Carlo Lucarelli, Lupo mannaro, Theoria, 2. ed., 1994, 104 p. (Ritmi)  

Il romanzo

Dalla prefazione del volume:

"... Lupo mannaro è una storia poliziesca, che vede antagonisti un serial killer, l'ingegner Velasco, e il commissario Romeo. Non potrebbero essere più diversi: impeccabile, rispettabile, buon padre di famiglia, dedito al bene dell'Azienda o del Paese, l'ingegner Velasco. Minato da una malattia rarissima (che esiste davvero) o forse «solo» follemente nevrotico, con un matrimonio a pezzi e un passato di sinistra per forza di cose poco presentabile, il commissario. Il rapporto tra i due [...] è l'anima di questo «serial-thriller» che mette in scena il mutante paesaggio italiano, dove tutto sembra distorto, capovolto, allucinato, «nessuna verità» o «valore» sembra reggere, e un nuovo ordine è difficile da intravedere. Il «lupo mannaro», così perbene nella vita ufficiale, nei suoi raptus omicidi morde a sangue le vittime - tutte rigorosamente giovani tossiche - [...]. E il commissario Romeo, così casinista, oscuro a se stesso («devo chiarirmi » è il suo ritornello preferito) rimarrà nel cuore dei lettori: forse, a pensarci, proprio per quanto c'è in lui di irrazionale, impulsivo, non spiegato. ..."

Il finale, di cui per ovvi motivi non si accenna, rimane aperto a più soluzioni. Sarà la fantasia del lettore ad immaginare chi dei due contendenti avrà vinto.


Le prime righe

Strinse la cintura così forte e all’improvviso che a Monica la lingua si graffiò sui denti quando un conato violento gliela spinse fuori tra le labbra socchiuse. Lei spalancò gli occhi nel buio, senza capire, perché stava dormendo rannicchiata come un feto, con la spalla e la tempia appoggiate alla pelle calda del sedile e aveva mormorato appena, nel sonno, sentendo il fruscio sottile del cuoio attorno al collo e poi il dente della fibbia che tintinnava rapido sui buchi.

Lui sollevò le gambe, piantandole le ginocchia nella schiena inarcata e strinse ancora, tirando il capo della cintura con tutte e due le mani. A Monica sfuggì un ringhio mentre si graffiava il mento con le unghie, cercando di infilare le dita sotto la cinghia, poi allargò le braccia a croce, annaspando per alzarsi, ma riuscì soltanto a sfiorare il poggiatesta e a piantare i polpastrelli nello specchietto della lunetta parasole abbassata. Allora gemette, piegando le labbra in fuori, roteò i polsi irrigidendo le braccia e rovesciò gli occhi, indietro, fino al bianco, mentre il primo morso le lacerava la spalla. Col piede nudo sferrò un calcio contro il cruscotto che le spezzò di netto il mignolo sinistro, ma a quel punto era già morta e non se ne accorse neppure.

Quando la lasciò, tirandosi indietro sul sedile per appoggiare le spalle alla portiera, sentiva sui denti il sapore dolciastro e appiccicoso del sangue. Chiuse gli occhi, piegando la testa di lato e come al solito il contatto col finestrino umido e freddo attraverso i capelli radi che gli coprivano la nuca gli fece venire voglia di andarsene immediatamente, di tornare a casa. Sospirò, stanco, ma si fece forza, raggiunse la portiera con uno scatto di reni e aiutandosi con le ginocchia fece rotolare Monica fuori dalla macchina, nel fosso, appena sotto le ruote. Si aggiustò sul sedile, infilando la cintura nei passanti e si lisciò la camicia sotto i pantaloni, con cura, prima di stringere la fibbia al solito buco, poi sfilò dalla tasca il fazzoletto e lentamente, sporgendosi verso il retrovisore appannato, si pulì le labbra, il mento, gli angoli della bocca.

Mise in moto e quando con un colpo secco girò al massimo la manopola della ventola il soffio dell’impianto di aerazione divenne un ruggito potente.

 

- Quanto tempo ho?

- Non ho detto questo.

- Hai detto che è incurabile. Quanto tempo ho?

- Non ho detto questo… ho detto che potrebbe diventarlo.

- Quanto tempo ho?

