Riministoria© Antonio Montanari

Fame e rivolte nel 1797

Documenti inediti della Municipalità di Rimini

11. Dopo la clemenza, la fucilazione

 

Mondaino chiede alla nostra Municipalità di intercedere presso il generale Sahuguet a favore dei suoi arrestati: "vi conviene pazientare, e dar tempo che siano esaminati", è la risposta [AP 503, 3.4.1797]. Anche per i prigionieri fatti a Santarcangelo si è in fase istruttoria [ib.]. Per dimostrare tutta la propria buona volontà verso i francesi, la Municipalità di Mondaino "ha recuperati cinquantasei capi bovini, che ha già trasportati" e consegnati a Rimino, assieme a parte della contribuzione dovuta, domandando il perdono "a tutti quelli che non fossero Capi di Complotti del proprio Comune" [AP 503, 4.4.1797]. Un "bue furioso" che da Urbino veniva condotto a Mondaino, è ucciso dai soldati. La Municipalità di Rimini ordina a quella di Mondaino di "esitar la pelle" dell’animale, da produrre al generale Sahuguet a giustificazione dell’accaduto: "In quanto ai sollevati del vostro Territorio", si legge nella stessa lettera [AP 503, 11.4.1797], "siccome non è a noi noto il grado della rispettiva loro reità, vi esortiamo a raccomandare per voi stessi, o per mezzo del Parroco al suddetto Generale quelli, che crederete meritino il perdono; Egli l’ha promesso a chi pentito rientra in se stesso, e si unisca ai buoni". Qualche giorno dopo, la Guardia Civica di Mondaino spedisce a Rimini Bonifazio Giaffoni, "turbatore della pubblica quiete", che la nostra Municipalità gira al Comandante Lapisse. [AP 503, 15.4.1797]

L’arciprete Migliarini di Petrella Guidi dichiara la fedeltà dei suoi parrocchiani alla Repubblica francese, e la "loro costanza contro le seduzioni dei convicini sollevati, onde meritare il debito riguardo dall’armata destinata a domare gl’Insorgenti". Risponde la Municipalità di Rimini: non temete che i francesi "confondano i Rei cogli Innocenti. Noi li preverremo in vostro favore, come la giustizia esige" [AP 503, 4.4.1797]. A Gemmano, i "giovanastri, che sconsigliatamente si erano uniti coi sollevati Montanari", si pentono: Rimini promette di procurare loro il perdono, dato che si è convinti "della sincerità de’ sentimenti" espressi, però suggerisce di tenerli ancora "in osservazione", per assicurarsi vieppiù "del loro pentimento, e della nuova promessa condotta" [AP 503, 5.4.1797]. Anche dall’Inferno intercedono perdono, ottenendolo per "quelli, che sedotti dai Malviventi ritorneranno, e si manterranno nella obbedienza" [AP 503, 8.4.1797].

Il generale Victor Perin, "finalmente persuaso dell’innocenza del Popolo di Cattolica pei supposti delitti", gli accorda "il perdono" [AP 503, 6.4.1797]. Ma la conclusione della vicenda è convulsa. Perin in un primo momento intima "che vi erano dei delitti da espiarvi". A parere della Municipalità riminese, "l’impostura aveva calunniati quegl’infelici. Volevansi attribuire a loro tutti gli eccessi commessi dagli Assassini scesi dalle Montagne di Urbino" [AP 503, 8.4.1797]. Come avrebbero potuto "poche decine di persone disarmate" resistere "a qualche centinajo di Masnadieri consumati nelle scelleragini, e avezzi al sangue ed alle stragi"? Anche i venticinque dragoni francesi intervenuti, dovettero ritirarsi. "La crudele alternativa, a cui era condannata questa Gente disgraziata si restringeva nientemeno che pagare un’emenda di due mila scudi in poche ore, o soffrire che i miserabili asili della loro mendicità fossero consumati dalle fiamme", come a Tavoleto. "Impossibilitati questi Infelici al pagamento tremarono di vedere ad ogni momento realizzata la minaccia. Corsero frà le braccia della Municipalità di Rimino. Essa fece un dover di far conoscere al Generale Francese l’ingiustizia della dimanda. Esibì la vita di un Cittadino in Ostaggio finché ne avesse fatta costare la maggiore evidenza."

Dopo la "liberazione del Borgo di Cattolica dal minacciato incendio", fa sapere la Giunta di Difesa, lo stesso generale Perin asseriva di esser obbligato "a procurare in Santarcangelo una indennizzazione ai suoi soldati, che avevano colà perduto i loro effetti" [AP 901, 6.4.1797]. Questa "indennizzazione" in un primo tempo è richiesta alla Municipalità di Rimini, ma il presidente Martinelli non cede a Perin, il quale si rifà della sconfitta saccheggiando appunto Santarcangelo. Martinelli scrive al Cittadino Luosi presidente della Giunta di Difesa: "Ci ha penetrato l’animo della disgrazia, che vi è piaciuto comunicarci, della Terra di Santarcangelo. Già eravamo disposti a rappresentar, e giustificare al Generale Bonaparte altre simili violenze dell’Autore di quella. Ora che vi vediamo così interessato pel sollievo di quella innocente Comunità, a voi ne rimettiamo la rimostranza, perché possiate avvalorarla presso al Generale medesimo" [AP 503, 6.4.1797]. Martinelli si riferisce alla epistola inviatagli da Luosi sui "disastri della Terra di Santarcangelo": "È veramente degna di compassione, e del più vivo interesse la sorte sventurata di quegli onesti, e pacifici abitanti. Dopo di aver gl’infelici sofferta una invasione da parte degl’insorgenti, dopo di esser stati esposti a tutti gli orrori, e a tutte le angosce di una sì penosa, e terribile situazione, a cui non era loro possibile di far fronte, eccoli quest’oggi vittime di un più crudele disastro" [AP 901, 6.4.1797]. In seguito a questo "disgustoso avvenimento", la Giunta s’impegnerà a favore di quella Terra [AP 901, 8.4.1797].

