature, paletti: niente, un'auto, nel buio della notte, ci cadeva dentro senza che niente la fermasse. E lei, allora, spinse appena l'auto, quel modello Fiat di cui non sapeva il nome, e tutto fu così preciso e dolce, tutto dolcemente avvenne in pochi secondi, come lei aveva previsto e organizzato, fin nella posizione delle ruote davanti che aveva lasciato dolcemente tese verso destra. verso il canale, e la marcia ovviamente in folle, tanto che fu come spingere un carretto per una discesa e l'auto, con dentro i due intorpiditi dal pollo con funghi, dal gorgonzola, dalle mele al forno ricoperte di zabaione, dalla sambuca nera, tutto pagato dall'americana, lei, che essi, certamente, avevano dovuto ritenere fessa come il di lei padre, mastro in fesseria, l'auto, insomma, con dentro Adele La Troia, oppure Adele la Speranza e il suo compagno, scivolò meravigliosamente bene, meravigliosamente facile, nel canale, nelle alte acque del canale, e il tonfo nell’acqua avvenne nel preciso istante da lei voluto, cioè nel momento in cui dall'altra pane del canale, sulla strada grande, la Strada Statale n. 35 dei Giovi. non passava alcuna macchina e il buio era quasi completo, si vedevano solo, molto lontane. le luci di lontane auto in arrivo.

Un alto spruzzo di acqua la colpì, le bagnò perfino il viso, ma non le spense la sigaretta, poi un altro spruzzo, quasi sibilante, le batté sul seno come il getto di una pompa, non avrebbe mai immaginato che una macchina caduta in acqua potesse provocare quelle fontane e quegli zampilli, sentì la sigaretta fradicia e afflosciata e già sparpagliosa tra le labbra, inequivocabilmente spenta, e se la sfilò dalle labbra, e insieme lo sputò, quello sparpagliume di carta e di tabacco fradicio, il viso e i capelli fradici anch'essi della maleolente acqua del canale - Alzaia Naviglio Pavese - e restò ad aspettare le bolle d'aria.

Aspettò nel buio. La strada al di qua del canale, dove era lei, era nel buio, totalmente; la strada al di là del canale, quella asfaltata, era nel buio, anch'essa, ma frecce di luce sfondavano il tessuto morbido della notte, i fari delle auto, le auto dei milanesi che tornavano non dalla riviera, perché era giorno feriale e non potete, no?, andare a Santamargherita il mercoledì perché il mercoledì dovete essere in ufficio, o anche se non avete obblighi di ufficio, dovete dare la caccia a quelli che hanno un ufficio, ma erano milanesi che in quelle tenere giornate di primavera si erano spinti la sera, dopo l'ufficio, verso le trattorie foranee, i meno avventurosi fermandosi a quelle lungo via Chiesa Rossa, o spingendosi al massimo al Ronchetto delle Rane, e gli audaci, invece, oltrepassando Binasco e perfino Pavia, e raggiungendo osterie di lusso che non erano osterie, mangiando e bevendo vagamente alla paesana, cibi e vini vagamente genuini, e adesso, a quell'ora. tornavano a casa, a Milano, guidando piano in quella bella notte di primavera, piano finché non vi erano altre auto davanti o dietro, perché allora scattavano e continuavano coi fari a lampeggiare e le luci che lei vedeva, attendendo che venissero le bolle, erano quelle.

Ma le bolle non vennero, l'auto, per i finestrini abbassati, quelli davanti, almeno, si era di colpo riempita d'acqua, e così di colpo fu completo silenzio, e occorreva solo guardare e attendere, guardare che sulla strada dove lei si trovava non arrivasse qualcuno, qualche Vespa con la coppia con pochi soldi che cercava asilo sulla sponda rustica del canale, qualche ciclista ubriaco che tornava al suo casolare, qualche auto strapiena di giovanotti delle frazioni e delle cascine vicine che andavano a cercare ragazze in viciniori frazioni e cascine, suscitando così lunghe ma non sanguinose faide tra cascine e cascine, nella zona tra Assago, Rozzano, Binasco, Casarile; e attendere, attendere almeno cinque minuti: qualcuno se i finestrini sono aperti, riesce a uscire dall’auto immersa nell’acqua, e così lei attese, guardando nell'acqua, lo sconvolgente timore che uno dei due, o anche tutti e due, emergessero d’un tratto dall’acqua, redivivi urlanti.

Un auto, sull'altra strada al di là del canale, la illuminò, per un istante, come fosse su un palcoscenico, coi suoi abbaglianti, e se fossero riemersi dall'acqua, lei pensò, fulminata da quel raggio di luce, avrebbe potuto tendere la mano per tirarli su, e dire che non sapeva come era accaduto, perché certo i due non si erano accorti che era stata lei a spingere la macchina, ma se ne erano accorti?

Attese, e soltanto quando fu sicura che erano passati cinque minuti, forse due volte cinque minuti, forse tre, quando fu sicura che mai, assolutamente mai, i due, le loro sporche anime e i loro sporchi corpi avrebbero appestato le strade del pianeta, solo allora si scostò dal bordo del canale, si diresse verso il ponticello di ferro, aprì la piccola borsa a portafoglio, dalla borsetta prese i quadratini di carta morbida e si asciugò il viso dalle gocce ormai secche o quasi dell’acqua del canale. Al petto il soprabito era umido, ma non poteva farci niente, nelle scarpe vi era dell'acqua, arrivata alla scaletta del ponte sedette su uno dei gradini, si tolse le scarpe senza tacco, le sgrondò, le fece asciugare un poco all’aria, se le rimise sulla calza fradicia, ma anche qui non poteva farci niente, che curioso, non aveva immaginato di doversi bagnare tanto.


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