Carlo Lucarelli, Il giorno del lupo, Einaudi, 1998, 165 p. (Stile libero)  

 

Il romanzo

Protagonista del romanzo, come recita il retro di copertina, "la coppia piú strampalata e divertente della letteratura noir italiana: il poliziotto pasticcione, roccioso e impulsivo, Coliandro e la pallida Nikita, giovanissima sua protetta". L'opera è ambientata a Bologna, una città funestata da una criminalità peggiore della mafia, "più spietata di un branco di lupi". Comunicati della Questura, ritagli di giornali, interviste su episodi di malavita collegati allo svolgersi del romanzo si intervallano via via ai capitoli in cui si narra di Coliandro e Nikita creando uno sfondo cupo e ossessivo.

"... La mafia esiste, certo... solo, non è più quella di una volta. Adesso ci sono maiosi diversi... [...] adesso ci sono i lupi... anche gli ominicchi e i quaraquà ora hanno messo i denti e sparano. [...] Banditi, gangster che suppliscono con la ferocia alla mancanza di professionalità e di organizzazione, fidandosi di quella strana impunità magica che finora li ha assistiti. Gente che spara per le briciole, che vuole tutto e subito e non ha rispetto per nessuno. Lupi... e basta"

La vicenda è semplice. Nikita, di professione pony express, viene casualmente in possesso di duecento milioni, provenienti da loschi affari. Si rivolge alla Polizia e si imbatte in Coliandro, con cui aveva intrattenuto in passato dei rapporti più o meno amorosi. Dall'episodio iniziale la vicenda si svolge con un ritmo vorticoso ed incalzante, ricco di colpi di scena, sino all'epilogo finale.


Le prime righe

Quando partì la prima raffica, inquadrato nella V metallica del mirino dell'Uzi c'era Rocco Carnevale, fermo davanti al bar sotto il portico, la tazzina del caffè in mano. Saltò all'indietro, lanciando in aria il piattino bianco col bollo rosso della Segafredo che Matteo Parisi, in piedi accanto a lui, seguì istintivamente con gli occhi, un attimo prima di piegare violentemente la testa di lato, su una spalla, col mento troncato di netto da un calibro nove a punta morbida. La terza raffica, che gonfiò di bossoli roventi il sacchetto di plastica attaccato all'otturatore del mitra, prese Romano Del Bianco all'altezza della vita e lo spinse in una piroetta rapidissima che lo lanciò dentro la porta del bar, attraverso le strisce verdi di plastica unta. Poi la canna corta dell'Uzi tornò dentro il finestrino, l'auto sterzò bruscamente verso destra, facendo stridere le gomme, attraversò i viali col rosso e sparì in un rombo strozzato, fuori giri, oltre il ponte di San Donato

Capitolo I

Primo: io di fatture non ci capisco un cazzo. Vabbè che ho fatto ragioneria, ma sono pasasto con trentasei e all'esame ho copiato da Bresciani, che stava nel banco davanti. E mi hanno pure beccato, merda..

Secondo: questo schifo di lavoro come responsabile dello spaccio della polizia io lo odio, con tutto il cuore. Sono un poliziotto, minchia, ho sette anni di servizio sulle spalle e con tutto quello che succede in giro, sparatorie per le strade, rapinatori che ammazzano, Bologna che sembra Sarajevo… dovrei stare alla Mobile, sulle volanti del Controllo del territorio, alla Narcotici, cristo, e invece passo tutto il giorno tra inventari e bolle di accompagnamento, come un salumiere. Mi sembra di lavorare alla COOP, altro che in Questura.

Vabbè, minchia, d'accordo…L'anno scorso ho fatto una cazzata e quello stronzo del Questore, che mi odia, perché lo so che mi odia, lo stronzo, mi ha fatto trasferire allo spaccio per punizione e visto che il Questore è il Questore e io sono soltanto un povero cristo di sovrintendente, mi tocca stare compresso, muto e rassegnato.

