RIMINISTORIA Antonio Montanari

LA BIBLIOTECA GAMBALUNGHIANA DI RIMINI

NOTIZIE STORICHE (dal Sito ufficiale del Comune di Rimini, con un'aggiunta bibliografica personale)

Alessandro Gambalunga

Nipote di un maestro muratore lombardo poi approdato alla mercatura e figlio di un commerciante "da ferro" che s'era arricchito, oltre che coi traffici, con le cospicue doti portategli dalle sue quattro mogli, Alessandro Gambalunga nacque a Rimini posteriormente al 1554. Le modeste origini della sua famiglia gli impedirono di integrarsi col tronfio quanto spiantato ceto patrizio locale, di cui il bolognese Angelo Ranuzzi - referendario apostolico e governatore di Rimini - schizzerà nel 1660 questo eloquente e malizioso ritratto: "Vi sono molte famiglie antiche e nobili che fanno risplendere la Città, trattandosi i Gentiluomini con decoro et honorevolezza, con vestire lindamente, far vistose livree et usar nobili carrozze: nel che tale è la premura et il concetto fra di loro, che si privano talvolta de' propri stabili, né si dolgono di avere le borse essauste di denari per soddisfare a così fatte apparenze".

l solidissimo patrimonio, l'acquisizione di un dubbio titolo nobiliare e il matrimonio, nel 1592, con Raffaella Diotallevi, d'uno dei più antichi e illustri casati riminesi, non valsero a fruttare al Gambalunga l'aggregazione al Consiglio cittadino. Per altro gli vennero ripetutamente offerti incarichi pubblici più o meno prestigiosi (tra cui, nel 1595, quello di podestà), che egli, orgogliosamente, declinò: "non volle servire" recitano gli atti consiliari.

In questa condizione di isolamento, per metà imposto e per metà volontario, maturarono scelte originali e - in rapporto ai tempi e all'ambiente - quasi eccentriche. Nel 1583, a Bologna, Alessandro Gambalunga si laureò in diritto civile e canonico; non per esercitare la professione, ma per fregiarsi di un regolare cursus studiorum: preoccupazione non meno estranea all'ambiente aristocratico che l'esercizio delle arti "meccaniche".

Nel 1610 pose la prima pietra del palazzo di famiglia, che sarà terminato nel 1614 e che gli costerà settantamila scudi. Situato nella centrale via del Rigagnolo della fontana, dove già si addensavano le case di varie famiglie di antica nobiltà, e costruito in forme che coniugano la tradizione urbinate coi modelli classicistici del Serlio e del Vignola, il palazzo del Gambalunga si elevava sui palazzi rivali, pur scansando programmaticamente l'ostentazione e lo sfarzo. Nel suo palazzo - come s'indovina dalle dediche di alcune opere, a cominciare dal Parnassus ad Alexandrum Gambalongam di Marco Santini (1619) - il Gambalunga tenne "accademia" e si circondò di letterati ed eruditi che protesse da "vero padrone et [...] mecenate".

La stessa costituzione della biblioteca, che per consistenza e pregio non ha precedenti locali comparabili, sembra obbedire a propositi di autoaffermazione che contrappongono al sangue, saldandoli, il censo e le litterae. Acquistati perlopiù sulla ben fornita piazza di Venezia, trasportati a Rimini via mare e rilegati parte a Venezia e parte nel palazzo del Gambalunga, nell'attrezzato laboratorio di "messer Matteo libraro" (che Paola Delbianco ha identificato col libraio Matteo Severini), i libri erano infine collocati "nella stanza da basso della [...] casa", dove ne era liberalmente consentita la consultazione.

Nel 1617, nel testamento rogato a Pesaro dal notaio Simone Rossi, Alessandro Gambalunga stabilirà per il futuro e disciplinerà puntigliosamente l'uso pubblico della sua biblioteca. Dopo aver premesso che non sarebbe stata, questa, proprietà riservata dell'auspicato (e mancato) "herede", ma aperta, per l'appunto, "a tutti li altri della città che volessero per tempo nelle [...] stanze di detta mia casa andarsene a servire", il Gambalunga la dotava di 300 scudi annui per l'incremento, la legatura e il restauro dei libri e di 50 scudi per lo stipendio del bibliotecario, "persona di lettere idonea et atta", la cui nomina era affidata all'"Illustrissimo Magistrato di Rimino", ossia ai consoli.

