Riministoria© Antonio Montanari

Fame e rivolte nel 1797

Documenti inediti della Municipalità di Rimini

3. "Governo Francese", 5 febbraio 1797

 

I torbidi, dunque, non iniziano con il "Governo Francese", come la nuova situazione politica viene definita nei registri comunali di Rimini alla data del 5 febbraio [AP 502]. Da questo giorno la magistratura cittadina deve accordarsi con i militari repubblicani, il che significa in pratica sottomettersi alle loro volontà e delegare ad essi ogni possibilità e capacità d’intervento. L’Amministrazione Centrale dell’Emilia è stata creata nella ex Legazione di Romagna il 4 febbraio da Napoleone con un decreto pubblicato due giorni dopo a Ravenna dalla Giunta di Difesa Generale della Repubblica Cispadana. Gli Atti Pubblici di Rimini diventano con il loro silenzio la più efficace testimonianza di un esautoramento sostanziale del potere cittadino [68]. Il quale, sul momento, non dimostra inevitabilmente altra capacità che quella di alzare bandiera bianca. Il 2 febbraio, quando Napoleone ha ripreso le ostilità contro lo Stato della Chiesa, il Vescovo Ferretti ed il Governatore Luigi Brosi [69] sono fuggiti da Rimini, mentre le più distinte e doviziose famiglie si trasferiscono nei loro beni "in villa". La sera dello stesso 2 febbraio il Segretario della Municipalità, Niccol’Antonio Franchi, ha pubblicato questa "Notificazione" [AP 999]: "Rimane ora abbandonata la nostra Città dai Signori Superiori, che providamente la reggevano. Appartiene perciò alla Pubblica Rappresentanza di prenderne le redini, ed ai buoni Cittadini di prestarsi generosamente ai suoi bisogni". Il primo provvedimento che la "Notificazione" suggeriva, era di costituire subito per la comune tranquillità una Guardia Civica volontaria.

Un piano stabilito dalla Municipalità di concerto con il Comandante francese della Piazza militare di Rimini, "per rimediare efficacemente e sollecitamente ai disordini, che si commettono dai Forusciti nelle Campagne", è comunicato il 7 febbraio [AP 502] ai Parroci di Sant’Andrea del Crocefisso, Casalecchio e San Martino in Riparotta: istituire una Guardia Civica nelle "Ville del Bargellato", agli ordini di un militare francese, "affine di fare il giro notte e giorno delle rispettive Parocchie per arrestare, e condurre in Città que’ Vagabondi, che fossero trovati fuori della Strada Maestra, o Consolare per fare del male". I Parroci dovevano collaborare inviando "dieci uomini di coraggio", che saranno "spesati per tutto il tempo, che presteranno il servizio". La Municipalità garantisce che essi non sarebbero stati "mai né offesi, né reclutati", secondo le assicurazioni ricevute dallo stesso Comandante della Piazza di Rimini. La parola "forusciti" (usata in quest’ultima lettera) non indica più i sostenitori dei francesi alla macchia, ma i partigiani del Papa: essa torna come un’istintiva ripetizione burocratica, e quasi un confuso ricordo di una situazione ormai superata dai nuovi eventi. Ora s’accoppia al termine "vagabondi", meno preciso, anzi decisamente più ambiguo e quindi perfettamente adatto a quei momenti.

A Cattolica, "per le vessazioni e ruberie, che si commettevano, e si commettono", sono accusati "malviventi, e vagabondi, che hanno seguite, e seguono l’Armata Francese". Il "Cittadino Lapisse Comandante della Piazza di Rimini", attraverso la nostra Municipalità, fa sapere: "né soldati, né Ufficiali Francesi, o chiunque altro, possono pretendere, e molto meno esiggere dagli osti, ed abitanti di questa Terra nessuna sorte di viveri, foraggi, o altra cosa senza l’esatto, e puntuale pagamento, giacché la truppa che passa in Cattolica, riceve quì le Razioni necessarie pel suo camino fino a Pesaro" [AP 502, 9.2.1797]. La spiegazione funziona in via di principio. In realtà il comportamento degli occupanti non si ispira alle regole ricevute, se lo stesso Bonaparte il 7 febbraio scrive ai suoi soldati dal Quartier Generale di Pesaro: "Non mi trovo contento di voi", e minaccia di passare per le armi chi avesse "strapazzato, o attentato in verun modo, sia nella Persona, sia nella Proprietà del Popolo vinto", o recasse con sé "roba rubata". D’ altro canto i soldati di Napoleone sono straccioni soltanto alla ricerca di un bottino.

