Riministoria© Antonio Montanari

Le "Notti" di Aurelio Bertòla. Storia inedita dei Canti in onore di Papa Ganganelli

 

Note al capitolo I

 

[1] I carteggi da cui sono ricavate le notizie del presente lavoro, vengono elencati nelle Fonti documentarie, alla pag. 51.

[2] Le lettere di Amaduzzi a Bertòla in FPS sono 112. Altre due epistole sono custodite in BGR: cfr. infra la nota 84. Infine, in FAF si conservano dodici minute di Amaduzzi, di cui quattro sono senza i corrispondenti originali in FPS.

[3] Cfr. A. Montanari, Un "Diario" inedito di A. B., Quaderni di Storia/1, Il Ponte, Rimini 1994.

[4] È l’unica lettera esistente in FG-LB.

[5] È la strofa 37 (non numerata), pp. XII-XIII, nell’edizione I, Roma. Nell’edizione III, Siena 1774 (quella inviata da Bertòla a Bianchi), è invece la strofa XLI (numerata nel testo, a p. 16).

[6] Le lettere di Bertòla a Bianchi, e di Bianchi a Bertòla, sono state pubblicate in A. Fabi, Aurelio Bertòla e le polemiche su Giovanni Bianchi, Quaderno "Studi Romagnoli" n. 6, Lega, Faenza 1972, pp. 12-14. Fabi, osservato che "la sestina relativa al Bianchi […] resta sempre uguale a se stessa" nelle varie edizioni (p. 13), si domanda: "Come mai, allora, il Bianchi parla di mutamento dell’ultimo verso delle sestine?" (p. 14). Prosegue Fabi: "Non è facile rispondere: si può fare l’ipotesi che quando ebbe sott’occhio quei versi la prima volta […] li abbia letti in fretta e, da quell’uomo suscettibile che era, abbia frainteso l’accenno alla sua assenza dal capezzale del papa malato trovandolo poco lusinghiero e inesatto; ma che poi l’impressione negativa sia completamente scomparsa a una lettura più pacata, eseguita sugli esemplari inviatigli in omaggio dal Bertòla" (p. 14). La lettera di Bertòla a Bianchi è cit. anche da C. Tonini, La Coltura letteraria e scientifica in Rimini, Danesi, Rimini 1884, II, pp. 367-368. Nel Commercium epistolicum di Bianchi [SC-MS. 974, BGR], per il mese di novembre 1774, oltre alla lettera di "sabbato 19", è annotata un’altra missiva, a noi sconosciuta, del 26.

[7] Amaduzzi, nato nel 1740 ed ex allievo dello stesso Bianchi a Rimini nella sua scuola privata di Lettere antiche, Filosofia e Scienze, dopo essere stato Lettore di Greco alla romana Sapienza nel 1769, era diventato l’anno successivo Soprintendente alla Stamperia di Propaganda Fide. Morì il 21 gennaio 1792. La sua biblioteca ed il suo carteggio sono all’Accademia dei Filopatridi di Savignano [FAF].

[8] Il 10 dicembre 1774 [FPS, 8.276], Amaduzzi scrive a Bertòla di aver visto "una quarta Senese edizione" della prima Notte; "e dico quarta, perché oltre la Romana, e le due Senesi ve n’è anche una Ferrarese copiata dalla Romana".

[9] Drudi, medico e scrittore, sarà bibliotecario della Gambalunghiana a Rimini tra 1797 e 1818, anno in cui morì.

[10] Drudi chiama "seconda" quella che in effetti, come si è visto, è la terza edizione, di Siena.