"I delitti di questo Paese erano uguali a quelli" di Cattolica, "ma esso fu più disgraziato" scrive Martinelli a Luosi: "Il Generale nel suo passaggio lo fece circondare dalle sue Truppe, e colle minacce di morte, e d’incendio gli riuscì di esigere il valore di due mila scudi" [AP 503, 8.3.1797]. In seguito a questo "disgustoso avvenimento", la Giunta s’impegnerà a favore di quella Terra [AP 901, 8.4.1797]. Martinelli non accenna alla richiesta avanzata (senza soddisfazione) da Perin a Rimini, consapevole che rivelare l’episodio significava assumersi la responsabilità morale dell’accaduto. Nello stesso tempo, pare che Martinelli si senta fortemente impegnato a difendere l’innocenza di Santarcangelo, proprio perché essa fu vittima anche dell’atteggiamento riminese, peraltro incolpevole, verso le pretese dei repubblicani. La lettera chiede che a Perin siano esposte le "doglianze" della Municipalità: "Se non si prende qualche espediente, onde ovviare in avvenire simili incontri, e riparare in qualche modo ai passati, noi saremo ben presto impossibilitati a contenere i Popoli, che siamo in dovere di governare. Possiamo ben dirgli che s’astengano dal commettere dei delitti; ma non li persuaderemo mai che debbano sospettare la pena di quelli, che non hanno commessi". La penna arguta di Martinelli scansa timori reverenziali, e racconta la verità. I francesi stanno tirando troppo la corda.

Gli stessi concetti sono espressi nella lettera al generale Sahuguet che denuncia l’operato di Victor Perin per "l’ingiustizia tentata sull’innocente Popolo del nostro Borgo di Cattolica, e commessa poi sull’altro egualmente imeritevole della Terra di Santarcangelo". Il "procedere contro gl’innocenti, ci ha vivamente commossi", spiega Martinelli a Sahuguet il quale per primo sa che Cattolica e Santarcangelo non c’entrano con gl’"insorgenti". Mentre l’Amministrazione Centrale invita la nostra Municipalità a provvedere "a certi disordini di Monte Scudo" [87] con le misure necessarie a "sì fatti inconvenienti" [AP 901, 11.4.1797], la Giunta di Difesa dà il cessato allarme. L’insorgenza "delle vicine Montagne" è ormai passata, e se ne può tirare un bilancio politico: "l’insurrezione di qualche centinaio di persone non può stabilire una regola a fronte della sommissione e del consenso universale di tutto il resto della Nazione". Montetiffi e Montebello "hanno deposto le armi, e chieggono il perdono": "quelli Abitatori erano appunto i più terribili, e implacabili". (Parole sante, infatti si è colpito Tavoleto.) "La loro resipiscenza contribuirà non poco a restituire alle pubbliche strade la sicurezza, la pace, e la tranquillità agli abitanti della provincia." [AP 901, 12.4.1797]

Il 13 aprile, lo stesso giorno del ritorno del ritorno di mons. Ferretti, sono fucilati vicino ai fossi della Fortezza di Rimini (la Rocca malatestiana) tre soldati cispadani [Giangi]. Il 20 aprile appare un ennesimo proclama dell’Amministrazione Centrale contro chi "semina la divisione nel Popolo, lo inganna, lo tradisce, allontana da lui tutti i beni": costui "sarà da noi allontanato, e punito come nemico della Patria, e peste della Repubblica" [SZ, ms. 1195, n. 86]. Al Comandante della Piazza la stessa Municipalità di Rimini chiede che la Guardia Civica si accerti se un "certo Antonio Morolli sopranominato Pilicino abitante fuori della Porta di S. Andrea al Molinaccio sia in corrispondenza nottetempo con alcuno dei Forusciti Montanari, ed abbia nascoste in casa della armi" [AP 503, 14.4.1797].

"Sahuguet Generale di Divisione, Comandante la Romagna, e la Marca di Ancona" il 23 aprile concede il promesso perdono a "tutti quelli che hanno avuto parte nelle passate sedizioni, e tumulti, tanto nel Territorio d’Urbino quanto in alcuni Villaggi dell’Emilia" per i "passati eccessi" [SZ, ms. 1195, n. 89]. Il 30 aprile [88] il Consiglio di guerra radunato in Rimini condanna a morte il contadino Francesco Raschi di Santarcangelo, di anni 26, reo confesso dell’uccisione di due "cittadini militanti sotto la Francia". I suoi complici, in quanto sedotti da lui, ottengono le circostanze attenuanti che riducono la pena a "dieci anni di ferri": sono i contadini santarcangiolesi Luigi Mazzotti (32 anni), Giuseppe Protti (18 anni), e Giuseppe Martignoni (46 anni, originario di Rimini). Raschi ha fatto loro credere che con l’oro avrebbe ottenuto di "arrestar il rigor delle leggi". La fucilazione di Raschi avviene "sul Corso" di Rimini il primo maggio [Giangi].

 

FINE DEL SAGGIO

 

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