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Parigi 1277, proibito insegnare la filosofia naturale di Aristotele
Una pagina importante nella storia dell'intolleranza religiosa e filosofica

Aristotele affermò nel secondo libro del De coelo che il mondo «nella sua totalità non è generato, e non s'ammette che possa corrompersi, come alcuni dicono, ma è uno , non ha principio né fine in tutta l'eternità della sua durata.»

Fra la dottrina della chiesa e le idee esposte nei libri sulla natura di Aristotele, si danno alcune clamorose contraddizioni, che pochi studiano ancora perché assuefatti ai dettati delle rivoluzioni scientifiche moderna e contemporanea. Nella tarda antichità se n'era accorto Filopono, il quale aveva potuto disporre di gran parte del corpus aristotelico, andato successivamente distrutto o disperso, e solo parzialmente recuperato, grazie ai filosofi arabi. L'introduzione delle opere di Aristotele sulla natura nei corsi universitari durante il XIII secolo creò seri problemi ai teologi cristiani, i quali reagirono lentamente, ma con sempre maggiore rigidità. L'epicentro dei sommovimenenti teologici fu l'Università di Parigi e culminò con una condanna nel 1277, tre anni dopo la morte di Tommaso d'Aquino, instancabile propugnatore di una sintesi tra la filosofia di Aristotele e la fede cristiana. Ciò non fu casuale, Ma, probabilmente, è stata esagerata l'importanza della figura di Tommaso tra i suoi contemporanei. Non un dottore tra gli altri, sicuramente, ma nemmeno l'indiscusso maestro che divenne in seguito nei libri di storia della filosofia. Una riabilitazione di facciata più che di sostanza si ebbe con il processo di beatificazione del 1325. Il problema che si pone agli storici non è da poco. Fu sostenuto da quel Giovanni XXII papa in Avignone, nemico giurato dei francescani e interessato difensore del proprio stile di vita e del potere acquisito. Si ha il diritto di pensare che la scelta fu dettata da motivazioni politiche, oppure che è impossibile separare le scelte dottrinali da quelle politiche, se la Chiesa è di fatto un soggetto politico, ed i vertici ecclesiastici sono, a loro volta, i timonieri del soggetto. Ovviamente, si ha pure il diritto di pensare che avanzare sospetti sempre e comunque è una pessima abitudine. Le intenzioni di Giovanni XXII erano limpide come l'acqua?! D'altro canto, gran parte di questa finestra è dedicata ad un diverso sospetto. Da Bonaventura in poi, i francescani costituirono un partito "platonico" all'interno della Chiesa, pur registrandosi tra essi una costante dialettica non priva di asperità e conflitti. Gli storici hanno il diritto di riaprire i fascicoli, salvo chiuderli con un nulla di fatto. Resta che su tutti i platonici dichiarati e convinti continua a gravare l'ombra del totalitarismo, mentre sugli aristotelici penzola l'accusa di "positivismo" inconcludente e di una metafisica troppo legata alla fisica. L'inchiesta si conclude con le paradossali affermazioni di Sigieri di Brabante: una sorpresa, un secchio d'acqua gelata su chi confida troppo sulla ragione naturale.

