Piero Meldini, L'avvocata delle vertigini, Adelphi, 1994, 123 p. (Fabula)  

 

Il romanzo

Un thriller "metafisico" questo primo romanzo di Meldini. Il titolo del romanzo trova origine da una leggenda riferita all'immaginaria beata Isabetta che, dopo un'infanzia dissoluta, "… per la soe excessiva bellezza de corpo, de ogni laxivia foe piena, et in ogni vanità involta", tentò di suicidarsi gettandosi da un campanile, ma venne trattenuta e salvata da un attacco di vertigini.

Il protagonista del romanzo, professor Dominici, studioso malinconico e schivo, si trova per le mani un manoscritto del '500 che contiene un messaggio crittografato la cui decifrazione comporterà per il lettore l'avverarsi di sette profezie apocalittiche. Ovviamente, Dominici riesce a decodificare il messaggio e, purtroppo per lui, da quel momento, in un crescendo lugubre e tenebroso che si conclude con un omicidio, il povero studioso assiste impotente e terrorizzato all'inesorabile realizzarsi delle profezie.

Sino alla risoluzione finale, la vicenda rimane intricata lasciando aperti sospetti e dubbi teologici sulla reale possibilità che una profezia possa diventare delitto e che un delitto possa diventare profezia.


Le prime righe

Il sole di luglio allagava l’atrio. Attirato dalle grandi finestre, dardeggiava impietoso il pavimento di mattoni. I muri a calce, le pale: e ne cuoceva le croste. I santi, abbaccinati, sospiravano alla Vergine, che grondava sudore sotto il pesante manto turchino, mentre sulle sue ginocchia, nudo, il Bambinello si abbronzava.

"Professor Dominici! Ma che bella sorpresa! Lo sa che stavo aspettando proprio a lei?".

Aveva stentato a scorgerlo, dapprima, ché dalla sottile striscia d’ombra in cui stava rintanato spuntava appena il naso, solo tratto imponente della sua meschina figura. Monsignor Berlinghieri, in maniche di camicia, i capelli scompigliati da profeta irato, era all’opposto, un pezzo d’uomo, e i suoi modi erano spicci ed esuberanti quanto incerti e circospetti erano quelli del visitatore.

"Cosa aspetta? Entri, entri. Ho qualcosa da mostrarle. Un vero colpo di fortuna. La fine del mondo!".

A lunghe falcate da montanaro, attraverso un domestico e sonnacchioso labirinto di camere e corridoi e scale, in su e in giù, lo guidò fino al suo studio a pianterreno, e intanto gli gridava "Vedrà, vedrà" con la possente voce baritonale, allenata sui pulpiti, e si voltava verso di lui agitando l’indice, e ridacchiava raggiante. Dominici lo seguiva raggiante. Dominici lo seguiva a distanza, accigliato, come se lo attendesse un castigo.

Con un cenno perentorio del capo Berlinghieri lo invitò a sedere. Sugli scaffali i libri si schieravano nell’ordine inflessibile di una parata militare: gli alti con gli alti e i bassi con i bassi, gli smilzi separati dai corpulenti, disposti in squadre e plotoni e reggimenti a seconda del colore delle uniformi e dello sfoggio di decorazioni.

Estrasse un piccolo in-quarto e lo levò al cielo, con liturgica solennità:

"Legatura in pelle bazzana. Impressioni in oro sul dorso e sull’unghia, semplici e squisite. Tagli marmorizzati. Larghi margini. Esemplare freschissimo" recitò d’un fiato, quasi ne compilasse mentalmente la scheda bibliografica.

Glielo porse:

"Il Gallonio!" esclamò trionfante. "L’edizione del ’91, nientemeno. E con tutte le quarantasei tavole del Tempesta".

Dominici aprì il Trattato de gli istrumenti di martirio e delle varie maniere di martoriare usate da Gentili contro Christiani, descritte ed intagliate in rame, opera di Antonio Gallonio romano, e mentre il monsignore, a voce spiegata, camtava le lodi del libro e ne ripercorreva passo passo le peripezie editoriali, e diceva dell’autore, sacerdote della Congregazione dell’Oratorio, intimo del minimo servo del Signore Filipo Neri, e celebrava la pia Olimpia Orsini, duchessa d’Acquasparta, patrocinatrice dell’opera, e ricuciva la fitta trama di rapporti col Martyrologium Romanorum, e faceva l’appello dei proseliti della Maniera che avevano coperto di tormenti di buon fresco le chiese di Santo Stefano Rotondo e dei Santi Nereo e Achilleo: Dominici, intanto, sfogliava il famoso Gallonio e assisteva con rassegnata partecipazione all’interminabile sfilata de martìri, incisi per la contrizione dei peccatori e l’edificazione dei giusti dall’ancor più famoso Tempesta.

Sospesi, tirati, torchiati, battuti, fustigati, crocifissi, grattati, scorticati, ulcerati, trapassati, mutilati, sconciati, smembrati, scannati, sventrati, scotennati, sboglientati in olle e lebeti, fritti in teglie e sartagini, abbrustiati sulla nuda brace e in gratella, schidionati, e arrostiti a fuoco vivo, i santi martiri si esibivano su un palcoscenico gremito di attrezzi di scena e macchine teatrali, posando in audaci figure ginniche dinanzi a fondali architettonici prodighi di colonne, archi, scalee, templi, simulacri di dèi, edifici in rovina: emblemi tutti, del paganesimo in agonia.