Al bibliotecario era fatto obbligo di assicurare l'apertura quotidiana della libreria, "in un'hora a lui et alli altri commoda", e di fornire assistenza e ogni "commodità" a quanti desiderassero "venire [a] vedere qualche cosa". Allo stesso era delegata la responsabilità di decidere quali libri acquistare e come organizzarne la consultazione. A nessuno, neppure all'erede, era permesso di distogliere il bibliotecario, "sotto qualsivoglia pretesto", dai suoi doveri, o di limitarne i compiti.

La ferrea e minuziosa regolamentazione della gestione della biblioteca non riflette solo la comprensibile preoccupazione del Gambalunga di conservare integra l'amata raccolta, ma innanzi tutto vuol garantire la continuità dell'uso pubblico, sottraendola all'ingerenza di eredi disamorati e all'incuria di magistrati distratti, e facendo del bibliotecario il custode e il garante del "publico comodo, utile et honore".

Anche la scelta dei libri sembra finalizzata, oltre che a soddisfare gli interessi di un uomo colto e intellettualmente curioso, ad un uso collettivo della biblioteca: ai testi di diritto - specializzazione disciplinare, se non professionale, del Gambalunga - si affiancano infatti i classici greci e latini (con una particolare predilezione per Cicerone), i buoni autori italiani da Dante al Tasso, gli storici antichi e moderni, le relazioni dei viaggiatori, i trattati di grammatica, poetica e retorica, i manuali di teologia e devozione, gli scritti scientifici, soprattutto di medicina e astronomia.

Alessandro Gambalunga morirà il 12 agosto del 1619 e sarà sepolto nella cappella di famiglia della chiesa del Paradiso (polverizzata dai bombardamenti del 1944: e l'austero monumento funebre con essa). Il 9 agosto, in un intervallo di lucidità, aveva voluto dettare un codicillo al testamento con cui nominava il dottore in legge Michele Moretti, suo amico e protetto, "administratore de' suoi beni, et bibliotecario". L'ultimo pensiero, l'estrema apprensione di Alessandro Gambalunga era stata per la biblioteca, alla cui sorte legava verosimilmente la perpetuazione di un "cognome, o casata" che, ascesa verticalmente nel giro di un paio di generazioni, rischiava, per mancanza di eredi diretti, di estinguersi altrettanto in fretta. Ciò che di fatto accadrà, nonostante l'istituzione di una secondogenitura nei discendenti maschi di Armellina, unica nipote di Alessandro Gambalunga, maritata al bolognese Cesare Bianchetti: in forza del testamento, il Comune di Rimini erediterà - oltre alla biblioteca e al lascito - anche il superbo palazzo del Gambalunga.

Iniziato il 3 settembre e completato il 17 novembre 1620, l'inventario della biblioteca "bone memorie illustris et excellentissimi Domini Alexandri Gambalonghe" - redatto dal notaio Mario Bentivegni - registra 1438 volumi e poco meno di 2000 opere. Assisteva all'inventariazione Michele Moretti, che reggerà la biblioteca per trent'anni, dal 1619 al 1649.

La Gambalunghiana nel Seicento

Il Moretti, per quel poco che se ne sa, ebbe il merito di far rispettare le volontà di Alessandro Gambalunga, convincendo il Comune ad impegnarsi in un'interminabile controversia con la famiglia Bianchetti e i successivi eredi, e di proseguire fedelmente l'opera del fondatore, incrementando il patrimonio librario fino a raddoppiarlo e rilegandolo - come già il Gambalunga - in pelle rosso mattone, pergamena naturale e pergamena tinta in verde, con impressioni in oro alle armi. Come ha osservato Augusto Campana, "per la loro abbondanza e bellezza" tali legature "costituiscono forse la maggiore attrattiva della Gambalunghiana in quanto organismo bibliografico". Al Moretti si deve anche l'allestimento delle severe "scansie di noce" delle sale seicentesche e l'acquisto dei due splendidi mappamondi - il terraqueo e il celeste - del Blaeu, datati Amsterdam 1622 e 1640.

Fu chiamato a succedergli il sacerdote Girolamo Avanzolini, cappellano di San Silvestro, mansionario della cattedrale e maestro di cappella, che sarà bibliotecario dal 1649 al 1678. Se tutto quel che resta della sua attività letteraria è un paio di brevi prefazioni, il pubblico tributo di stima del dottissimo Giacomo Villani, che lo giudicò "industria, experientia, elegantia, bonarum artium virtutibus laudabilem, ac praecipue ad hoc opus aptissimum", ne perpetua le molteplici benemerenze di bibliotecario, e innanzi tutto quella di aver ricercato dovunque e salvato dalla distruzione "ex omni genere praeclaros codices".