[11] Su Drudi, Amaduzzi scrive a Bertòla il 30 giugno 1778 [FPS, 8.312]: "Ho inteso, che il Dottor Drudi sia rimpatriato in Rimino, ma non credo, che Rimino diverrà per Lui niente più celebre". Scrive il cit. Tonini (Coltura, II, p. 529) che Drudi era stato inviato dalla Municipalità di Rimini a studiare Medicina, a pubbliche spese, a Bologna, Padova e Firenze nel 1771 per sei anni. Una minuta di Amaduzzi a Bertòla [24 gennaio 1776, FAF, cod. 4] precisa che "un tal Dott. Drudi" studiava allora in Firenze. Prosegue Amaduzzi nella missiva del 30 giugno 1778, su Drudi: "Le sue lettere l’enunciano un uomo asiatico, pesante, e per conseguenza mediocre. L’uomo di genio si manifesta di buon ora, e si fa conoscere anche nelle picciole cose. Bertòla anche prima del quarto lustro cominciò a far parlare di sé, e a far gustare le sue produzioni". Per Giovanni Bianchi, Drudi nel 1776 scrive una Laudatio, mentre a Rimini venivano duramente censurati Bertòla ed Amaduzzi per essersi rifiutati di unirsi al coro degli elogi verso lo stesso Bianchi, scomparso il 3 dicembre 1775, a 82 anni. Delle polemiche del tempo, ci sono ripetuti echi nelle lettere amaduzziane.

 

 

Note al capitolo II

 

[12] Le due lettere a Bianchi e ad Amaduzzi, come si è riportato, sono del novembre 1774: la prima, del giorno 6, è firmata Bertolli; la seconda, datata 15, è firmata Bertola. (Noi usiamo la forma accentata, come lo stesso poeta fece in lettere degli ultimi anni, ora conservate in FPS.) A Pasini (1720-53), Bertòla dedicò una breve biografia, pubblicata dalle Novelle Letterarie di Firenze, 9/1774, coll. 136-140.

[13] Il 5 novembre 1774 Amaduzzi scrive ad Anna Sernini: "Vedete di avere la Notte composta sulla morte del Santo Padre da un Olivetano riminese dimorante a Monte Oliveto di Siena sullo stile di quelle dello inglese Young e la troverete filosofica, patetica, robusta, elegante e gloriosa". Cfr. G. Gasperoni, La Storia e le Lettere nella seconda metà del secolo XVIII, TEC, Jesi 1904, lettera II, p. XXII dell’Appendice. [L’esemplare del testo di Gasperoni in BFS ha correzioni di mano dell’autore, in vista di nuova edizione.] Cfr. pure a p. 135 di G. Pecci, Aurelio Bertola e le sue "Notti Clementine" in relazione allo svolgimento della poesia encomiastica e sepolcrale, "La Romagna", 1915 (XII), pp. 64-75, 133-145, 195-207, 250-275. Questo scritto di Pecci si raccomanda ancor oggi per l’analisi storica e la ricerca documentaria. Pecci, basandosi sulla recensione di Amaduzzi alla prima Notte, pubblicata (se ne parla qui in seguito, cfr. infra la nota 19) nel novembre 1774 sulle Efemeridi, chiama seconda l’edizione senese inviata da Bertòla allo stesso Amaduzzi, la quale è invece la terza (p. 256). Infine, Pecci (ib.) indica Garampi tra i personaggi cantati in tale edizione, mentre Garampi appare soltanto nella Seconda Notte (strofa XXXVIII).

[14] Nel frontespizio l’autore sarà ricordato soltanto nelle edizioni settima e decima del nostro catalogo che descriveremo in seguito (capitolo 6. Catalogo delle edizioni delle Notti). Sono anonime anche le edizioni sesta, ottava, nona e undicesima.

[15] Cfr. lettera ad Amaduzzi del 7 marzo 1775.

[16] Cfr. la lettera FPS, 8.244. Su tale lettera, cfr. infra la nota 83.

[17] Come risulta dall’originale in FAF, la lettera è scritta da Varsavia il 30 novembre 1774.

 

 

Note al capitolo III

 

[18] Bianchi dal 1741 al 1744 ha insegnato Anatomia umana all’Università di Siena.

[19] Amaduzzi definisce "seconda" questa edizione senese, riferendosi ovviamente al testo (passato da cinquantuno a cinquantotto strofe), e non al prodotto tipografico (come invece stiamo facendo noi).

[20] Amaduzzi chiama Bertola l’abate riminese perché questi, come si è visto, firmava in tal modo le sue lettere al savignanese.