La reazione antiaristotelica si sviluppò a Parigi perché la sua Università costituiva la più grande scuola teologica del momento, allo stesso tempo ospitando i corsi dei maestri delle arti che avevano il compito di insegnare le altre materie. Secondo la ricostruzione effettuata da Edward Grant, le università più fiorenti erano all'epoca quelle di Oxford, Parigi e Bologna. (1) Erano organizzate più o meno sullo stesso modello, ma Parigi offriva le migliori attrattive per gli studenti di tipo medio. Ad Oxford c'era troppa aritmetica e lo studio dell'Almagesto di Tolomeo imponeva una grande intimità con difficili problemi di calcolo. Le sette arti liberali canoniche, riassunte in uno schema disegnato da Marziano Capella nella prima metà del V secolo con il De nuptis Philosophiae et Mercurii, avevano costituito per un bel tratto di strada il baricentro degli insegnamenti della pedagogia cristiana. (2) Gli studi erano organizzati in Trivium, ossia grammatica latina, retorica e dialettica; Quadrivium ossia aritmetica, geometria, astronomia e musica. A Bologna si insegnava giurisprudenza, a Parigi soprattutto diritto canonico. Secondo Grant, tuttavia, bisognerebbe distinguere tra l'originario Quadrivium delle abbazie benedettine, e quello giunto a dignità sapienziale nel XIII secolo. La ragione è la più ovvia. Erano cambiati i testi di riferimento. Se ancora nel XII secolo quelli di Alano di Lilla e Nicola d'Amiens erano altamente considerati, in varia misura anche come opere di valore enciclopedico, nel XIII secolo aveva maggior valore e diffusione il Didascalion di Ugo di San Vittore. Inoltre, si era verificata un'autentica invasione di traduzioni dall'arabo e dall'ebraico - e non dal greco - di testi aristotelici, o pseudo tali, prima sconosciuti. (3) Ad essi si aggiungevano i testi dei commentatori e degli esegeti, in particolare i filosofi arabi Avicenna ed Averroè. Molto attivo sul fronte delle traduzioni era stato Michele Scoto, sponsorizzato da Federico II, libertino ante litteram e decisamente orientato a sbarazzarsi dell'oppressione dogmatica del magistero ecclesiastico. Gilson segnala che ad Oxford le opere naturali di Aristotele furono accolte con molta maggiore libertà. Oltre agli studi di scienze naturali, erano anche giunte dall'inarrrestabile fucina dei traduttori di Toledo, studi di alchimia e di vera e propria magia, in altre parole: scienze occulte. Testi che, secondo i loro autori, avrebbero potuto guidare gli amanti della vera sapienza a dominare la materia, a costruire talismani potenti, in grado di deviare l'eventuale sfortuna decretata da un oroscopo negativo. (4) Cosa potessero insegnare i maestri delle arti nei corsi regolari all'Università prima del 1277 è dunque ancora in parte da scoprire o da intuire. Cosa potessero insegnare privatamente, forse in riunioni segrete riservate a iniziati alle scienze occulte, lo si può inferire solo dai testi a chiusura ermetica, il più delle volte incomprensibili ai profani. Concetto, quest'ultimo, che si potrebbe estendere a tutti coloro nati dopo Descartes, padre Mersenne, Galilei e Leibniz. Uno dei testi più controversi della tarda antichità, l'Asclepius, era già stato tradotto in latino da Apuleio di Madaura, lo stesso autore delle Metamorfosi e dell'Asino d'oro, e circolava in segreto.

