Ian McEwan, Bambini nel tempo, Einaudi, 1988, 215 p.  

Il romanzo

Stephen Lewis, autore di libri per ragazzi, vive a Londra con la moglie Julie e la figlia Kate, di tre anni. Un giorno, recandosi al supermercato con la figlia, dopo avere svuotato il carrello alla cassa, si accorge di aver perso la bambina. L'episodio genera una progressiva lacerazione nei rapporti tra i coniugi che si conclude con la loro separazione. Julie va a vivere per proprio conto cercando, con un percorso tortuoso ed impervio, analogo peraltro a quello del marito, di rispondere positivamente al trauma subito ripensando le proprie certezze, le abitudini consolidate ed i comportamenti.

Sulla trama principale del romanzo si innestano gli altri filoni narrativi della vicenda: la cronaca divertita e, allo stesso tempo, amara della partecipazione di Stephen alle attività di una commissione governativa incaricata di stendere un testo di puericultura; la satira politica della società inglese rassegnata ad un thatcherismo sempre più grigio e deprimente; la tragicomica vicenda di Darke, il più caro amico di Stephen, editore ed affermato uomo politico, colpito da una regressione allo stato infantile; i continui riferimenti al passato, alla ricerca degli episodi determinanti della vita dei genitori e dell'infanzia di Stephen.

Il finale dell'opera riserva una piacevole ed inaspettata sorpresa che supera positivamente l'angoscioso pessimismo che permea tutto il romanzo.


Le prime righe

Da tempo ormai, tanto il governo quanto la maggioranza dei cittadini associavano mentalmente le sovvenzioni ai trasporti pubblici con la negazione della libertà individuale. I vari servizi subivano due regolari collassi giornalieri nelle ore di punta ed era opinione di Stephen che si impiegasse meno tempo a raggiungere Whitehall a piedi che prendendo un taxi. Era fine maggio, da poco passate le nove e mezza e la temperatura sfiorava già i 25°. Stephen si diresse sul Vauxhall Bridge superando doppie e triple file di vibranti automobili intrappolate, ciascuna abitata da un conducente solitario. Data la situazione, il perseguimento della libertà era più rassegnato che entusiastico. Dita inanellate tamburellavano con pazienza su roventi tettucci metallici, gomiti di camicie bianchissime spuntavano dai finestrini abbassati. Qualcuno teneva il giornale aperto sul volante. Stepben attraversava spedito la folla facendosi largo tra le chiacchiere da autoradio: sigle pubblicitarie, energetici disc-jockey da primo mattino, notiziari flash, bollettini sulle condizioni del traffico. I guidatori non impegnati nella lettura prestavano a tutto ciò un ascolto indifferente. L'avanzare regolare e compatto della folla sui marciapiedi doveva comunicare loro un senso di moto relativo, come una lenta deriva all'indietro.

Nel suo procedere a saltelli e zig-zag, Stepben era come sempre attento, anche se in modo quasi inconsapevole, a registrare la presenza di bambine, o meglio di una bambina sui cinque anni. Era qualcosa di più di un'abitudine, perché le abitudini si possono anche interrompere. Questa era una disposizione radicata, l'impronta indelebile che l'esperienza aveva lasciato su un'indole. Non si trattava neppure più di una vera e propria ricerca, sebbene un tempo avesse assunto le caratteristiche di una caccia ossessiva, ormai era come una voglia, una fame molesta. Esisteva un cronometro biologico, impassibile nella sua inesorabilità, che consentiva a sua figlia di crescere, ne arricchiva e complicava il vocabolario, la rendeva più forte, la faceva muovere con maggiore scioltezza. Il congegno, potente come un cuore, si manteneva fedele a un'incessante ipoteticità, magari adesso stava disegnando, magari imparava a leggere, forse cambiava un dente da latte. Probabilmente ormai era presenza nota, un dato di fatto. Gli pareva che a furia di ipotesi avrebbe finito con l'esaurire quell'incertezza, col lacerare la sottile membrana semiopaca i cui fili fatti di tempo e di casualità lo separavano da lei. E allora avrebbe potuto dire: adesso è a casa da scuola ed è stanca, il suo dente sta sotto il cuscino, lei sta cercando il suo papà.

