BARBARA GARLASCHELLI, Nessuna lezione d'amore
Edizioni E.Elle, c2001, 125 p.
(Frontiere ; 54)

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Il romanzo

Dal retro di copertina:

"Ermanno è il bidello della scuola media P. Nessuno lo nota mai. Come un fantasma si aggira per le classi svolgendo il proprio lavoro. L'unica ad accorgersi di lui è Alice, insegnante di lettere, dolce e determinata. Ermanno custodisce un segreto che gli corrode il cuore, che ogni giorno diventa più grande, più pesante. Incrociando il destino di ogni alunno, in un edificio scolastico che sembra avere una propria vita, il segreto di Ermanno esploderà, in una normale mattinata di scuola. E tutti si renderanno conto che l'amore non ha regole, non si insegna e non insegna. L'amore va solo vissuto. Perché non esiste nessuna lezione d'amore."


Le prime righe

Vista da fuori sta a metà tra una caserma e un collegio. Vista da dentro ricorda di più un sanatorio con le pareti verdine sino a due metri da terra e poi bianco sporco -  più sporco che bianco-  sino al soffitto altissimo. Le porte di legno che si susseguono a intervalli regolari per due piani sono anche loro verdine ma di un verdino più frivolo delle pareti. Il pavimento è formato da quadrotti di piastrelle grigie consumate da migliaia di scarpe che le hanno calpestate nel corso di quasi cento anni.

Di notte, è una costruzione tetra che sembra sospi­rare di vergogna per tanta bruttezza. Di giorno, grida di vitalità e ansima corre sogna piange come le centinaia di scolari che la invadono.

Fuori, la scuola media inferiore P. è un blocco compatto di cemento bucato da decine di finestre, grandi occhi spalancati sul via vai della strada trafficata, tagliata a metà dalle rotaie del tram. Dentro è un cuore dalle molte stanze.

 

 

Accurso Ermanno, ventiquattro anni, custode, esce dal piccolo appartamento al pian terreno dell’edificio scolastico. In piedi al centro dell’atrio osserva la moltitudine degli scolari premere contro il portone principale della scuola. Ascolta le voci dei ragazzi incrociarsi in un concerto stonato e quando le lancette del grande orologio appeso di fronte al portone scatteranno sulle otto e trenta, aprirà e li farà entrare.

Si scosta di scatto i capelli scuri che gli cadono negli occhi e con passo lento si avvicina all’ingresso. Mentre il trillo della campana strappa un gemito di dolore ai ragazzi, con gesti che si ripetono sempre uguali da due anni, Ermanno apre il portone. Gli scolari vengono risucchiati all’interno, corrono su per le scale, a destra e a sinistra verso le aule al pianterreno.

Lui, con uno sguardo invidioso, segue i loro dorsi di uccelli impazziti scomparire. I ragazzi gli passano davanti camminando veloci. Parlano tra di loro, si muovono a sciami o in coppie, si danno pacche sulle spalle e si urlano frasi pesanti. Gli sfilano davanti senza guardarlo, come fosse una scrivania o una sedia. Una parte integrante dell’edificio, una sua protuberanza.

Le porte vengono sbattute una dopo l’altra in una sinfonia sincopata. Le voci si smorzano come candele dopo un soffio di vento. I corridoi tornano a essere vuoti, ma vibranti di energia trattenuta. Di tanto in tanto il rumore di un paio di tacchi che si allontana, una porta che si apre cigolando e si richiude con un morbido toc. Poi, improvvise come uno scroscio di pioggia primaverile, delle risate. E poi di nuovo silenzio.

Ermanno entra nella guardiola, una stanzetta arredata con due sedie, un tavolo e un attaccapanni. Uno sportello a vetri dà sull’atrio. Da lì Ermanno controlla chi entra ed esce dalla scuola. Nella stanza regna un odore di polvere, di finestre sempre chiuse, di soprabiti umidi.

Esce reggendo un pacco di fogli: un avviso da consegnare a tutti i professori. Non gli ha dato nemmeno un’occhiata dopo che la segretaria, una vampira tutta pallore e denti, glieli ha consegnati. Ciò che accade in quella scuola non pare riguardarlo.

Ha trascorso la notte insonne. Si è girato e rigira­to per ore nel letto, senza trovare la forza di alzarsi né quella di abbandonarsi ai sogni.

Sogni.

Incubi, che come mani rapaci lo vogliono trascinare verso il fondo.

Un viso è tornato a tormentano.

Uno sguardo limpido e stupito.

Marina.

Sperava di esserci riuscito, di aver fatte i conti con il proprio passato. Di averlo imbrogliato, almeno. Invece no. Niente imbrogli, nessuno sconto.

Ermanno sale le scale ascoltando il rumore dei propri passi e si avvicina alla prima porta.

 


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08/04/2002