Quando un uomo col fucile incontra un uommo con la pistola, l'uomo con la pistola è un uomo morto, come diceva Clint Eastwood in "Per un pugno di dollari", bestiale. Lo stronzo ha il fucile, io la pistola. Io sono l'uomo morto. E sto allo spaccio, merda.

Penso a questo mentre mi arrotolo in tasca il pacco di fatture che ho portato alla firma in amministrazione - perché da quando ho ordinato per sbaglio diecimila vasetti di yogurth ai mirtilli c'è un ispettore apposta che mi ricontrolla tutti i conti - e sono così incazzato che non me la sento di fare la fila per l'ascensore. Così scendo per le scale, mi incasino con le porte, svolto a sinistra e, come al solito, invece di uscire mi ritrovo alla Mobile.

Allora, già che ci sono faccio un giro per il corridoio, scivolando tra gruppetti di gente appoggiata alle pareti color crema, perché il corridoio della Mobile è così stretto che sembra un budello. Non conosco più nessuno e c'è pure un agente giovane che mi guarda con aria interrogativa, come per chiedermi cosa voglio ma io gli passo avanti deciso e mi infilo in un ufficio, l'ultimo a destra. Sperando che ci sia ancora Trombetti e non un funzionario, magari il dottor Corbella, che dirige il servizio e mi odia quasi più del Questore. Culo, c'è ancora Trombetti.

- Ohè, Coliandro… e tu cosa ci fai qui? Non sei alla… dove sei adesso?

- Spaccio, - ringhio, e lui mi fa una smorfia sorpresa.

- Alla Narcotici?

Sì, cazzo, la Narcotici… Lì per lì mi chiedo se mi sta prendendo per il culo, ma poi mi ricordo che Tronmbetti ha il quoziente di intelligenza più basso di tutta la Questura di Bologna, così mi stringo nelle spalle e non dico niente. Lui si sporge oltre la scrivania a cui è seduto e mi prende la mano, scuotendola.

- Complimenti e ben tornato… fa piacere vedere un volto conosciuto da queste parti. Negli ultimi tempi c'è stato un promuovi e rimuovi da paura, qui dentro.


Il commento

Come in altre sue opere, Lucarelli supporta il ritmo vorticoso della vicenda con un linguaggio incalzante ed immediato. Lo scrittore utilizza espressioni e stili propri del "gergo" giovanile ottenendo un risultato di estrema efficacia. Un esempio solo per rendere conto dei moduli linguistici usati: la descrizione di Nikita, così come ci appare per la prima volta nel romanzo.

"Porta ancora gli anfibi ed è sempre strana, con un fazzoletto nero legato sulla testa che le copre quasi completamente i capelli tranne una ciocca liscia sulla nuca rasata, un mucchio di orecchini e un giubbotto fosforescente, aperto, con su scritto Pony da una parte e Express dall'altra. Ma almeno non ha più le calze con i buchi, da troia, come quando l'ho conosciuta. Ha una radiolina alla cintura e in mano un casco rosso con una busta dentro e anche lei mi riconosce subito, perché fa una faccia… non so neanch'io come definirla. Piega le labbra un po' all'ingiù e si guarda attorno con la coda dell'occhio, rapida, come se volesse scappare, poi deglutisce e sorride. Un sorriso un po' storto, vabbè… ma che vuol dire? E' la sopresa, ovvio…

Suspence, tensione narrativa, riuscite caratterizzazioni dei personaggi non sono comunque gli unici elementi positivi del romanzo. In aggiunta ad essi occorre evidenziare come l'autore, alternando felicemente i capitoli della vicenda di Coliandro e Nikita con altri capitoli contenenti spunti di cronaca, interviste, trascrizioni di intercettazioni telefoniche, riesce a disegnare con estremo realismo i contorni di una nuova realtà criminale caratterizzata da particolare ferocia e cinismo.


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