- Dio mio… ma come fai a essere cosi? Adesso ti spiego tutto daccapo…

Bonetti si tocca la punta di un dito, pollice su indice, ad angolo retto, abbandonandosi contro lo schienale della poltrona imbottita, mentre il bavero del camice gli sale sino al mento. Piega la testa di lato e un riflesso di sole gli vela di bianco le lenti degli occhiali. Io mi sfrego le palme delle mani sulle braccia perché sono in canottiera, proprio sotto il soffio dell'aria condizionata. Fa freddo, anche se è ancora estate. Farebbe freddo comunque.

- Allora, punto primo: potresti soffrire di Insonnia familiare letale, che è una malattia genetica del sistema nervoso, rarissima, tanto che in tutto il mondo ci sono sì e no cinquanta casi accertati.

- Cinquantuno.

Bonetti fa una smorfia e si tocca un altro dito ad angolo retto, indice su indice.

- Punto secondo: potrebbe diventare incurabile e mortale se non la si prende con la dovuta cautela. Prima una progressiva incapacità di dormire associata a scosse muscolari, pressione alta, tachicardia, sudorazione, febbre… poi disturbi neurologici sempre piò gravi e alla fine il coma.

L'angoscia che mi stringe lo stomaco. Il pensiero della morte scivola lontano. Non voglio pensarci, ora.

- Quanto tempo ho?

- E dai… ascolta prima il terzo punto - indice su medio, unghia contro unghia - : ho usato il condizionale. Potresti soffrire di insonnia familiare, come di una grave nevrosi specifica di carattere psicosomatico.

- Vuoi dire che sono matto…

- Quello lo sei sempre stato... è da quando eravamo nello stesso banco al Liceo che te lo dico.

Sorrido e sorride anche lui, sollevato. Sotto quel tono sbrigativo da medico pragmatico è preoccupato, Bonetti, più preoccupato di me. Sarà perché non mi ricordo più l’ultima volta che ho dormito. sarà che il sonno rappreso mi brucia agli angoli delle palpebre e sembra quasi che mi appanni la vista, ma all'improvviso l'idea di morire non mi turba più di tanto. Vorrei solo sapere quanto tempo ho.

Bonetti si sporge in avanti, appoggiando i gomiti sul piano della scrivania. Il riflesso di sole che gli velava le lenti si apre come un sipario e appaiono gli occhi azzurri, sempre sgranati e un po' sporgenti. Infila il volto tra le mani e le guance, schiacciate tra le palme, gli premono sotto le palpebre. dandogli un'aria vagamente orientale.

- Allora? – mormora -. Che si fa?

- Non lo so - dico -. Sei tu il medico lo di mestiere faccio il questurino.

- No, guarda… io lo so cosa si deve fare, ma chi deve decidere sei tu. Perché io ti conosco tu parti già con l'idea che tanto sei malato e che non c'è niente da fare. Invece qui ci sarebbero da fare delle altre analisi, e dovremmo anche studiare meglio la storia clinica dì quella tua sorella morta chissà di cosa dieci anni fa. Ma soprattutto, dovresti farti ricoverare qui in ospedale.

Scuoto la testa, poco, perché è quasi mezz’ora che sto seduto a spalle curve e i muscoli del collo mi si sono intorpiditi. Ma con decisione, tanto che la cervicale mi scricchiola dolorosamente.

- Ecco, vedi… e allora? Io che faccio se non collabori? Perché non ne parli con tua moglie…

- È dal 1990 che non parlo con mia moglie…

- Già, è vero... Beh, direi che è perfetto. Sei separato in casa da quattro anni e fai il dirigente alla Squadra Mobile… è la condizione ideale per uno che deve assolutamente evitare ogni forma di stress. Complimenti…

Un rumore strano, sottile e insistente. Già da un pezzo ho la fronte corrugata con lo stesso fastidio con cui registro il beep della sveglia, alla mattina, in quei pochi minuti in cui riesco ad addormentarmi. Bonetti indica la mia giacca, appesa all’attaccapanni accanto al lettino.

- Credo sia il tuo telefonino... - dice -, ma se ci tieni alla salute, ti prego, non rispondere adesso. Ecco, sì, ciao…

La voce frigge nel microfono, disturbata dalle batterie scariche del cellulare che mi dimentico sempre di sostituire. Riconosco le o aperte di Grazia e le sue doppie marcate, da pugliese.

- Commissario Romeo.? Sono... 'sistente Negro, dottore… ‘i sente?

- Si, la sento…- urlo -. La sento! Cosa c'è? – urlo -. Cosa c'è!

- … ‘azza morta... ‘olmi Monica… tossica prosti... obitorio perché quei coglio'…

Giro per la stanza col telefonino incollato all'orecchio, come se servisse a qualcosa e intanto agito una mano verso Bonetti che mi sta parlando.