Nel 1210, il sinodo provinciale di Sens vietò con un decreto che tutti i libri di filosofia naturale di Aristotele, e tutti i relativi commenti, fossero letti a Parigi in pubblico ed in segreto, sotto minaccia di scomunica. Il divieto fu reiterato nel 1215 in modo specifico per l'università di Parigi. Nel 1231 il bando ottenne la sanzione pontificia da parte di Gregorio IX con la bolla Parens scientiarum. In essa si ordinava che i perniciosi trattati d'Aristotele fossero purgati dai loro errori. Nel 1245, Innocenzo IV estese il divieto all'Università di Tolosa che sembrava essere diventata un covo di convinti aristotelici, richiamando studenti curiosi ed anche docenti impavidi. La storia si ripete: basta proibire un libro per farlo diventare un best seller. A Parigi, tuttavia, si continuarono a studiare la logica e l'etica d Aristotele, mentre le opere proibite non cessarono di circolare in modo semi-clandestino. Nella stessa università insegnarono il francescano Bonaventura da Bagnoregio e il domenicano Tommaso d'Aquino, due figure che la storiografia conciliante ha teso rendere come diverse e complementari. 'In realtà, le differenze erano palpapibili, insieme ai punti di frizione. Circa Bonaventura - il cui vero nome era Giovanni di Fidanza - bisogna, tuttavia, sfatare il mito del francescano diffidente nei confronti della troppa cultura e della speculazione filosofica. Egli entrò nell'ordine francescano nel 1243, dopo aver studiato a Parigi seguendo l'insegnamento di Alessandro di Hales. Francesco non aveva vietato lo studio, si era semplicemente limitato a consigliare di guardarsi dai pericoli di una vita puramente intellettuale. Essa conduce alla superbia. Contro le interpretazioni estreme di questi ammonimenti, Bonaventura prese partito in uno scritto: l'Apologia pauperum, nel quale difendeva la scelta della povertà, ma metteva in guardia dai rischi della miseria intellettuale. (5) Lo scritto che concluse l'attività magistrale di Bonaventura, le Collectiones in Hexaemeron, una trascrizione di discorsi rivolti ai confratelli ed agli studenti di Parigi, fornisce un compendio dei temi fondamentali affrontati da Bonaventura. Al centro, la proposizione del cammino verso la verità, «articolato in quattro tappe (ragione naturale, fede, sacra scrittura, contemplazione), cui avrebbero dovuto aggiungersene altre tre (profezia, estasi e beatitudine eterna), per comprendre il parallelismo e l'analogia con i giorni della creazione.» (6)
Etienne Gilson scrisse a proposio di Bonaventura: «La filosofia deve aiutarci a realizzare il nostro disegno, di modo che, seguendo le tracce dei suoi predecessori, aderendo volontariamente alle dottrine dei maestri, specialmente del suo padre e maestro Alessandro di Hales di felice memoria, Bonaventura non esiterà ad accogliere dalle nuove dottrine tutto ciò che gli permetterà di completare gli antichi: "non enim intendo novas opiniones adversare, sed communes et approbatas retexere." Questo è lo spirito che anima la sua opera fondamentale, il Commento alle sentenze, e i suoi numerosi trattati ed opuscoli, come l'Itinerarium mentis in Deum, nei quali si trova sviluppata la sua dottrina.» (7) Ancora. «La natura umana è fatta per cogliere un giorno il bene infinito che è Dio, per riposarsi in lui e goderne. di questo oggetto supremo verso cui tende, l'anima possiede fin da quaggiù una conoscenza imperfetta, ma molto sicura, che è quella della fede..Nessun'altra conoscenza ci dà una convinzione così profonda e incrollabile come questa. Il filosofo è meno sicuro di ciò che sa di quanto non lo sia il fedele di ciò che crede. E nondimeno è la stessa fede nella verità rivelata che è l'origine della speculazione filosofica. In effetti, laddove la ragione è sufficiente a determinare l'assenso, la fede non potrebbe trovar posto, perché noi possiamo apprenderlo razionalmente.» Da ciò si evince che Bonaventura guardò a Platone, sostituendo il "somme bene" socratico con il Dio dei cristiani. Nei suoi scritti - osserva Anthony Kenny - non ebbe alcuna difficoltà a dichiararsi esplicitamente platonico. (8) Fin qui, benché lo storico di orientamento "laico" possa trovarsi a disagio con tanto fervore, non vi sarebbe nulla di negativo da osservare. L'insegnante di teologia ha tutto il diritto di ricorrere alla lezione di Bonaventura. Ma, nella vita del teologo ci fu un episodio che solleva qualche dubbio. Scrisse una biografia di Francesco d'Assisi per poi pretendere che fossero distrutte tutte quelle composte da altri autori. (9) Una simile arroganza diviene sospetta nel momento in cui si tratta di valutare quale ruolo giocò Bonaventura nella condanna di Aristotele. Sostanzialmente, il suo pensiero coincise con quello dei vescovi e dei pontefici nominati. Sicuramente egli contribuì ad orientarli. La teologia, regina delle scienze, non poteva venire contraddetta da insegnamenti estranei alle Sacre Scritture. Oggi come oggi, si potrebbe definire questa posizione come "integralismo", benché sia evidente che anche l'aristotelismo a spada tratta, soprattutto per quanto riguarda i problemi schiettamente fisici del movimento dei corpi, sarebbe diventato a sua volta un fondamentalismo ingiustificato. Ad esempio, nel processo intentato a Galilei.