Giovani, atletici, protetti appena, uomini e donne, da un leggero. svolazzante perizoma, si davano ai manigoldi con fiduciosa noncuranza, quasi con prodigalità. Anestetizzati dalla fede, gli occhi levati al cielo nella pregustazione dell'eterna beatitudine, non una smorfia di dolore ne sformava i visi placidi, ne tirava i nervi distesi, ne torceva le membra rilassate. Né un solo lampo d'odio, un guizzo di perfidia, un'occhiata di traverso, un ghigno di sfuggita alterava la professionale imperturbabilità degli aguzzini. Vittime e carnefici recitavano la loro parte con coscienziosa indifferenza, obbedienti a un Regista che, assegnati i ruoli, pretendeva una mutua, solidale complicità.

"Cosa gliene pare?".

Dominici alzò gli occhi. Non tanto però da incontrare quelli di monsignor Berlinghieri, ritto davanti a lui:

"Molto bello" mormorò.

"Bello? Solamente? Superbo, vorrà dire. Incomparabile. E sa quanto mi è costato? Una miseria".

Dominici riabbassò la testa:

"Vorrei parlarle" sussurrò. "Non le ruberò troppo tempo".

"Ma tutto il tempo che vuole, caro professore. E la beata Isabetta? Come procede il suo lavoro?".

A Dominici scappò un verso da bestia ferita, tra la risata e il singhiozzo:

"La beata Isabetta! L'avvocata delle vertigini! Lei non sa. Non immagina. Davanti a me si è spalancato un baratro. Lo guardo e muoio di paura, ma non ho scampo". La voce di Dominici si spense in un bisbiglio roco e rotto. "E’ inutile. Così è deciso. Così sta scritto. E’ questa la grazia che la beata mi ha fatto".

Tacque. Dal giardino giungeva il duetto impertinente di una coppia di uccelli, accompagnato dal ronzante basso continuo della cicala. Monsignor Berlinghieri, sbalordito, lo osservava, e solo ora si accorgeva del pallore spettrale, delle occhiaie livide, dello sguardo febbricitante, del tremito che agitava il povero Dominici.

Dal dramma che lo aveva colpito in gioventù questi era emerso rintanandosi in una solitudine operosa e imperturbabile. Per sopravvivere, la farfalla era tornata bruco. Da trent’anni, in casta intimità, conviveva con le sue sante, frugandone vita, morte e miracoli. L’incredulità lo preservava da timori reverenziali come da furori iconoclasti. Sgretolava spassionatamente tradizioni venerande: spassionatamente rinsanguava oscure dicerie.

Erano. i documenti, il lasciapassare per il Paradiso: quello che egli, con professionale distacco, consegnava infine alle sante. O rifiutava: con buona creanza. Così, documenti alla mano, apriva e chiudeva le porte del Paradiso altrui, infoltiva e diradava le schiere del Dio degli altri. Non del suo, no: nel suo archivio interiore nessuna carta ne faceva menzione. Se non, forse, il fascicolo dell’antica disgrazia che l'aveva convertito a quegli studi.

Monsignor Berlinghieri lo fissava sconcertato: la vita dell’illustre agiografo, dell’amico erudito, del mite professore Vincenzo Dominici era ferocemente serena, inaccessibile a interessi e passioni, a gioie e dolori che non fossero quelli - aurei e mediocri - delle sue ricerche. Cos’altro avrebbe potuto turbarlo se non lo smarrimento di un libro, la perdita di un appunto, una pubblicazione sfigurata da troppi errori di stampa.?

"Le sembro matto, vero?" chiese Dominici. "No, no," lo prevenne "non pensi che voglia essere rassicurato. Al contrario, creda: la mia speranza, la sola, è di essere impazzito". Tentò, invano, di scimmiottare un sorriso.

Berlinghieri gli si sedette di fronte:

"Si calmi. Mi racconti. La sto ascoltando" disse.

"Parli," lo spronò affettuosamente Berlinghieri "l'ascolto".

"Che brutto aprile abbiamo avuto quest'anno": il sussurro opaco dell'agiografo fu sopraffatto dalla schitarrata furiosa della cicala.

"Bruttissimo" confermò il monsignore. "Pioggia tutti i Santi giorni".


Il commento

Un romanzo decisamente interessante, questa prima opera di Meldini.

L'autore dimostra di padroneggiare l'uso di moduli narrativi appartenenti a diversi generi letterari: il racconto fantastico - con l'utilizzo della consolidata finzione del manoscritto ritrovato, il thriller, il noir.

La prosa rapida e asciutta, il ritmo serrato, le citazioni teologiche, i puntuali riferimenti biblioteconomici, la sottile ironia, il garbato equilibrio tra mondo reale e soprannaturale, la puntigliosa descrizione del mondo della beata Isabetta, il progressivo crescendo della suspence sino al disvelamento finale del mistero, conducono il lettore piacevolmente alla lettura dell'opera con l'unico rammarico di essere giunti, senza accorgersene, alla fine.


Torna alla pagina principale