Ogni bambina di cinque anni - ma funzionava persino coi maschi - alimentava il pensiero del suo continuare ad esistere. Nei negozi, nei pressi di un parco giochi, in casa di amici, Stephen non poteva fare a meno di cercare Kate negli altri bambini, non riusciva a ignorarne il lento cambiare, il maturare di abilità. E percepiva il potenziale inutilizzato delle settimane e dei mesi del tempo che avrebbe dovuto essere suo. Il crescere di Kate era diventato per lui l'essenza stessa del tempo. Quella crescita fantasmatica, prodotto di una sofferenza ossessiva, non era soltanto ineluttabile - poiché nulla poteva arrestare il portentoso cronometro -, era necessaria. Se avesse cessato di fantasticare sul suo esistere ancora, sarebbe stato perduto, il tempo si sarebbe fermato. Era il padre di una bambina invisibile.

Qui a Millbank, però, si vedevano solo ex bambini che si trascinavano a lavorare. Più in là, poco prima di Parliament Square, c’era un gruppo di accattoni autorizzati. Non potevano sostare nella zona del parlamento, di Whitehall e nelle vicinanze della piazza. Ma alcuni di essi cercavano di sfruttare la confluenza di percorsi dei pendolari. Stephen ne intravide i distintivi sgargianti un centinaio di metri prima. Il clima li favoriva ed essi esibivano con impertinenza la loro scelta di libertà. Toccava agli stipendiati di riuscire a evitarli. Una dozzina di mendicanti si lavoravano il marciapiede su entrambi i lati, avanzando verso di lui e superando le ondate di folla. Ora Stephen stava osservando una ragazzina. Non di cinque anni, questa volta era un'adolescente tutta pelle e ossa. Si era accorta di lui a una certa distanza. Avanzava piano, sonnambulicamente e tenendo protesa la ciotola nera regolamentate. La folla degli impiegati si separava e richiudeva al suo passaggio. Procedeva, puntando lo sguardo su Stephen. Lui provò il solito dissidio interiore. Dare dei soldi significava favorire il successo del programma governativo. Non darne, voleva dire ignorare più o meno risolutamente l'indigenza di un individuo. Non c'era via di scampo. L'arte di un cattivo governo consiste nel rendere netta la linea che separa la condotta pubblica dal sentimento privato, dalla percezione istintiva di ciò che è giusto. Ultimamente lasciava decidere al caso. Se si ritrovava qualche spicciolo in tasca, lo dava. Se no, niente. Non arrivava mai alle banconote.

La ragazza era abbronzata per tutti i giorni passati al sole in mezzo a una strada. Aveva addosso un sudicio vestitino di cotone giallo e portava i capelli cortissimi. Forse l'avevano rasata per i pidocchi. Man mano che si avvicinava, Stephen si accorse che era carina, con un faccino malizioso tutto efelidi e il mento un po' a punta. Non doveva trovarsi a più di sei metri di distanza quando, con un balzo in avanti, afferrò da terra un chewing-gum ancora umido e luccicante. Se lo cacciò in bocca e iniziò a masticare. La piccola testa si piegò indietro con aria di sfida e riprese a guardare nella direzione di Stephen.

Jnfine gli fu davanti, con la classica ciotola tesa. Aveva scelto lui già da qualche minuto, il solito trucco. In preda allo sgomento, Stephen aveva estratto un biglietto da cinque sterline dalla tasca posteriore. La ragazza mantenne un'espressione impassibile mentre lui appoggiava la banconota sul resto delle monete.

Appena la mano di Stephen fu vuota, lei afferrò il denaro, se lo accartocciò stretto stretto in un pugno e disse, passando oltre, "Fottiti, mister".

Stephen allungò una mano sulla piccola spalla ossuta e la strinse. "Che cosa hai detto?".

La ragazza, voltandosi, si liberò dalla stretta. Fece gli occhi sottili e la vocina flebile "Ho detto, grazie, signore". Era già fuori tiro quando aggiunse, "Sporco capitalista!"

Stephen le restituì un mite rimprovero mostrando le mani vuote. Sorrise a labbra chiuse per farle intendere la propria immunità a quel genere di insulti. Ma la ragazzina aveva già ripreso il suo uniforme procedere sonnambulico giù per la via. Stephen la osservò per un minuto buono prima di perderla tra la folla. Lei non si voltò indietro.