Nella lunga vicenda di cui abbiamo narrato alcuni antefatti, sembra sia vero - lo dice Grant - che solo la logica e l'etica di Aristotele furono oggetto di libero insegnamento all'Università parigina. «Fra il 1260 e il 1280 una seconda fase della lotta si sviluppò a Parigi. Ispirati da Bonaventura da Bagnoregio (1221 - 1264), i teologi conservatori cercarono di fissare dei limiti alla filosofia di Aristotele, che costituiva il nucleo fondamentale della nuova cultura pagana ed araba. Non erano più i tempi nei quali un semplice divieto di leggere le opere aristoteliche poteva ottenere l'effetto voluto. Anziché mettere al bando le opere, i teologi conservatori cercarono di affrontare il problema condannando le idee che essi ritenevano dannose e pericolose. quando apparve evidente l'inutilità dei loro ripetuti moniti, sui pericoli della filosofia laica, i teologi tradizionali fecero appello al vescovo di Parigi, Etienne Tempier, il quale, nel 1270 intervenne e condannò 13 articoli tratti dalle dottrine di Aristotele o dai commenti di Averroè a tutte le le opere aristoteliche. Sollecitato da Egidio di Lessines, Alberto Magno, maestro e mentore di Tommaso d'Aquino, compose di getto il De quindecim problematibus, una difesa dei diritti della filosofia e una coraggiosa reiterazione delle posizioni domenicane. Ciò nonostante, nel 1272 i maestri delle arti dell'Università di Parigi furono costretti a prestare un giuramento che li obbligava a non prendere in considerazione questioni teologiche. Se, per qualsiasi ragione, un maestro delle arti si fosse trovato costretto ad affrontare una questione teologica, il giuramento li obbligava a risolverla in favore della fede.» (10) In un testo scritto tra il 1270 ed il 1274, Glii errori dei filosofi, Egidio Romano, allievo di Tommaso, intervenne per deviare le accuse rivolte al maestro, cercando di mostrare che la responsabilità degli errori doveva essere imputata agli arabi al-Kindi, al Ghazali, Avicenna ed Averroè, nonchè all'ebreo Maimonide. Ma fu ben presto evidente che la contromossa era costituzionalmente debole: il problema era Aristotele. Intervenne il pontefice Giovanni XXI, non l'ultimo arrivato essendo il filosofo Pietro Ispano giunto al culmine della carriera, e ordinò al vescovo Tempier di istruire un'inchiesta. Poi morì improvvisamente. Tempier, nel marzo del 1277, pronunciò la condanna di 219 proposizioni. Alcune di esse danno l'idea esplicita di cosa venne condannato:
21. Nulla accade per caso, ma tutte le cose accadono necessariamente; tutte le cose future esisteranno per necessità, e quelle che in futuro non vi saranno, non vi saranno perché la loro esistenza è impossibile.
34. La causa prima [cioè Dio] non può creare una molteplicità di mondi.
35. Senza un agente idoneo, come un padre e un uomo, nessun uomo può essere fatto [soltanto] da Dio.
48. Dio non può essere la causa di un nuovo atto [o cosa ] né può produrre qualcosa di nuovo.
49. Dio non può far muovere i cieli [o il mondo] con moto rettilineo, perché in tal caso si produrrebbe un vuoto.
90. Un filosofo naturale doverbbe negare in modo assoluto la novità [cioè la creazione del mondo], perché egli fa riferimento a cause naturali e a ragioni naturali. Il credente, invee, può negare l'eternità del mondo, perché egli si appella a cause sovrannaturali.
112. Che le intelligenze superiori influiscono su quelle inferiori , come un'anima influisce sull'altra ed anche su un'anima sensitiva, e con tale impressione un incantatore gettò un cammello in un una fossa solo con lo sguardo.
139. Un accidente che esista senza un soggetto non è un accidente, se non in senso ambiguo, [ed] è impossibile che una quantità o una dimensione esista di per sé, perché ciò farebbe di essa una sostanza
140. La tesi secondo la quale un accidente potrebbe esistere senza un soggetto è insostenibile perché implica una contraddizione
141. Dio non può far sì che un accidente esista senza un soggetto, o che più dimensioni esistano simultaneamente [nello stesso luogo].
152. Le discussioni teologiche sono basate su favole