[21] Garampi scrive inoltre ad Amaduzzi (Varsavia, 11 gennaio 1775): "[…] ho inteso con sommo piacere i parziali riguardi, che il P. R.mo Stampa si compiace di avere per il nuovo nostro Poeta Riminese: onde pregola a rendergli anche in mio nome le più distinte grazie. Rendere ch’egli possa vieppiù coltivare i suoi talenti con l’onore e coi comodi necessari, senza però far pregiudizio agli altri studj più proprj della sua vocazione, alla disciplina Regolare, e al servigio ch’ei deve alla sua Congr[egazione]".

[22] È la seconda lettera del carteggio.

[23] Si tratta della terza epistola bertoliana.

[24] Cfr. Efemeridi, n. XXXVII, pp. 291-292.

[25] "A dir schietto mi vergogno che sì fatte piccolezze vadano per le mani dei conoscitori grandi": cfr. lettera di Bertòla ad Amaduzzi, 13 dicembre 1774. A Rimini il tipografo Giacomo Marsoner stamperà nel 1792 il bertoliano Saggio di Odi italiane, BGR, 11.MISC.RIM.XII, op. 6, pp. 52. (Si noti nel titolo: Odi e non Ode.) L’esemplare forlivese, edito da Giuseppe Sale, è presente in FAF [D.A.VI.134], con un’annotazione (nell’"indice" di mano di Amaduzzi): "(Sotto il nome di Luigi Alviro in età d’anni XVII.)".

[26] L’articolo non dovrebbe essere di mano di Amaduzzi, perché esso non appare nell’elenco posto in fine del volume ELR 1774, FAF. Su tale recensione, Amaduzzi stesso scriverà a Bertòla il 10 dicembre 1774 [FPS, 8.276]: "Posso immaginarmi chi sia stato l’Autore dell’articolo […]; ma esso avrà certo ignorata la vostra persona, di cui ora certamente ne ha migliore idea; siccome l’avrei io pure ignorata tutt’ora, se voi non vi manifestavate in sincerità. Ho riletto a bella posta l’articolo suddetto, e quantunque sia un poco critico, non è però tale, che non vi renda una solida giustizia". (Tutto il brano della lettera ha un vago tono autobiografico, in base a cui pare possibile formulare l’ipotesi che Amaduzzi stesso fosse l’autore di quell’articolo. Per analogia, si veda infra la nota 37.) Amaduzzi aggiunge anche notizie sulla favorevole accoglienza della prima Notte negli ambienti colti che frequentava a Roma.

[27] Sul sammaurese padre Giorgi, cfr. E. Pollini, Padre Agostino Giorgi nel 180° anniversario della morte, "Quaderno XI-1977", Accademia dei Filopatridi, pp. 41-60. Il 27 dicembre 1774 Bertòla scrive ad Amaduzzi di aver spedito la prima Notte a padre Giorgi, "senza aver avuto l’onore di alcun riscontro".

 

 

Note al capitolo IV

 

[28] Come si è già ricordato, il nome di Bertòla non appare sul frontespizio, ma nella presentazione scritta dallo stampatore Costantini.

[29] Chiameremo "edizione Fusconi" questa sesta romana del 1775. Di essa parla anche G. Pecci nel Saggio Bibliografico pubblicato in calce (pp. 274-275) al cit. Aurelio Bertola e le sue "Notti Clementine". Lorenzo Fusconi, Minore Conventuale ravennate (1726-1814), fu autore di vari testi poetici.

[30] Citiamo ancora dalla lettera bertoliana del 27 dicembre 1774 ad Amaduzzi: "Aspetto con impazienza l’ingenuo e venerato giudizio vostro sulla II Notte, onde profittarne, e prepararmi così a far di meglio in più lieve congiuntura". Sempre qui c’è un interessante passaggio autobiografico: "[…] le mie melanconiche situazioni non mi accordano la luce di un puro e tranquillo giorno; e se non sopravviene una dolce aura dissipatrice delle nebbie odiose che mi fanno assedio, preveggo bene ch’io piangerò e canterò pateticamente più per avventura che non fece Young, e con più ragione. Perdonate questo tratto alla mia talvolta soverchia e patetica ingenuità". (Questa parte autobiografica è cit. da Pecci a p. 75, nota 1, del suo studio del 1915.)