Il commento

McEwan costruisce nei minimi dettagli la psicologia dei propri personaggi, seziona come in un laboratorio le loro sensazioni, i loro sentimenti, le loro paure e le loro aspirazioni e li consegna alla pagina scritta con grande realismo e sapienza letteraria. Di seguito una lunga citazione di una delle pagine in cui l'autore descrive gli angosciosi tormenti di Stephen:

Stephen sapeva che presto sarebbe rimasto solo un'altra volta. Ma persino adesso non sapeva rinunciare ai suoi vagabondaggi, non poteva impedirsi di pensare che la situazione si era deteriorata al punto che non aveva provato alcuna particolare emozione quando, di ritorno dalle sue ricerche un pomeriggio di febbraio, aveva trovato vuota la poltrona di Julie. Un biglietto lasciato a terra riferiva il nome e il numero di telefono di un ritiro in un ex monastero nei Chilterns. Non c'era altro messaggio. Fece un giro dell'appartamento, accendendo le luci, dando un'occhiata alle stanze deserte, piccoli allestimenti scenici pronti ad essere smantellati

Tornato alla poltrona di Julie, vi si fermò un momento con la mano appena appoggiata allo schienale come se si trattasse di considerare i rischi di un gesto coraggioso. Infine si scosse, fece due passi intorno alla poltrona e si sedette. Attraverso la grata buia rimase a fissare qualche vecchio fiammifero caduto alla rinfusa accanto a un pezzetto di carta stagnola, passarono minuti, il tempo necessario a sentire la fodera della poltrona adattare i contorni fisici di Julie ai suoi, minuti vuoti come tutti gli altri. E a questo punto si lasciò sprofondare, immobile per la prima volta ormai da settimane. Restò così per ore, per l'intera notte, assopendosi brevemente ogni tanto e senza muoversi o allontanare lo sguardo dalla grata, quando si svegliava. In quell'arco di tempo gli parve che qualcosa si stesse raccogliendo nel silenzio circostante, il sollevarsi lento di un'onda di consapevolezza, di una specie di marea strisciante che, senza esplodere o frangersi drammaticamente, lo portò, intorno alle prime ore del mattino, al primo autentico flusso di comprensione della vera natura della sua sofferenza. Tutto ciò che aveva preceduto quell'evento non era che finzione, una banale e frenetica imitazione del dolore Albeggiava appena quando incominciò a piangere e fu questo momento nella semioscurità che avrebbe in seguito fatto coincidere con l'inizio del suo lutto.

Come si può facilmente osservare, l'autore è estremamente puntuale nella descrizione dello stato d'animo di Stephen e della carica emotiva che gli oggetti che lo circondano esercitano su di lui. La capacità di McEwan di mantenere alto il livello della narrazione dà luogo ad un'opera sicuramente apprezzabile. Il lettore rimane ammaliato dalle innumerevoli storie narrate e dai continui e ben congegnati salti temporali, che creano una sorta di continuità/identità tra passato, presente e futuro. In una discussione con Thelma, moglie di Darke, docente universitaria di fisica, Stephen racconta di un suo inconsapevole viaggio a ritroso nel tempo in cui si trova ad assistere alla discussione in cui i suoi futuri genitori avrebbero decisero la sua nascita. Di fronte alle varie spiegazioni scientifiche dell'episodio fornite dalla scienza, Stephen ricorda invece passo di un componimento poetico di Eliot: "Il tempo presente e il tempo passato / Son forse presenti entrambi nel tempo futuro. / E il tempo futuro è contenuto nel tempo passato.". I rimandi letterari non si riducono certo alla citazione di Eliot: il nome stesso del protagonista; Stephen, trova palesemente ispirazione, nell'omonimo personaggio joyciano protagonista in Dedalus di un tormentato viaggio interiore di liberazione dai valori della propria educazione.

Si potrebbe ancora scrivere dei rapporti del protagonista con i propri genitori, della sensibilità e delicatezza con cui McEwan descrive il permanere dei rapporti tra Stephen e la moglie Julie durante la loro separazione, della schizofrenia di Darke, della poesia presente nelle ultime pagine e di molto altro ancora. A questo punto credo sia meglio leggere il romanzo.


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