153. Nessuna conoscenza viene migliorata dalla conoscenza della teologia.
154. Gli unici saggi esistenti al mondo sono i filosofi
204. Prima della generazione del mondo c'era un luogo nel quale non esisteva alcuna cosa, eccetto il vuoto.


Non deve sfuggire al lettore che oltre alla reiterazione del principio dell'onnipotenza divina - Dio può fare e disfare a suo piacimento il corso della natura - veniva anche difesa nella condanna uno dei capisaldi della dottrina cattolica: l'irrinunciabile sacramento dell'eucarestia, ovvero la trasmutazione di un pezzo di pane e di un calice di vino nel corpo di Cristo. Secondo il sacramento dell'eucarestia, infatti, le sostanze prime - il pane ed il vino - diventano corpo di Cristo dopo una speciale benedizione, una formula che si potrebbe definire magica, e comunque esclusiva della sapienza cristiana teologica e sacerdotale. Chi segue Aristotele e la dottrina delle essenze, o sostanze che dir si voglia, non può evidentemente accettare un principio di doppia identità. Un pezzo di pane rimane un pezzo di pane e tutti gli attributi che gli convengono - tipo gustoso, nutriente, raffermo, ammuffito, integrale o raffinato - appartengono all'ordine della produzione umana del pane e dell'estetica del gusto, e non a quello della sapienza sacerdotale. Quando la filosofia s'impiccia di simili questioni, il teologo cristiano comincia ad innervosirsi.
La condanna della 112 sfiora il ridicolo. Secondo il vangelo di Marco, Gesù trascinò una mandria di porci nell'abisso, ma avendolo detto Avicenna, un filosofo islamico, in altro modo,diventava eresia. A chunque venisse in mente di obiettare che Gesù è Figlio di Dio, mentre Avicenna è solo figlio di un uomo e d'una donna, si propone di meditare su quanto segue. Gesù fu tentato dal demone di usare i poteri superiori in quanto uomo per diventare padrone del mondo. E se si affermasse che se la cavò solo perché era figlio di Dio, si ridurrebbe la statura morale dell'uomo. Avicenna affermò qualcosa di simile a chi dice oggi che la scienza è neutrale ed è l'uomo che la riceve dall'uomo. Tutto dipende da chi la usa e come la usa. D'altra parte, non si può negare che esistano tutt'oggi individui in grado di suggestionare e plagiare individui bisognosi di tutela psicologica, forzandoli a compiere atti malvagi o autodistruttivi. Così come si può indurre un cane ad aggredire un uomo, si può indurre una personalità fragile a suicidarsi.
Etienne Gilson provò ad interpretare la sentenza di Tempier scomponendola analiticamente. Essa sanciva la definitiva condanna della dottrina della "doppia verità" imputata ad Averroè. Ossia al vivere in una costante contraddizione tra le verità di ragione e quelle delle scritture sacre. Ma le proposizioni condannate non erano tutte riconducibili al filosofo arabo. «Alcune, di ordine essenzialmente morale, si rivolgevano al trattato sull'amore cortese (Liber de Amore) di Andrea il Cappellano, alcune colpivano la la filosofia di San Tommaso, parecchie assomigliavano molto alle tesi sostenute dai dialettici del XII secolo, un numero grandissimo colpiva Avicenna non meno di Averroè; in breve pare che questa condanna abbia inglobato l'averroismo in una specie di naturalismo polimorfo che rivendicava i diritti della natura pagana contro la natura cristiana, della filosofia contro la teologia, della ragione contro la fede. In quanto poneva la filosofia al di sopra della credenza religiosa, questo naturalismo poteva richiamarsi ad Aristotele (Metafisica XI, 8 107 4b), ma alcune delle tesi condannate, delle quali ignoriamo l'origine, dimostrano fin dove si potesse allora giungere negli scritti, forse, e sicuramente nella discussione: la religione cristiana impedisce di istruirsi ...»
Occorrono tuttavia ulteriori spiegazioni e Grant ha fatto un ammirevole lavoro per chiarirne il senso ed anche alcune conseguenze. «Condannando l'opinione secondo la quale Dio non potrebbe creare altri mondi, l'art. 34 imponeva di ammettere che Egli può crearne quanti ne vuole. Benché a nessuno venisse chiesto di credere che Dio aveva effettivamente creato altri mondi (e nessuno, a quanto si sa, lo credeva), l'art. 34 incoraggiò i filosofi naturali ad immaginare quali circostanze si sarebbero prodotte se Dio avesse realmente creato altri mondi. L'art. 49 negava a Dio la capacità di far muovere il cielo esterno e - di conseguenza - anche il mondo, con moto rettilineo, perché tale moto avrebbr lasciato dietro di sé un vuoto dopo l'allontanamento del mondo dalla sua attuale posizione. Dopo la condanna dell'art. 49 nel 1277, i filosofi naturali della scolastica ammisero abitualmente che Dio, se gli fosse piaciuto, avrebbe potuto far muovere il mondo di moto rettilineo.» (12) Negli articoli 139, 140 e 141 si colpiva il principio aristotelico secondo cui non può verificarsi un accidente senza una sostanza a cui inerisca. E qui siamo al "sorriso senza il gatto" di Alice nel paese delle meraviglie. Ossia a Platone, che pensò che il "sorriso" come idea esistesse prima che il Demiurgo creasse il mondo.
L'art. 204 condanna un aut aut di Averroè, secondo il quale o si ammette che il mondo è eterno, o si è costretti a riconoscere l'esistenza di uno spazio vuoto eterno antecedente alla creazione.

