Riministoria© Antonio Montanari

Fame e rivolte nel 1797

Documenti inediti della Municipalità di Rimini

6. "Disturbo della Fiera di Morciano"

 

Il 2 marzo la Municipalità di Rimini [SZ, ms. 1195, n. 59] pubblica una notificazione in cui si spiega che nei Comuni "ad Essa uniti, particolarmente della Montagna" vi sono individui che "fingendo di aver motivo di essere malcontenti del Governo Francese", diffondo notizie "false, ed insussistenti, onde tirare al loro partito i meno cauti, e i meno illuminati": si vuol "far credere, che il Papa non abbia fatta la Pace" già "solennemente stipolata"; e che "i Francesi siano in breve per reclutare nelle Terre, e nelle Campagne de’ Soldati per lo loro Armate". (Soprattutto questa seconda ‘notizia’ teneva allarmati i contadini per l’ovvio motivo che una sottrazione di braccia alla loro attività significava altro motivo di miseria.) Quei cittadini che diffondo le false notizie, cospirano "non meno alla rovina dei Paesi, che delle loro Popolazioni". Il segretario Niccol’Antonio Franchi ricorda a tutti costoro la "triste sorte incontrata dagl’Insorgenti ne’ Territori di San Giovanni in Marignano, e di vari Luoghi limitrofi dell’Urbinate, e molto più di altri della Marca, che per la follia di pochi sono stati esposti, alcuni al sacco, ed altri alla distruzione": "Chi degli Autori fugge ramingo il giusto sdegno del Governo, chi geme fra ceppi, incerti gli uni, e gli altri della propria vita, ma certi però della desolazione delle innocenti loro famiglie". Il giorno precedente, primo marzo, la Municipalità riminese ha scritto a quella di San Giovanni in Marignano: "Dal rapporto fatto dal Capitano aggiunto al Comandante della Piazza del risultato della spedizione costì fatta abbiamo luogo a credere che codesto paese sia affatto quieto. Si risparmia per ora d’inviare altra Truppa. Forse ve la spedirà il Generale Comandante dell’Emilia al suo ritorno. Intanto maneggiatevi, o Cittadini, per assodare nel vostro popolo la tranquillità; ma se per avventura accadesse qualche movimento in sinistro, sia vostra cura di farcene aver subito l’avviso, affine di provvedervi colla pronta spedizione della Truppa" [AP 503, 1.3.1797].

Nella notificazione del 2 marzo leggiamo pure che la Francia ci "apporta il prezioso dono della Libertà, ed assicura nel tempo stesso, che né la nostra Santa religione, né le Proprietà di chicchessia saranno toccate". Se "qualche inconveniente è accaduto in danno" dei contadini, non è colpa di quella Nazione, ma soltanto "un effetto di quella confusione, che non può evitarsi nei primi momenti delle Conquiste militari, ma che poi và a dileguarsi nella organizzazione del Governo". Tutte le Municipalità, tutti i Parroci "e le Persone probe" debbono "illuminare i Popoli sui loro veri interessi, onde far rinascere dappertutto la fiducia, e l’obbedienza alle leggi, ed alle Potestà costituite, per ottenere quella tranquillità, quella pace, che producono in fine la Felicità, ed il Bene universale".

L’Amministrazione Centrale dell’Emilia scrive a quella Rimini il giorno 4 marzo: "Con rincrescimento abbiamo inteso il trascorso commesso da alcuni mal intenzionati, i briganti, che si sono introdotti a Morciano. Non v’è dubbio che per la temerità di costoro siasi perturbata la pubblica tranquillità di quel luogo" [AP 901]. Morciano è un borgo diviso tra due Municipalità, San Clemente e Montefiore [AP 503, 7.3.1797]. Che cosa vi sia successo, lo spiega il 4 marzo la nostra Municipalità al "Cittadino Sahuguet Generale Comandante dell’Emilia" [AP 503]: c’è stata "la inaspettata terribile violenza commessa martedì scorso nella Fiera di Morciano [74] da varj Malviventi armati procedenti dalle Municipalità dello Stato di Urbino, che sono in insurrezione. Questi in numero di 30 circa, dopo aver forzate le Persone a deporre la Cocarda Francese, derubbarono varje paja di Bovj, quali erano stati comprati per servizio dell’Armata Francese" [75]. Vien da pensare che tra quei "varj Malviventi" vi fossero anche alcune delle vittime delle requisizioni operate a fine febbraio.