[31] Bertòla riporta a questo punto un passo di una lettera di Fusconi a lui indirizzata, da cui citiamo in parte: "Comunque io senta ch’Ella non sia di me contentissima per questa edizione, ardisco nulladimeno pregarla a nome di tutti i miei che le ne saremmo grati perpetuamente a comporre dopo sì belle Notti un Giorno in onore dell’immortale Clemente".

[32] Qui Bertòla dovrebbe riferirsi ad un giudizio espresso da Amaduzzi il 5 febbraio, secondo il quale Fusconi era uno di quei "volgari Poeti, che abbondano di parole e mancano di sentimenti, e non hanno imparato a riformare la favola nella scuola della Filosofia, madre della ragione, e dell’ingenuità" [FPS, 8.247].

[33] L’abate Garattoni "ebbe la degnazione di annojarmi con una prolissa e barbara lettera già due mesi sono, nella quale mi pregava a descrivere nella mia 2.a Notte il nuovo Arco di S. Arcangelo; e per due pagine mi esaltò le glorie bellezze e dovizie di quel paese. Freddure […]": così Bertòla ad Amaduzzi in questa lettera del 23 febbraio 1775.

[34] Tale lettera è pubblicata alle pp. 485-486 del tomo III delle Poesie e prose del Padre Maestro Lorenzo Fusconi. In BGR [12.R.VI.35] esiste la seconda edizione (1787), uscita presso la Stamperia Reale di Parma. Dopo la lettera, è riportata la prima Notte in cinquantuno strofe: la strofa n. 49 viene modificata da Fusconi, come diremo in seguito, alla nota 61.

[35] È la quinta edizione.

[36] Giuliano Genghini era anche poeta: uomo dal "carattere faceto e irriverente", amava qualificarsi "Pastor Arcade e Pubblico Lettor di Legge" (cfr. E. Pruccoli, L’Alberoni a San Marino nei carteggi di Iano Planco, "Annuario Scuola Secondaria Superiore di San Marino", XXIII, 1995-96, Studiostampa, San Marino 1966, p. 284).

[37] La recensione delle Efemeridi non appare nell’elenco delle collaborazioni di Amaduzzi, compilato in calce al volume ELR 1775, FAF. Come scriveremo tra breve, un’osservazione contenuta in quella recensione ci fa concludere che l’abbia stilata Amaduzzi stesso. Sappiamo che Don Giacinto Ceruti, come spiega una postilla di Amaduzzi nel medesimo ELR 1775, FAF, fu il principale curatore del foglio fino al n. XVII. Don Ceruti potrebbe dunque aver scritto quella recensione, con notizie però fornitegli da Amaduzzi. Il caso è analogo a quello già visto nella nota 26.