- Ti scrivo una lettera per il tuo medico perché ti prescriva certe cure e un esame urgente e poi…

- … denti sul culo e io ho pensa'… non l'avrei disturbata se... 'stituto proc'…

- Negro? Grazia, non sento un cazzo... ti do un numero da richiamare…

- E voglio che domani vai a Bologna al Maggiore a farti dare una copia della cartella clinica di tua sorella e poi...

- ... ‘izio... ‘ata... ‘uce…

- Grazia…

- E intanto ti do una cosa per dormire e poi...

- Cristo, Bonetti, per favore!

Tace, di colpo. Mi avvicino alla finestra, con l'antenna puntata verso il cielo. Sto per aprire il vetro quando tra le scariche a singhiozzo mi giungono due parole, solo due, nitide e forti, che mi coprono la schiena di brividi.

- Lupo Mannaro.


Il commento

Un romanzo breve, rapido, incalzante, spietato. Lucarelli descrive in modo efficace e privo di fronzoli la violenza e le contraddizioni della società italiana degli anni '90. Un affresco drammatico che getta una luce inquieta sull'ipocrisia del potere, qui impersonato dall'ingegnere Velasco. Egli risulta privo di ogni senso di colpa per gli omicidi commessi ed è così sicuro di se stesso da sfidare il commissario Romeo confessando di essere il colpevole:

" - Non ha capito... non ho nessuna intenzione di negarlo. Ho detto no per dire no che non lo nego. Sono stato io, è ovvio... cioè è ovvio per me e per lei, naturalmente. [...]. - Ecco, commissario, quelo che io non capisco un attimino è il suo accanimento nei confronti dei miei casi e della mia persona. Vede, prima di iniziare la mia piccola attività io ho fatto, diciamo così, una accurata indagine di marketing che mi ha permesso di individuare una nicchia di mercato assolutamente sicura. Lei si sarà certamente accorto ch eio tratto esclusivamente giovani tossicodipendenti che si prostituiscono in forma occasionale: un soggetto sociale che, mi consenta, riveste scarsissimo interesse per tutti. Non è d'accordo? [...] - Perché? - Perché cosa? - Perché le uccide... perché? Si stringe nelle spalle, con un sorriso quasi timido. - Perché mi fa star meglio. Perché dopo mi sento meglio... dopo. E' un modo di eliminare lo stress e in un lavoro da dirigente, lo saprà certamente anche lei, se ne accumula parecchio. Lei non ha mai avuto voglia di uccidere qualcuno? Dica la verità, ha mai desiderato, in un momento qualunque della sua giornata, di ammazzare qualcuno? Ecco, io lo faccio. [...] - No commissario Romeo, la domanda non è perché ma perché no. Per un problema morale? La morale cambia, signor commissario, nuovi valori, nuova costituzione, nuova repubblica, nuovi obiettivi... Fare e non parlare e io mando avanti un'azienda che è un vanto per tutta l'Italia. Perché corro il rischio di finire in prigione, allora? Sciocchezze... dal 1987 fino a oggi ne ho uccise ventitre e non mi ha ancora preso nessuno. Io sono qua e lei e là. Io mando avanti un'azienda leader con grande efficienza e lei accumula nevrosi su nevrosi. Io vinco e lei perde. Sinceramente, credo che il mio metodo sia un attimino migliore del suo, dal punto di vista produttivo. ..." p. 63-65.

Con il commissario Romeo, Lucarelli introduce un nuovo personaggio nella sua galleria di poliziotti già rappresentata dal commissario De Luca (Carta bianca, L'estate torbida, Via delle oche) e dal sovritendente Coliandro (Falange armata, Il giorno del lupo). Come i suoi predecessori, anche il commissario Romeo si muove guidato da una sorta di codice d'onore che solo casualmente si identifica con la legge o più precisamente, come recita la prefazione al romanzo, preferisce pensare che questa identificazione ci sia. Il risultato di queste contraddizioni da luogo ad un personaggio interessante che acquista ulteriore spessore nel suo rapporto, lavorativo ed affettivo, con Grazia, una collega dalle movenze meno tormentate e dalle idee molto più chiare e lineari del diretto superiore (la figura è molto simile, per certi versi, a Nikita di Il giorno del lupo).

Il finale irrisolto lascia aperta la possibilità e, aggiungo, la speranza di una nuova avventura con gli stessi protagonisti così come è già felicemente avvenuto con il commissario De Luca e con il sovrintendente Coliandro.


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