A Sahuguet si chiede di spedire immediatamente a Morciano per la successiva fiera di giovedì 7 marzo, "una forza armata, che assicuri tanto quelli, che vi portano il bestiame, quanto gli altri, che vanno a comprarlo, dalle violenze e rubberie dei sollevati dei Comuni dell’Urbinate", per evitare che il popolo di Rimini, delle sue delle Terre, e Castelli, e la stessa armata francese rimanessero "onninamente senza carne". Intanto l’autorità militare dichiara di aver "prese delle misure per il recupero delle Bestie, e per l’assicurazione degl’Insorgenti" [AP 503, 7.3.1797]. Il 7 marzo l’Amministrazione riminese ribadisce le proprie tesi a quella Centrale dell’Emilia: "i torbidi" di Morciano "e delle Municipalità nostre più lontane nascono dagli Insorgenti, e Fazionarj dello Stato di Urbino, che cercano per tutti i modi di mettere in combustione tutte le Municipalità della Montagna" [AP 503].

Alla vigilia della nuova fiera di giovedì 7, la nostra Municipalità avvisa quella di San Clemente che "per ragioni politiche si sospende d’inoltrare domani la concertata forza armata in Morciano" [AP 503, 6.3.1797]. Le accennate "ragioni politiche" consistevano probabilmente nella paura di accendere i fuochi di una ribellione armata. La forza che si sarebbe dovuta inviare a Morciano, era costituita da trentuno soldati e due ufficiali: questi ultimi erano da alloggiare "in case private col peso ai Proprietarj", da nutrire con una "decente tavola", e da far riposare su "comodi letti", mentre per la truppa bastava della paglia in un "magazzeno o altro sito". I Comuni del circondario avrebbero dovuto sostenere le spese del vitto per la truppa. Per il "discreto trattamento" degli ufficiali, i privati sarebbero stati reintegrati del denaro sborsato [76].

Nella lettera del giorno 6 alla Municipalità di San Clemente leggiamo: "Non manchiamo però d’assicurarvi, che per le Fiere consecutive di Morciano suddetto resta fissato di mandarvi una forza molto maggiore, affine di riparare onninamente qualunque ulteriore disordine. Vi avvertiamo intanto di usare per Domani tutta la possibile prudenza, affinché non succeda verun sconcerto". [AP 503, 6.3.1797]. La fiera di San Gregorio, annunciata per il 13 marzo, viene sospesa "per giusti riguardi" [AP 503, 11.3.1797]. I francesi implicitamente si dichiarano incapaci di controllare la situazione. Lo dimostra anche il fatto che il 3 aprile [AP 503] la nostra Municipalità scrive a quelle di Montefiore e San Clemente che, "per assicurare i Mercati, e Fiere di Morciano da ogn’insulto de sollevati Montanari", è stata "proposta al Comandante la Piazza la misura" che ognuna delle due stesse Municipalità "scelga un numero di quattordici, o quindici Individui della rispettiva Guardia Civica, i più bravi, i quali in ogni giorno di mercato dai posti più vantaggiosi di detto Borgo ne tengano lontani i Forusciti, e provedino alla quiete di detti Mercati". La proposta è stata approvata dal Comandante della Piazza, per cui Montefiore e San Clemente possono scegliere e spedire "detto numero a Morciano" nelle previste occasioni di mercato. Tra i due Comuni i rapporti non sono buoni, tant’è vero che non riescono a mettersi d’accordo su come organizzare un macello pubblico a Morciano. Rimini, a nome della Amministrazione Centrale, decide che se ne apra uno nella parte morcianese di Montefiore [AP 503, 14.4.1797]. Intanto il 5 marzo la Municipalità riminese, per proteggere le parrocchie del Bargellato, "le più esposte ai rubamenti", ha organizzato una "Guardia Civica di Contadini", con alla testa un caporale francese. I Parroci del Crocefisso e di Santa Maria in Cerreto, dipendenti dal Capitolo della Cattedrale di Rimini che esige i loro proventi, chiedono che sia lo stesso Capitolo a provvedere al mantenimento del soldato francese [AP 503, 5.3 e 22.3.1797].

