Accademia dei Lincei riminesi

L'anello di Galileo
Iano Planco pubblica la prima storia
dei Lincei romani

Nel 2003 saranno quattro secoli dalla fondazione dell'Accademia dei Lincei. La ricorrenza riguarda anche la nostra città perché nel 1745 il medico e scienziato riminese Giovanni Bianchi (Iano Planco, 1693-1775) vi rifondò la celebre istituzione romana, di cui aveva scritto in precedenza una breve storia, intitolata «Lynceorum Notitia», che è la prima apparsa a stampa.

Questa storia esce nel 1744 come premessa al «Fitobasano» di Fabio Colonna, pubblicato a cura dello stesso Bianchi a Firenze: l'opera studia le piante più rare note agli antichi, cercandone il corrispondente nome moderno. Colonna aveva 24 anni quando, a sue spese, la licenziò nel 1594 a Napoli, dove era nato (e morì nel 1640). Osserva la storica e bibliotecaria Paola Delbianco che «la pubblicazione dell'opera lo portò al dissesto finanziario, anche perché, per la prima volta in un'opera di botanica, volle sostituire le comuni immagini silografiche con incisioni in rame da lui stesso preparate con grande maestria» (cfr. «Le belle forme della Natura», pp. 146-147).

Anche Bianchi paga di tasca propria la ristampa fiorentina del 1744: le spese assommarono a «cinquecento e più ducati», come leggiamo in una sua lettera. Planco non riuscì a recuperare nulla di questa cifra, stando a quanto gli scrive proprio da Firenze Giovanni Lami, direttore delle «Novelle Letterarie», il 26 dicembre 1744: «neppure uno è venuto a ricercare il suo Fitobasano, che è un'opera degnissima, e di più da Lei illustrata, e adorna a meraviglia». Era stato lo stesso Lami ad anticipare nel suo periodico il 4 ottobre 1743 che Bianchi stava allora lavorando in Firenze alla ristampa del libro di Colonna, «in tempo di vacanze» dell'Università: in quel periodo Planco insegnava a Siena Anatomia umana.

Sulle «Novelle» si presenta la fatica di Bianchi il 14 agosto 1744, scrivendo: «Il celebre Sig. Giovanni Bianchi Ariminese, il quale tre anni sono fu chiamato dalla Munificenza dell'Altezza Reale del presente Gran Duca nostro Gloriosissimo Sovrano a professare l'Anatomia nella illustre Università di Siena, dà frequente occasione co' suoi dotti scritti d'adornare queste Novelle, facendo egli onore a se stesso, e all'Italia nostra insieme».

Nella seconda parte dell'articolo (21 agosto 1744), in riferimento ai Lincei, leggiamo che «dopo la morte del Cesio [1630], e dopo l'accidente occorso l'anno dopo in Roma al Galileo, [...] cominciò l'Accademia a mancare». Bianchi vuole però dimostrare, come vedremo, che anche successivamente al 1630 i Lincei continuano a svolgere la loro attività scientifica.

Nel cap. XX della «Lynceorum Notitia», premessa al «Fitobasano», Bianchi, in base a «carte fogheliane» (opera cioè di Martino Fogel di Hannover), elenca tre lincei riminesi del XVII sec., Francesco Gualdi, Francesco Diotallevi, Francesco Battaglini. Carlo Tonini, nella sua «Coltura» (pp. 87 88, 133, 192), riporta la smentita di monsignor Gaetano Marini a tali tre nomine lincee.

Bianchi si era procurato la copia delle 162 «carte fogheliane» tramite il nobile di Livonia Diedrick Zimmermann, con cui fu in corrispondenza. Un altro testo di cui Planco si servì, è il manoscritto intitolato «Brevis historia Academiae Lynceorum» (1740) di Giovanni Targioni Tozzetti (cfr. G. Gabrieli, «Contributi alla storia dell'Accademia dei Lincei», pp. 247-248). Targioni fu direttore dell'Orto Botanico e prefetto della Biblioteca Magliabecchiana di Firenze.

Bianchi usa questo testo senza però citarlo. Molti anni dopo, nel 1752, Targioni invia una garbata protesta a Planco, ipotizzando che il suo manoscritto fosse stato inviato a Bianchi «verisimilmente senza il mio nome» da un antico maestro riminese di Planco, monsignor Antonio Leprotti, a cui egli l'aveva in precedenza inoltrato. Invece Leprotti il 18 novembre 1739 aveva espressamente dichiarato a Bianchi che l'«Istoria dell'Accademia dei Lincei» trasmessagli era «del Sig. Targioni di Firenze».

Targioni osserva: «Mi trovo spesso a vedere alcuni far uso di mie fatiche e scoperte, senza che io glie le abbia gentilmente comunicate, e neppure si degnano nominarmi: io non me ne offendo punto, anzi, confesso il mio peccato, internamente mi sento qualche accesso di superbia».

