Riministoria© Antonio Montanari

Il Rimino© n.14

Su Giovanni Bianchi (Iano Planco), un nuovo libro.

Anno II, n. 14, Rimini 10.03.2000

Periodico telematico a cura di Antonio Montanari

 

Il medico dei ricchi

Iano Planco visto da Turchini e De Carolis

 

Tra i lodatori del tempo passato, ci sono soprattutto quelli che, con supremo sprezzo del ridicolo, rimpiangono (lo abbiamo appurato anche di recente) i tempi settecenteschi detti dell’antico regime. Non per convincerli del contrario, e di come andassero effettivamente allora le cose, ma semplicemente per chi ha voglia di ragionare basandosi su fatti reali e non su invenzioni fantastiche, suggerisco la lettura di questo libro, appena edito, dedicato a "Giovanni Bianchi. Medico Primario di Rimini ed archiatra pontificio". Si tratta del famoso Iano Planco, conosciuto in città soltanto perché a lui è intitolata una strada trafficatissima.

Il volume è stato scritto da uno storico, Angelo Turchini, e da un medico, Stefano De Carolis che gentilmente me ne ha dato in omaggio una copia.

Turchini e De Carolis si sono divisi i compiti. Al primo è toccato descrivere il quadro storico-culturale della Rimini del Settecento; al secondo, di analizzare alcuni aspetti del Bianchi studioso di Anatomia (materia che insegnò all’Università di Siena) e di medico della città.

Turchini ha già scritto molte, apprezzate opere sul Settecento riminese che qui riprende per offrirci notizie che erano sparse e che il lettore troverà comodamente riunite in un unico saggio. Turchini, non tratta soltanto di Planco, ma di tutto l’ambiente cittadino che presenta altre personalità di rilievo.

Bianchi è passato alla storia per tre motivi: il carattere, la sua scuola privata frequentata da allievi poi divenuti personaggi celebri, e la rifondazione dell’Accademia dei Lincei.

Circa il carattere, credo che possano portarsi a sua difesa due attenuanti: un’infanzia ed una giovinezza tormentate, per cui certe spigolosità possono avere un’origine nella sua esperienza umana. Certo è che Planco ed i suoi allievi godevano di cattiva reputazione dato che venivano accusati di intingere le loro penne in un "velenoso inchiostro".

Ma non bisogna dimenticare, ed eccoci al secondo motivo, che questa pessima fama derivava, immeritatamente, pure da polemiche suscitate da altri nei confronti di Bianchi, fatto segno di accuse e critiche spesso inconsistenti e ridicole alle quali lui rispondeva per le rime, non risparmiandosi di ricambiare cattiverie e punzecchiature.

Si potrebbe aggiungere una terza scusante: che tutto il Settecento è pieno di quegli scontri tra intellettuali, simili a quelli che oggi avvengono fra i politici, non più sui ‘giornali letterari’ ma in tivù.

Il cosiddetto "spirito del tempo" può aiutarci a comprendere un testo dello stesso Planco, l’autobiografia scritta per una rivista fiorentina, nella quale opera egli riprende certi motivi classici di questo genere di letteratura, al quale si adegua dimostrando di avere un’ottima padronanza delle lettere e della cultura classica, apprese in parte in quelle scuole giovanili che lui odiava perché ritenute inutili; ed in parte con la sua istruzione da autodidatta di cui si vantava e che riteneva fondamentale perché gli aveva permesso di arrivare a conoscere i problemi principali della filosofia e della scienza.

Con De Carolis si entra in un campo specialistico, affrontato però con una chiarezza di linguaggio che permette al lettore anche inesperto di capire quello che l’autore scrive.

