COME UNA CHITARRA NELLA NOTTE

La stanza sembrava più vuota del solito… dietro non mi sarei potuta portare molto, eppure io immaginavo già la mia stanzetta vuota, con solo le pareti a fare da paravento, senza più nemmeno i mobili… come dopo un trasloco, tutto d’un tratto mi assalì una grande tristezza, quella casa mi sarebbe mancata tantissimo, come poteva non essere così, io ero addirittura nata in quella casa… mamma mi raccontava sempre quella storia… aveva avuto le doglie nella notte, l’ospedale più vicino era a km di distanza e loro non si erano preparati, sarei dovuta nascere quasi due settimane dopo… e così con l’aiuto del medico io ero nata in casa, proprio in quella cameretta, tutto d’un tratto mi piombò addosso una gran tristezza, mi buttai di peso sul letto, slanciando il mio corpo all’indietro e rimbalzando un paio di volte sul materasso morbido, da domani sarebbe cambiato tutto, quel materasso e quel cuscino non avrebbero più accompagnato i miei sogni, sbirciai la radiosveglia sul comodino… le 4:50

<< che palle! Non ho più sonno, mannaggia a mio fratello e le sue bravate >> mi alzai dal letto e aprii la grande finestra… adoravo quella finestra, mi ci sedevo sopra tutte le volte che mi sentivo un po’ disperata con il mondo oppure solamente giù di morale, il giorno era stato piovoso, il cielo era pieno di nuvole che con quell’infinito annerito dalla notte sembravano ancora più minacciose, a guardarle bene sembravano tanti fantasmi di forme diverse, incappucciati in un lungo mantello strappato… strappato poi chissà da cosa, magari si era impigliato nei rami spinati di qualche montagna e si era strappato, oppure erano state le ali degli aerei e degli uccelli a rovinarlo in quel modo… rimasi ferma a guardare davanti a me per qualche minuto poi presi la chitarra e saltai sul davanzale, già mi sentivo la voce della mamma… "Winn, scendi subito di lì, potresti cadere, lo sai che è pericolosissimo" ma ora quell’angelo della mia mamma dormiva, dormiva tranquilla tra le sue lenzuola di lino, con accanto un uomo che non riconosceva più come suo marito, e noi non riconoscevamo più come padre… domani mattina mamma ti sveglierai e preparerai la colazione come al solito… e sarà il nostro addio, tu lo sai che ce ne vogliamo andare, lo sai e ci dai il tuo appoggio, la tua benedizione… non ci vedrai andare via, lo sentirai mamma, lo sentirai nel sonno, in un sogno infinito che per te forse è un incubo… rimarrai sola, con lui, contro di lui, e in quel sogno di mezzanotte, in quella pallida movenza di pensieri noi ti saluteremo, ti manderemo un bacio e ti saluteremo, forse per l’ultima volta… e ti racconteremo tante storie in quei sogni di mezzanotte, non ti dimenticheremo mai mamma…

pian piano mi misi a suonare… un paio di accordi, non sapevo fare molto, cominciai a suonare quelle quattro note che riuscivo, quei quattro accordi che con un po’ di impegno e la mia fantasie erano diventati una canzone, una ninna nanna… una ninna nanna che sarebbe servita tutte le notti, che tutte le notti avrebbe suonato a quell’ora, registrata del vento della sera, che tutte le notti avrebbe tranquillizzato la nostra mamma e avrebbe fatto addormentare il suo angelo che rimane sempre desto e vigile, sempre preoccupato. Quella nenia sarebbe servita ad addormentare l’animo delle persone che ancora a quell’ora erano sveglie, a far tacere gli animali, a coprire i tetti con un velo di nebbia e neve…

rimasi fino al mattino ferma su quel balcone, a suonare sempre quelle quattro note e quei quattro accordi, sempre uguali con le parole sempre diverse, il canto della mia mente che si spandeva su tutta la città, dove la mia voce non sarebbe mai arrivata… quattro note, tranquille, lente, forse un po’ noiose, ma chi sapeva quello che pensavo non lo avrebbe mai detto, suonate con il cuore, suonate con l’anima, ma più che altro con il pensiero, era la mia mente, la mia canzone che le rendeva uniche irripetibili, ogni parola che avrei pronunciato se la sarebbe mangiata il vento e non la avrebbe ridata più, se la sarebbe tenuta come il tesoro di qualcuno che stava per andarsene come la dote di una ragazzina dai capelli di cenere che se ne stava ferma sul davanzale, con una vecchia chitarra scordata in mano e suonava quattro note, quattro note e basta, che suonava una nenia, una ragazzina triste che cantava il suo addio ad una casa, ad una vita e una città che aveva sempre amato, una vita con cui era cresciuta, tenendola per mano, saltando e giocando con lei

una ragazzina che cantava il suo addio con il pensiero a bassa voce, per non svegliare le anime dormienti a quell’ora tarda della notte, che suonava tranquilla con le lacrime che le solcavano il viso, lacrime salate, tutte le lacrime sono salate… ma dolci, dolci e tristi, suonate con la delicatezza di una chitarra nella notte…

un addio, semplicemente un addio alla vita, che anche se non sarei morta sarebbe cambiato tutto, salutai ad uno ad uno i tetti delle case, tutti i nidi e tutti gli alberi che tutte le mattine contavo andando a scuola, tutte le foglie secche che schiacciavo facendo a gara con la mia ombra… e addio anche a quell’angelo della mia mamma, quell’angelo che vive e vivrà dentro di lei, che vivrà anche dopo la sua morte, quell’angelo che ora la mia canzone aveva tranquillizzato e addormentato, ed ora era tranquillo e sapeva che la sua bambina suonava anche per lui…

una canzone della mia mente, i miei pensieri in una danza interminabile che arrivava dove io desideravo… dolce e delicata come una chitarra nella notte