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Wittgenstein
Quantificatori come funzioni di verità
di Loris Basini
La posizione di Wittgenstein implica che i quantificatori ", $ siano trattati come funzioni di verità. Ovvero come risultato dell'applicazione dell'operazione N alle proposizioni elementari. Così facendo, Wittgenstein considera gli enunciati quantificati universalmente come lunghe congiunzioni, e quelli quantificati esistenzialmente come lunghe disgiunzioni. Apparentemente, ciò sembra ragionevole. Tuttavia, secondo Kenny, esso sconta una debolezza lapalissiana: deve presupporre l'esistenza di un numero "finito" di oggetti esistenti nell'universo. La semplice enunciazione di «tutti gli apostoli erano ebrei» comporta l'assunzione implicita di sapere a priori che Pietro, Giacomo, Giovanni, ecc sono sia apostoli che ebrei. Per esplicitare questo punto, si dovrebbe ricorrere ad un altro enunciato quantificato del tipo: «Pietro era un apostolo e Giacomo era un apostolo... e Giuda era un apostolo, e nessun altro oggetto era un apostolo». Bene, ma per rendere « e nessun altro oggetto era un apostolo» dovremmo enumerare tutti gli oggetti dell'universo, e asserire per ciascuno di essi che non era un apostolo. In un universo infinito, ciò è impossibile. Kenny tace sull'altra difficoltà, quella di enumerare chi era ebreo e nessun altro oggetto lo era. Se è così, comunque Kenny avrebbe ragione nel dire che Wittgenstein avrebbe avuto bisogno di un assioma di finitezza per fondare la teoria della quantificazione. Purtroppo, in altre parti del Tractatus, lo stesso considera la finitezza del mondo come questione aperta. Infatti, Wittgenstein ritiene ammissibile che ogni stato di cose possa essere composto di un numero infinito di oggetti, che è diverso dal dire indeterminato. Si veda per esempio T 4.2211. In T 4.272 leggiamo che è insensato parlare del numero di tutti gli oggetti. Un'ulteriore complicazione è data dal fatto che esistono anche infiniti nomi per ogni oggetto. Wittgenstein non può quindi introdurre coerentemente una notazione quantificazionale che operi solo se il numero dei nomi è finito, perché dal punto di vista logico la questione del numero dei nomi è indecidibile.