Planco aveva iniziato a preparare la ristampa del «Fitobasano» nel 1739, cioè due anni prima di andare ad insegnare a Siena, dove rimane fino al novembre 1744. Bianchi il 21 ottobre 1739 inoltra a Roma la richiesta «per avere e ritenere per sei mesi le Opere di Fabio Colonna che sono in Biblioteca Gambalunga, per farle ristampare»: ne parlano le lettere scambiate con Leprotti il quale gli ottiene il permesso. Il 26 novembre 1739 Bianchi chiede a Leprotti di procurargli un'autorizzazione più generale per potersi «servire in casa de' Libri della Biblioteca Gambalunga»: «sarà una cosa molto comoda a miei studi perciocché nell'ora che si tien aperta quella Libreria io il più non ci posso andare». Il 10 dicembre lo sollecita per un permesso «che non sia ristretto ad alcun libro particolare, e che si distenda per ogni tempo, ristringendosi solo che io debba lasciar la ricevuta di ciascun libro che prenderò in mano».

La lettera del 26 novembre a Leprotti, dove Bianchi riferisce della difficoltà di trovare notizie sui Lincei e su Federico Cesi, merita di essere citata ulteriormente. Intorno ai Lincei, per comporne la breve storia da premettere al «Fitobasano», scrive: «Credo che basterà quello che s'era trovato finora. Al più si potrebbe vedere se si potesse ritrovare uno di quegli Anelli col Lince che loro serviva di divisa, il quale si potrebbe far incidere». Bianchi suggerisce di svolgere la ricerca a Firenze, «appresso gli eredi del Galileo»: il quale, aggiunge, era «stato condannato in Roma» nel 1631, l'anno dopo la morte del «Principe Cesi autore dell'Accademia». In realtà la condanna di Galileo è del 1633, per il «Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo» uscito nel febbraio '32.

Dopo i due eventi «questa Accademia patisce una grande eclisse, contuttocciò» il suo nome si andava mantenendo, poiché «verso l'anno 1650» apparve un testo con scritti di alcuni accademici lincei (apertamente dichiarati come tali) e dello stesso Colonna: si tratta di un trattato su piante, animali e minerali messicani di Francisco Hernandez (1517-1587), curato dal medico napoletano Marco Antonio Recchi (XVI sec.), e pubblicato a Roma nel 1651, in cui appare pure un elogio di Galileo (datato 1625). Questo volume, ideato da Federico Cesi, uscì postumo a causa di «intoppi, contrarietà e lentezze» che s'aggiungono alla sua scomparsa, per opera di Francesco Stelluti «l'unico superstite dell'avventura del 1603» (cfr. E. Raimondi, «Scienziati e viaggiatori», Storia Lett. Ital. Garzanti, V, p. 238).

La lettera di Bianchi prosegue: «Bisognerebbe trovare qualche cosa di più intorno di Fabio [Colonna] che è la cosa principale che si cerca, cioè quanto vivesse, dove sia morto, e sepolto. Scrittor alcuno non ne parla, almeno costì in Roma, o in Napoli si dovrebbe ritrovar persona che per indizio de' loro maggiori n'avessero udito a parlare. Io mi ricordo che una mia Avola paterna che morì 30 anni sono d'ottantacinque mi raccontava di monsignor Angiolo Cesi nostro Vescovo il quale doveva esser Fratello dell'Autore dell'Accademia de' Lincei, che era uomo di santa vita, come egli di sé predicava, e altre cose». Angelo Cesi è realmente fratello di Federico, e fu vescovo della nostra città dal 1627 al 1646.

Circa la «Lynceorum Notitia», in lettera senza né data né destinatario, Bianchi osserva come essa esamini «le principali gesta di que' valorosi uomini, e il principio, e il progresso della Filosofia moderna che i Lincei suscitarono sulla scorta del Galileo, del Cesio, del Colonna, e di tant'altri valorosi uomini di quel consesso».

Nel «Lynceorum Catalogus», a p. XXVII della premessa al «Fitobasano», Bianchi scrive su Federico Cesi: «Telescopium, Microscopiumque vel invenit, vel inter primos eorum usum propagavit, eaque his nominibus donavit». Di qui l'accusa a Planco (da parte di D. Vandelli) di aver errato, sottraendo a Galileo il merito dell'invenzione del cannocchiale. Vandelli, docente «delle Matematiche» nell'Università di Modena, inoltre incolpa Bianchi di aver omesso il nome di Alessandro Tassoni nel «Lynceorum Catalogus». Vandelli porta come fonte autorevole L. A. Muratori, anche se riconosce che quel nome manca nell'elenco ufficiale del 1625.

L'edizione fiorentina del «Fitobasano», secondo quanto scoperto da Paola Delbianco (op. cit.), è accompagnata da un'altra uguale (esistente in Gambalunghiana), che reca il nome dello stesso tipografo, Pietro Gaetano Viviani, però sotto la "falsa data" di Milano.

Per altre notizie: http://digilander.libero.it/ianoplanco.

Antonio Montanari

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