I "briganti" non sono l’unico problema che affligge i mercati bovini. Ad esso si affianca l’epidemia diffusasi inizialmente nel luglio ’96 dalla Lombardia meridionale a Piacenza. Qui si erano contagiate alcune bestie acquistate "in servizio dei Francesi" da commercianti di Forlì e Faenza, e dirette a Cesena. A Bordonchio, nei pressi di Rimini, era stata uccisa una "manza malata" nella stalla di Francesco Zavagli. Il celebre veterinario Francesco Bonsi, incaricato di un’ispezione dalla Congregazione di Sanità [AP 71], aveva avvisato che il morbo era nel "grado più contagioso". Sul confine fra il territorio riminese e quello cesenate "dal mare ai superiorj territorj montanari", il 14 agosto [77] il Legato aveva costituito un cordone sanitario armato che interessava Roncofreddo, Montiano, Longiano, Gambettola, Gatteo e Savignano. Il 1° novembre ’96 era stato autorizzato il mercato del bestiame a Morciano, con la sicurezza che il cordone impedisse agli animali e alle persone sospette di intervenire alla fiera. Il provvedimento, oltre alle finalità sanitarie per le quali era stato istituito, sembra aver assunto anche la funzione di un controllo accurato dei movimenti delle persone sotto il profilo politico. Giambattista Agolanti, come ex deputato della Congregazione di Sanità, il 22 agosto ’96 riferisce di un suo sopralluogo nel corso del quale aveva visto respingere "un Viandante incognito, e questuante, che disse provenire da Cesena" [ib.]. C’era anche chi aveva temuto che l’armamento per i cordoni potesse favorire "un’effervescenza popolare" [78]. Il cordone sanitario fra il territorio riminese e quello cesenate era stato rimosso nella prima settimana di novembre. Era rimasto quello tra Cesena e Forlì. Il contagio si è diffuso intanto sulla costa orientale dell’Adriatico: Dalmazia, Albania, Ragusa [79]. Le nostre autorità locali debbono ora vigilare sul pericolo di propagazione del morbo, e sospendere mercati e fiere di bestie bovine "senza eccezioni di sorta, quando anche non si fosse ancora veduto segno di Epizoozia". Nella primavera del 1797 arrivano rifornimenti di buoi proprio dalla Dalmazia sia a Pesaro (ordinati dal Commissario Daniele Felici), sia a Rimini (acquistati dal commerciante Antonio Sensoli). Li sottopongono a quarantena. Ai primi giorni di luglio, si denunciano "attacchi di Epizoozia nella Repubblica". I controlli del pubblico Maniscalco non bastano a frenare il contagio.

A metà luglio ’97, sulla strada maestra di Ospedaletto viene rinvenuto il "corrotto, e fetente cadavere di una bestia bovina scorticata", lasciata da Niccola Pediani, macellaio di Santarcangelo, che dichiara di averla comprata assieme ad altre tre da tale Ronci di San Clemente. Ronci in tutto ne aveva acquistate sette il giovedì precedente a Morciano. Niccola Pediani ha abbandonato la bestia "presso un ponte passata la Marecchia sui Beni Soardi", affidandola al colono Giovanni Antonio Franchini ed incaricando il proprio fratello Tommaso di prendersene cura. Ed è Tommaso che l’ha fatta scorticare viva, accusa Niccola Pediani. Quando le autorità indagano la carne di quell’animale forse era già stata consumata [80]. Alcuni animali muoiono durante il trasporto dalle coste adriatiche orientali, e vengono sepolti in mare: è proibita l’introduzione di quella carne bovina. A fine luglio ’97 il parone Mariano Maranesi giunge a Rimini da Pola con cento corna, a riprova della perdita della merce [81]. A fine settembre si avanza il sospetto circa un contagio nei suini. È facile immaginare le conseguenze economiche di questa situazione.

 

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