Fatta questa disanima, Kenny si chiede, tuttavia, se sia corretto asserire che la notazione di Wittgenstein operi veramente così. «Dopo tutto, egli non dice che le proposizioni cui deve essere applicata l'operazione N nelle proposizioni quantificate devono essere enumerate: per questo i quantificatori differiscono dalle altre operazioni vero-funzionali; le proposizioni non sono enumerate, ma date come tutti i valori di una certa funzione. La totalità delle proposizioni (e quindi dei nomi) non è detto che compaia in una proposizione quantificata più specificamente che in una proposizione non quantificata. Come abbiamo visto, ogni proposizione elementare può essere rappresentata come una funzione di verità di tutte le proposizioni elementari (T 5.524). Ogni proposizione porta con sé tutto lo spazio logico; né gli operatori vero-funzionali né i quantificatori introducono qualcosa di nuovo (T 3.42).» (1)
Riprendendo l'analogia col gioco degli scacchi, vien facile considerare come ogni proposizione elementare sulla posizione di un pezzo presuppone l'intera scacchiera e le posizioni di ogni pezzo. In primo luogo, viene così escluso qualsiasi altra considerazione sul luogo in cui si trova la scacchiera, se piova o no, se un giocatore sia seduto e l'altro passeggi nervosamente, se un cameriere serva del te ogni mezzora, se siamo prossimi alla fine del mondo ecc.. Ogni altro oggetto è quindi escluso dal discorso, perché il discorso concerne solo il gioco, anzi, quella partita. Abbiamo quindi a che fare con un universo finito, meglio,con un tempo e un luogo circoscritti. E questo è lo spazio logico in cui assume rilevanza una qualsiasi asserzione raffigurante lo svolgersi del gioco. In tal modo lo stato di cose è descrivibile in un liguaggio logico. E, così, le tautologie che entrano nella costituzione delle proposizioni diventerebero un'armatura logica: l'armatura grazie alla quale è costruita l'immagine. (T 3.42)
E' evidente, sotto questo profilo, che il sistema Wittgenstein applicato ad uno spazio logico finito non entra in crisi e non manifesta crepe. Considerando la situazione di una scacchiera all'inizio di una partita, possiamo dire che vi sono otto pedoni bianchi, a2, b2, c2, ... h2, e nessun altro oggetto è un pedone bianco. In questa luce, tuttavia, anche gli enunciati riguardanti gli apostoli potrebbero essere ricondotti in uno spazio-tempo determinato. Non sono possibili molti fraintendimenti quando si parla di "apostoli" e, in ogni caso, potremmo sempre ricorrere alla più precisa espressione "apostoli di Gesù Cristo". Tutti gli Apostoli possono così essere enumerati, e se si rimane allo spazio-tempo della predicazione di Gesù, si può ragionevolmente delimitare la cornice degli avvenimenti non come in una scacchiera, ma come in uno scenario finito. In tale scenario vi sono dodici apostoli enumerabili con lunghe congiunzioni e classificabili come ebrei. Non incontriamo soverchie difficoltà, allora, anche al di fuori di una scacchiera, a procedere secondo i dettami dell'atomismo logico, purché sia sempre presente un referente finito di oggetti, e si possano quindi escludere tutti gli altri.
Se, ad esempio, avessimo la pretesa di comporre un enunciato del tipo "tutti gli uditori della predicazione di Gesù erano ebrei", cadremmo in un doppio trabocchetto. Il primo aspetto dell'imbroglio è implicato nell'espressione "e nessun altro oggetto era ebreo". Cosa non vera se misurata con le affermazioni evangeliche che parlano di folle, di centurioni, di donne pagane e così via. E comunque inverificabile. Il secondo aspetto lo potremmo definire di tipo semantico. Cosa si intende per "ebreo"? Un tipo razziale e/o nazionale, oppure il fedele di una religione? Quindi anche un romano convertito all'ebraismo?
Tali difficoltà cominciarono ben presto a presentarsi a Wittgenstein, ed egli si trovò costretto a rivedere alcune sue idee. Un esempio di tale revisione fu presentato da Waismann nel suo libro Ludwig Wittgenstein e il circolo di Vienna. (2) Wittgenstein affermò esplicitamente, secondo Waismann, che la teoria dell'indipendenza delle proposizioni l'una dall'altra era insostenibile, e che inferenze del tipo "se un uomo è alto due metri, non può essere alto tre" erano perfettamente logiche. Come del resto era logico che un oggetto, poniamo una macchia di colore, fosse rossa e blu. O è rossa, o è blu. Pertanto asserire "questa macchia è rossa" può anche portare all'inferenza "questa macchia non è blu, nemmeno verde, nemmeno gialla". Ma anche in questo caso, è notevole osservare che l'universo di discorso non è infinito, ma limitato. Abbiamo a che fare, cioè con una sola macchia e con l'intero spettro dei colori, che costituisce comunque un universo finito, cioè uno spazio logico non illimitato.

Kenny osserva che se si assume l'infinitezza degli oggetti come assioma, il sistema crolla non solo di fronte all'introduzione dei quantificatori come funzioni di verità, ma crolla fin dall'inizio, poiché i connettivi proposizionali e i quantificatori sono presenti implicitamente fin dall'inizio.
Si tratta di una questione che investe non solo la filosofia, ma l'insieme dell'impresa scientifica, come appare evidente dal fatto che le asserzioni di ogni scienza hanno un significato, e un senso, solo all'interno di uno spazio logico determinato. Non finito, ma circoscritto. Faccio un esempio: quanti punti sono contenuti in un segmento di cm.5? Se partiamo dal presupposto che il punto geometrico non ha dimensione, ci troviamo di fronte ad una vera difficoltà. Esistono indubbiamente due estremità, cioè due punti finali. Ma all'interno della linea continua esiste un numero infinito di punti possibili giacché un punto senza dimensione, non occupa alcuno spazio. L'infinito può dunque esistere anche in uno spazio logico circoscritto.
Questo infinito non può essere rappresentato, o raffigurato, ma può essere mostrato. Mi pare, insomma, che anche dall'atomismo logico in versione Wittgenstein si possano trarre, ancor oggi, moltissimi spunti per una riflessione mirante a risolvere questioni di logica e di pulizia del linguaggio. E questo anche in presenza di alcune evidenti contraddizioni.

(1) A. J. P. Kenny - Wittgenstein - Bollati Boringhieri 1984
(2) F. Waismann - Ludwig Wittgenstein e il circolo di Vienna - La Nuova Italia 1975