Il primo atto della nostra Municipalità che inaugura il 5 febbraio il "Governo Francese", è la "Rimostranza dell’impossibilità di contribuire all’Armata Francese i Generi richiesti", diretta al "Cittadino Teilard Commissario": il generale divisionario Victor Perrin ha inviato l’ordine "di non attendere a veruna requisizione di qualunque sorta, se questa non sarà segnata di mano dello stesso Sig. Generale a meno che non ci venga presentata per parte del Sig. Generale Bonaparte, o da un capo dello Stato maggiore". La comunità riminese è nell’"impossibilità di poter soddisfare alle domandate requisizioni, giacche qui mancano tele per camice, mentre quel poco che serviva per questa città, ne siamo stati spogliati per servizio della Truppa Pontificia". Circa i cappelli, si fa presente che essi "si provvedono fuori di Stato, quella sola fabbrica che qui esiste n’è sempre sprovista come potrà lo stesso Sig. Ispettore verificare". Per permettere la requisizione delle pezze di panno, la Municipalità indicherà "tutti li mercanti" cittadini a cui rivolgersi [AP 502]. Il 7 febbraio il Segretario della Municipalità pubblica un’altra "Notificazione" [FGSR], che intima la consegna di "tutte le Armi da fuoco, Sciabole, e Stiletti", per evitare "una domiciliare perquisizione". Intanto i francesi avvertono i romagnoli che hanno versato "soccorsi" al Papa: la Repubblica pretende da loro subito metà della stessa cifra, con l’impegno di pagare l’altra metà "di qua ad un mese" [70].

C’è un "continuo passaggio di Truppa Francese". Molti soldati "si allontanavano dai loro Corpi soltanto per le strade remote, entrando nelle case di contadini e guai se si trovavano le famiglie poco risentite mentre li spogliavano di tutto. Ma, al contrario, se incontravano in gente risoluta nessuno certamente di costoro ritornavano indietro perché li ammazzavano e poi li seppellivano, anzi, si sa per sicuro che capitorono nelle mani de’ villani li spogliavano, e poi li uccidevano e poi li sepellivano nei fossi, ne’ campi per le vie cometendo anche molte barbarie" [don G. Sassi, ms. in Biblioteca Malatestiana di Cesena].

Comincia a circolare per Rimini un lettera a stampa (datata 7 febbraio) che il Vicario Generale di Pesaro, don Luigi Pandolfi, ha inviato ai suoi "Cittadini Parroci": non ci sarà nessuna leva di soldati: quindi i Parroci dovranno farsi "premura di rasciugare il pianto di tanti miseri Genitori, spremuto amaramente dal volontario esilio de’ loro Figli, e di richiamare questi teneri Oggetti del loro amore, gli appoggi della loro canuta, ed inoltrata età. Così potranno di conserva attendere all’Agricoltura, o al Coltivamento di quelle Arti, cui sono applicati a loro privato, e pubblico vantaggio" [FGSR]. Il Vicario Pandolfi spiega poi di aver avuto assicurazioni sul rispetto della Religione e delle proprietà individuali, con la promessa di risarcimenti per i danni eventualmente arrecati dai soldati dell’armata francese nonostante le severe leggi imposte all’esercito. Il Pro-Vicario di Rimini, canonico Baldini il 18 febbraio avverte i fedeli che il Papa Pio Sesto, visti la penuria e l’alto prezzo dei cibi "che alla Quaresima si confanno", concede agli abitanti della nostra Diocesi poter usare anche latticini, uova e carni, con limitazioni relative ai primi quattro giorni della Quaresima, al mercoldì dei "quattro Tempi", al venerdì e al sabato di ogni settimana, ed agli ultimi quattro giorni prima di Pasqua [FGSR].

 

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