Aldilà di questi aspetti tecnici, mi soffermo su pochi altri temi, per motivi di spazio. Il primo riguarda l’esercizio della professione medica nelle sue implicazioni sociali, se così si può dire: e qui arriviamo direttamente a quel quadro dell’antico regime di cui ho parlato all’inizio. Planco era medico primario di Rimini, cioè pubblico: in quanto tale, avrebbe dovuto curare qualsiasi malato. Ma sentite un po’ che cosa scrive De Carolis: Bianchi "dedicava la propria professione quasi esclusivamente alle classi sociali più elevate, evitando accuratamente d’occuparsi delle persone più indigenti".

Questa visione ‘politica’ di Planco è confermata da un documento che De Carolis riporta qualche riga dopo: a proposito della lotta al vaiolo e della sua inoculazione terapeutica in strutture idonee, Bianchi si dimostra contrario giustificandosi con il fatto che in giro c’era "troppa gente minuta scioperata", cioè povera e vagabonda (o disoccupata?), gente che costituiva un aggravio per lo Stato, "onde credo si possa chiamar provvidenza che ne perisca molta dal vajuolo, e che sarebbe dannoso il proccurare di conservarla dalla morte in uno spedale".

Il secondo aspetto riguarda proprio il problema dell'innesto dai vaiolo, a cui Bianchi, come tanti altri studiosi del suo tempo, era contrario. Mi permetto d'aggiungere una notizia da me pubblicata nell'ultima nota (p. 75) del recente libro dedicato alle "Notti" composte dal poeta concittadino Aurelio Bertòla in morte di papa Ganganelli (di cui Planco era stato archiatra onorario: cioè, detto in parole povere, senza far nulla in concreto per salvarlo).
Nella lettera di Amaduzzi a Bertòla del 24 gennaio 1776 leggiamo su Bianchi: «io avea sentito a Roma nell’anno 1766 Planco medesimo ritrattare la sua contrarietà all’innesto [del vaiolo], ed io ho sue lettere nelle quali mi confessa d’aver mutato parere in vista del buon esito, che i Medici ne attestavano». Amaduzzi rimanda alla biografia scritta per Bianchi nell’Antologia Romana (1776, pp. 227-229 e 235-239), ove si trova che Bianchi «s’oppose da prima all’innesto del vajuolo, cedendo in appresso all’evidenza del buon’esito con quel candore, e coraggio, che suole ispirare l’amore della verità nei cuori degli uomini grandi» (p. 229). Bertòla, invece, nel necrologio pubblicato sulla Gazzetta Universale di Firenze, non sapeva di tale conversione, e citava l’opposizione all’inoculazione del vaiolo come «un pregiudizio così contumace» [cfr. A. Fabi, Aurelio Bertòla e le polemiche su Giovanni Bianchi, p. 11].
Mi scuso di questa autocitazione, ma credo che, sotto l'aspetto medico-scientifico, oltreché storico, la lettera di Amaduzzi sia di non poca importanza. E che permetta di guardare a Planco con meno severità di quella usata da tutti i numerosi avversari suoi contemporanei.
Se dovessimo in due parole soltanto dire quali meriti abbia conquistato il nostro dottor Bianchi in una lunga tormentata vita (1693-1775) e carriera, potremmo riprendere da De Carolis la scoperta delle diverse conseguenze delle paralisi del cerebello (cervelletto) rispetto a quelle del cervello: mentre il cervello danneggia la parte opposta del corpo, il cervelletto agisce sulla stessa parte rispetto a cui si trova.
Infine, c'è l'uso della "chinachina", la corteccia dell'albero della china, un antenato del chinino.
Quanto poi alle altre terapie comuni a Bianchi ed ai colleghi del suo tempo (salassi, clisteri, brodini), c'è solo da osservare che la natura delle genti è spesso stata più forte delle violenze della Natura (epidemie, ecc.) idealizzata oggi dal buon Piero Angela, e di quelle della stessa cosiddetta Scienza medica.
[Notizie su Planco ed alcuni studi specifici si possono leggere nel sito Riministoria su Internet, partendo dal sito a lui dedicato.]

Antonio Montanari

 

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