L'Avanzolini, in effetti, fu un tenace e fortunato "cacciatore" di venerandi manoscritti, in anni in cui la più importante biblioteca monastica di Rimini - quella di San Francesco - veniva declassata a granaio e disperdeva i suoi preziosi codici (sospirava il Villani) per cavarne carta da salumai. Da questa l'Avanzolini recupererà l'autografo dei poemi Hesperis e Argonauticon dell'umanista Basinio di Parma, dono dell'autore a Roberto Valturio, e una copia membranacea della seconda metà del Duecento dell'Anticlaudianus di Alano di Lilla, anch'essa appartenuta al Valturio. Sette codici gli saranno donati dallo stesso Villani. Frutto di vantaggiosi doni e scambi saranno, tra gli altri manoscritti, un volgarizzamento dei Commentari della prima guerra punica di Leonardo Bruni, della seconda metà del XV secolo, e il nitido codicetto romano dei Carmina del riminese Matteo Bruni. Acquisizione prestigiosa sarà, infine, il Comentario de' gesti e fatti e detti dello invictissimo Signore Federigo Duca d'Urbino di Vespasiano da Bisticci, probabile esemplare di dedica a Guidobaldo, ornato da finissime miniature attribuite a Francesco d'Antonio del Chierico.

Bibliotecario dal 1678 al 1694 fu il sacerdote Giuseppe Malatesta Garuffi, membro di varie accademie e poligrafo infaticabile. Tra le innumerevoli opere edite e inedite (il cui catalogo - ebbe a osservare Carlo Tonini - "forma per se stesso una biblioteca"), andranno segnalate, da un lato, L'Italia accademica (1688), censimento storico delle accademie italiane e la Lucerna lapidaria (1691), raccolta delle iscrizioni della via Flaminia, e, dall'altro, L'antidoto de' malinconici (1687), surreale antologia di poesie morali, allegorie, proverbi, facezie, indovinelli suoi e altrui e La rettorica sui fiori (1704), manuale di erudizione spicciola servita in forma suadente e spesso bizzarra. Come bibliotecario, il Garuffi lasciò tenui tracce; come letterato ed erudito, camminò sul filo del rasoio tra genialità e stravaganza.

La Gambalunghiana nel Settecento: il ruolo del Cardinale Garampi

Dei bibliotecari a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo - Giuseppe Simbeni (dal 1694 al 1696), Girolamo Soleri (dal 1696 al 1711) e Ignazio Vanzi (dal 1711 al 1715) - ci rimangono appena il nome e qualche sbiadita traccia di un'operosità grigia e provinciale. L'incremento dei libri è modesto: il catalogo topografico compilato dal Soleri registra 5877 libri; quello del Vanzi ne elenca 7487, collocati in tre sale. I manoscritti costituiscono un piccolo ma significativo corpus: sono un'ottantina, tra i quali spiccano il fulgido Ovidio con l'arme dei Badoer, elegantemente decorato da un miniatore veneziano dell'ultimo quarto del XV secolo, e un cospicuo gruppo di codici umanistici.

Ancor meno memorabile fu la quasi trentennale reggenza di Antonio Brancaleone Brancaleoni (bibliotecario dal 1715 al 1741). Il solo ricordo che ne resta è legato a un sedicenne dai precoci interessi bibliografici, codicologici, archivistici e antiquari, che nel 1741, ultimo anno di direzione dell'anziano Brancaleoni, era assiduo della Gambalunghiana: al punto da esserne nominato vicecustode "sul campo". Il ragazzo - che era il futuro arcivescovo, cardinale, nunzio apostolico e prefetto degli Archivi vaticani Giuseppe Garampi (1725-1792) - era già in contatto col Muratori e in una lettera gli segnalava alcuni codici e gli chiedeva una lista di opere da acquistare.