Non è il caso in questa sede di approfondire gli effetti provocati dalla condanna di Tempier secondo schemi storicistici. In tali prospettive avremmmo che i teologi, i filosofi e i maestri della arti furono costretti dal divieto a pensare diversamente, imboccando nuove vie feconde per lo studio della natura, ovvero che la restrizione sarebbe diventata una liberazione dalla dittatura dell'ipse dixit. L'esempio di Sigieri di Brabante, inizialmente seguace della dottrina della "doppia verità", è più consono ad una visione ribassista e meno retorica di eventi storici così opinabili. Messo alle strette dal pressing degli antiaverroisti dichiarati, tra cui lo stesso Tommaso d'Aquino, egli giunse a riconoscere che la ricerca della verità non è il compito della filosofia. Filosofare «è semplicemente cercare ciò che hanno pensato i filosofi e soprattutto Aristotele, anche se il pensiero del filosofo non fosse conforme alla verità e se la rivelazione ci avesse trasmesso delle conclusioni sull'anima che la ragione naturale non può dimostrare.» (13) Mai, sottolineò Gilson, Sigieri usò la parola "verità" per significare la conclusione di una ricerca filosofica.


Note
1) Edward Grant - Le origini medioevali della scienza moderna - Einaudi 2001
2) Franco Cambi - Storia della pedagogia - Laterza 1995
3) Etienne Gilson - La filosofia nel Medioevo - La Nuova Italia - terza ristampa 1990
4) Michela Pereira (a cura di) - Alchimia - Meridiani Mondadori - I edizione 2006

5) Fumagalli Beonio Brocchieri e Parodi - Storia della filosofia medioevale - Laterza 2002
6) Fumagalli Beonio Brocchieri e Parodi, cit.
7) Gilson, cit
8) Anthony Kenny - Nuova storia del pensiero filosofico / Medioevo - Einaudi 2012
9) Kenny, cit.
10) Grant,cit.
11) Gilson, cit.
12) Grant, cit.
13) Gilson, cit.


moses - settembre 2013

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