Alla biblioteca in cui aveva mosso i suoi primi passi il Garampi rimarrà sempre legato e ne favorirà in ogni modo l'accrescimento e la qualificazione: sia procurando "i libri migliori moderni [...] legati e dorati", sia incoraggiando il deposito di fondi manoscritti. Se il rispettoso suggerimento al suo maestro Giovanni Bianchi (in arte Jano Planco) di donare le sue carte alla Gambalunghiana troverà orecchie distratte, avranno invece successo le sue pressioni sulla Curia romana per il ricovero nella biblioteca pubblica delle pergamene dell'abbazia di San Giuliano e quelle sui confratelli della Compagnia di San Girolamo, che il 15 agosto 1755 delibereranno il deposito di tre importanti incunaboli e di cinque codici preziosissimi: il Passionario riminese del XII secolo, il De civitate Dei scritto per Pandolfo Malatesta dall'amanuense Donnino di Borgo San Donnino e superbamente miniato da un artista emiliano (che Simonetta Nicolini ha identificato col cosiddetto Maestro della Sagra di Carpi), la raccolta dei libelli antigiudaici di Nicola di Lira e Girolamo Ispano, già appartenuta ai Gonzaga, le epistole di San Girolamo e la versione francescana del Messale Romano in lingua e scrittura armene.

Il Garampi, che già in vita aveva donato alla biblioteca alcuni rari cimeli - fra questi la Regalis historia, scritta da un frate Leonardo per Carlo Malatesta e decorata da un miniatore bolognese - alla sua morte, nel 1792, la arricchirà con un lascito generosissimo che comprende, oltre agli apografi e alle schede (materiali, entrambi, di capitale importanza per la storiografia riminese), 27 incunaboli e il nucleo più significativo della sua collezione di manoscritti, forte di 86 unità, riunita in oltre trent'anni di viaggi, ricerche, contatti e scambi. Ricorderemo appena una miscellanea in beneventana scritta e ornata a Telese fra il 1144 e il 1154, un Breviario fiorentino del XV secolo squisitamente miniato e, innanzi tutto, lo splendido codice membranaceo della Divina Commedia, trascritto tra il 1392 e il 1394 dal gentiluomo veneziano Giacomo Gradenigo, corredato da un commento che è una redazione accresciuta di quello di Jacopo della Lana e decorato da 24 eleganti e argute miniature di mano dello stesso Gradenigo e da fregi e iniziali di un secondo artista padovano.

E' grazie al Garampi che la Gambalunghiana compirà quella che Angelo Turchini ha chiamato "la svolta del Settecento", cioè la partecipazione della biblioteca alla ventata di rinnovamento che - per precipuo merito del Planco e della sua scuola - aveva spezzato il lungo e soffocante isolamento provinciale di Rimini. Testimonia dello svecchiamento, oltre alla sostanziosa crescita quantitativa e qualitativa dei fondi bibliografici e alla loro riorganizzazione, la statura scientifica e culturale dei bibliotecari, relativamente più alta. Alla breve reggenza (dal 1742 al 1748) di Lodovico Bianchelli, rimosso dal suo ufficio ed esiliato a Senigallia per aver contrastato vigorosamente, nel Consiglio cittadino, l'aggregazione allo stesso di un ricchissimo mercante raccomandato da Benedetto XIV, succedette quella di Bernardino Brunelli (dal 1748 al 1767), che il cardinale Oddi sostenne, giudicandolo "soggetto di una piena onoratezza e capacità" e che alla sua morte, in effetti, fu ufficialmente proclamato "bibliotecario benemerito". Al Brunelli si deve, oltre all'accurata compilazione di due ponderosi cataloghi, l'allestimento - nel 1756 - della quarta sala, arredata con "scansie di abete dipinte a oglio con gentili colori": un piccolo capolavoro del rococò riminese, altrettanto funzionale che aggraziato, realizzato su disegno del pittore Giovan Battista Costa. La sala accolse degnamente quei "libri [...] moderni" che, da Roma, Giuseppe Garampi continuava instancabilmente a fornire. A Bernardino Brunelli subentrò il figlio Epifanio (bibliotecario dal 1767 al 1796), un protetto del Garampi la cui gestione tecnicamente competente ma alquanto indolente e trascurata fu irriconoscente verso il benefattore e costrinse le autorità a ripetuti provvedimenti.

La Gambalunghiana nell'Ottocento: la nuova figura del bibliotecario erudito

Nel 1796-1797 approdarono in Gambalunghiana i ricchi fondi librari e documentari degli ordini religiosi soppressi. Il massiccio incremento segnalò l'urgenza di provvedere, da un lato, alla riorganizzazione della biblioteca e, dall'altro, al censimento, catalogazione e studio delle vecchie e nuove acquisizioni. Ad attendere ad entrambi i compiti fu chiamato un altro scolaro del Planco, il medico Lorenzo Antonio Drudi (bibliotecario dal 1797 al 1818), studioso apprezzato, "valentissimo in filologia e bibliografia", come riconobbe Carlo Tonini. Per accogliere gli oltre cinquemila volumi delle soppressioni napoleoniche, il Drudi allestì una quarta sala; arredò inoltre la biblioteca con nuove "banche" e "banchette", ne prolungò l'orario d'apertura, compilò un inventario topografico e un indice alfabetico delle opere a stampa e, soprattutto, si impegnò nella descrizione integrale e analitica del fondo manoscritto: un lavoro pionieristico - e nondimeno del tutto maturo - che sarà proseguito e accresciuto dal suo coadiutore e successore, il sacerdote savignanese Luigi Nardi, bibliotecario dal 1818 al 1837, autore di un Indice ragionato delle cose più riservate della Biblioteca Gambalunga di Rimino (manoscritto terminato nel 1828), che è uno strumento di esemplare chiarezza e affidabilità, sostenuto da una robusta cultura enciclopedica: cultura che nutre anche le sue numerose pubblicazioni di antiquaria e di storia ecclesiastica.

Col Drudi e il Nardi la figura del bibliotecario muta a fondo. Come ha osservato Paola Delbianco, per tutto il corso XIX secolo i "bibliotecari, forti ormai - sulla scorta dell'insegnamento muratoriano - di un sicuro metodo storico, [...] si dedicano essi stessi allo studio della storia e della cultura cittadina, producendo opere anche notevoli e avviando un'intensa attività di valorizzazione e divulgazione di materiali bibliografici, documentari e archeologici d'interesse locale".

Dopo la breve ma operosa reggenza (dal 1837 al 1840) di Antonio Bianchi, valente quanto riservato studioso d'archeologia, epigrafia, numismatica, archivistica e storia riminese, assunse la direzione della Gambalunghiana Luigi Tonini, bibliotecario dal 1840 al 1874.

La Gambalunghiana nell'Ottocento: Luigi e Carlo Tonini 

Di Luigi Tonini, autore della monumentale e tuttora insostituibile Storia civile e sacra riminese e di decine di documentatissimi lavori di prima mano non è agevole compendiare in poche righe l'imponente attività. Tanto più che si attende ancora uno studio complessivo e circostanziato sulla sua figura. Formidabile setacciatore di documenti, esperto paleografo, appassionato bibliografo e bibliofilo, promotore di campagne di scavo e di censimento epigrafico, appassionato cultore di storia patria, il Tonini coniugò esemplarmente la figura di bibliotecario con quella di storico della città, che considerò sempre, non meno dell'altra, un'attività di pubblico interesse. Chi ha qualche dimestichezza con le sue carte, percepisce schiettamente la continua e fruttuosa osmosi tra ricerca e ordinamento delle fonti e métier d'historien.

Grazie al Tonini la Gambalunghiana si arricchì - oltre che dei cospicui fondi monastici delle soppressioni del 1868 - della raccolta di manoscritti, pergamene e reperti archeologici di Domenico Paulucci (1855), delle pergamene e delle carte di Michelangelo Zanotti (1861) e, soprattutto, della ricchissima collezione di pergamene, manoscritti e carte (tra cui l'imponente corrispondenza del Planco), nonché libri, opuscoli, avvisi a stampa, incisioni, disegni del sacerdote Zeffirino Gambetti (1871): nella biblioteca il Gambetti aveva trascorso gran parte della sua vita laboriosa, sia attendendo ai suoi studi, sia redigendo con un lavoro trentennale (dal 1828 al 1858) il catalogo, bibliograficamente ineccepibile, dei libri della Gambalunghiana, in cinque volumi in folio.

Successore e prosecutore devoto dell'opera paterna fu Carlo Tonini (bibliotecario dal 1874 al 1907), autore del VI volume della Storia civile e sacra riminese, di un faragginoso Compendio della stessa e di un compilatorio ma utilissimo profilo della Coltura letteraria e scientifica in Rimini.

La Gambalunghiana nel Novecento

Dal 1908 al 1928 diresse la Gambalunghiana Aldo Francesco Massera, filologo insigne e brillante storico della letteratura e della cultura, che tra il 1927 e il 1928 provvide a riformare la biblioteca, risollevandola dall'incuria e dal degrado in cui versava per la cronica disattenzione dei pubblici amministratori. Seguì la lunga e operosa direzione di Carlo Lucchesi (bibliotecario dal 1929 al 1952), che si applicò con pari dedizione all'organizzazione della biblioteca, alla produzione di moderni strumenti catalografici, alla "valorizzazione scientifica" dei materiali di maggior pregio e, durante il passaggio del fronte, all'avventuroso salvataggio del patrimonio bibliografico e artistico della città. Gli subentrò Mario Zuffa, apprezzato studioso di etruscologia e archeologia italica, bibliotecario dal 1954 al 1970. Dal 1972 la Gambalunghiana è diretta da Piero Meldini.

Negli ultimi vent'anni ha soffiato forte, sulle biblioteche, il vento delle trasformazioni sociali e culturali. La scolarizzazione di massa e la conseguente crescita continua e impetuosa dell'utenza, la diffusione, varietà e influenza dei mezzi d'informazione e comunicazione, l'evoluzione della scienza biblioteconomica e delle tecniche catalografiche, lo sviluppo accelerato dell'informatica e la possibilità di gestire in tempo reale illimitati archivi di dati (dal 1989 la Gambalunghiana, che ha aderito al Polo romagnolo di SBN [Servizio Bibliotecario Nazionale], è collegata in rete con le principali biblioteche italiane): tutto questo pone alle biblioteche pubbliche - strette tra le potenzialità crescenti e i mezzi decrescenti - problemi inediti e complessi. E ai loro bibliotecari la necessità di ridefinire un'identità sempre più precaria.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

 

* [BRUNELLI, BERNARDINO], Descrizione della Pubblica Libreria Gambalunga di Rimino,

* ms. del 1767 c.a, Rimini, Biblioteca Gambalunghiana, SC-MS. 484, cc. 156-161.

* CAMPANA, AUGUSTO, Le biblioteche della Provincia di Forlì, in Tesori delle biblioteche d'Italia, I, Emilia, a cura di D. FAVA, Milano, 1931, pp. 31-43.

* DELBIANCO, PAOLA, La biblioteca Gambalunghiana, in Storia illustrata di Rimini, IV, Milano, 1991, pp. 1121-1136.

* FRIOLI, DONATELLA, I codici del Cardinale Garampi nella biblioteca Gambalunghiana di Rimini, Rimini, 1986.

* LUCCHESI, CARLO, Cimelii gambalunghiani, "Ariminum", III (1930), 5, pp. 19-25.

* LUCCHESI, CARLO, La Gambalunghiana di Rimini e la sua vita attraverso i secoli, "L'Archiginnasio", XLVI-XLVII (1951-1952), pp. 169-188.

* LUCCHESI, CARLO, I due Tonini e Aldo Francesco Massera bibliotecari della Gambalunghiana di Rimini, "Atti e memorie della Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna", n.s., V (1953-1954), pp. 221-236.

* MELDINI, PIERO, La formazione del fondo manoscritto della Gambalunghiana, in G. MARIANI CANOVA, P. MELDINI, S. NICOLINI, I codici miniati della Gambalunghiana di Rimini, Milano, 1988, pp. 9-39.

* MASSERA, ALDO FRANCESCO, La biblioteca Gambalunghiana di Rimini, "Accademie e Biblioteche d'Italia", II (1928), 2, pp. 27-39.

* TAMBELLINI, ATTILIO, Rimini. Biblioteca comunale, in Inventari dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, a cura di G. MAZZATINTI, II, Forlì, 1892, pp. 132-165.

* TONINI, CARLO, La coltura letteraria e scientifica in Rimini dal secolo XIV ai primordi del XIX, Rimini, 1884 (2 voll.).

* TONINI, LUIGI, Del riminese Alessandro Gambalunga, della Gambalunghiana e dei suoi bibliotecari: brevi memorie, "Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna", VIII (1869), pp. 1-38.

* TURCHINI, ANGELO, Catalogo critico della mostra storica [della Biblioteca Gambalunghiana], 1617-1974, Rimini, 1974.

 

Nostra aggiunta:

* Vedere anche il saggio di Antonio Montanari, Il contino Garampi ed il chierico Galli alla "Libreria Gambalunga". Documenti inediti ["Romagna Arte e Storia", n. 49/1997].