[38] Circa l’accenno ai "Novellisti Fiorentini", va precisato che nel vol. VI (1775) delle Novelle Letterarie di Firenze, coll. 6-7, si legge sulla Notte bertoliana stampata da Bindi a Siena (edizione terza): "L’autore di questa Poesia P. Don Aurelio de’ Giorgi Bertola, Monaco Olivetano […] e Nobile Riminese […] con lugubri immagini s’introduce nel suo argomento, spaziando poi nelle lodi di sì glorioso Sommo Sacerdote. […] ma qualche volta s’abbassa per l’aspra difficoltà di sostenersi nel suo gran volo. […] l’impegno di livellarsi coll’inimitabile patetico dell’Inglese Poeta in tutto il suo canto era forse superiore alla forza dell’Italica fantasia. Questo non sia detto per iscoraggiare il P. Bertola; egli è meritevole di tutti gli encomi […]". Bertòla si lamenta con Amaduzzi (il 30 gennaio 1775) che i Novellisti fiorentini hanno trattato meglio le Ode che non la Notte, scrivendo: "chi ha mai sognato di livellarsi" con Young? "Nella nuova ristampa vorrei o in una notarella, o in due righe di prefazione eventualmente ribattere dolcemente pregiudizj così grossolani". E chiede un suggerimento ad Amaduzzi. Che gli risponde il 5 febbraio, come si vedrà, sconsigliandogli qualsiasi difesa. Le Novelle fiorentine trattano meglio l’edizione amaduzziana nella recensione apparsa nelle coll. 84-88 dello stesso 1775: "Correggendo ed aumentando l’Autore in più parti il suo lavoro, è quasi venuto a farne un nuovo impasto molto diverso dalla prima edizione Romana […]. Alla provida e liberal cura del Sig. Abate Gio. Cristofano Amaduzzi, grato alla santa ed eterna memoria del gran Pontefice Clemente XIV., impegnato per la gloria ed onore dell’illustre Poeta suo compatriota, dobbiamo la presente edizione. […] In somma il nostro giovane Poeta mostra in tutto una mente profonda, un cuor sensibile ed un estro sorprendente, e tuttociò egli accoppia quanto è possibile ad un Italiano con quel tenor malinconico, che forma il bello delle Notti di Young da lui prese ad imitare". Non sappiamo a quale altro articolo alludesse Bertòla scrivendo ad Amaduzzi il 28 febbraio 1775: "Esce una critica sanguinosa sulle mie Notti. Staremo a vedere". (Il richiamo alla "provida e liberal cura" di Amaduzzi, dimostra che questi faceva ben conoscere la propria attività.)

[39] È questa la risposta al consiglio richiesto da Bertòla nella cit. lettera del 30 gennaio 1775, circa la "notarella" e le "due righe di prefazione" con cui ribattere ai Novellisti fiorentini.

[40] Questa epistola fu pubblicata in G. Gasperoni, La Storia e le Lettere, cit., p. XLIV. A proposito dell’edizione aretina, si riferisce probabilmente ad essa un passo della missiva di Amaduzzi a Bertòla dell’8 aprile 1777 [FPS, 8.296], in cui leggiamo: "Non mancano mai occasioni per Vienna; e ne avremo anche molte per Parigi […]. Frattanto si manderanno le Notti Clementine, delle quali in anticipazione vi ringrazio […]".

[41] Il 21 febbraio 1776 Bertòla cita ad Amaduzzi una "nuova edizione fatta in Lucca", alla quale "dovrebbe aver avuto mano qualche frate. Sapete che hanno fatto? Hanno tolto dalla edizione aretina la terza Notte e unitala alla due stampate tronche e imperfettissime in Roma dal Padre Fusconi. Questa infamità mi ha disgustato assaissimo". Bertòla definisce "ridicola" l’iniziativa, "dopo tante copie dell’edizione Aretina che girava", copie che "vanno anche dove non sono richieste". (Tale lettera è pure nel cit. Pecci, Saggio Bibliografico, p. 274.) In data 26 settembre 1778, Bertòla scrive poi ad Amaduzzi: "In Milano, e più prima in Venezia, è stata fatta una edizione delle Tre Notti Clementine. Credo assolutamente che Fusconi le abbia fatte fare per mezzo de’ suoi frati, giacché vi sono tutti quei difetti che ei volle ostinatamente ritenere nella prima Notte, quando fu la stampa in Roma. Che puntiglio!". (La lettera è ripresa da Pecci nel cit. Saggio Bibliografico, p. 275.) Le tre edizioni di Lucca, Venezia e Milano non recano l’indicazione dell’editore che, per altra via, è possibile determinare soltanto per una di esse (quella di Venezia), come vedremo più avanti.

 

 

Note al capitolo V

 

[42] In FAF si conservano due volumi di L. A. Caraccioli: La vie du pape Clément XIV, terza edizione, Parigi 1776 [D.A.VI.78], e La vie du pape Benoît XIV, Parigi 1783 [D.A.VII.138], con l’autografo di Amaduzzi in francese ["Jean Christophle Amaduzzi"]. In BGR esiste una traduzione italiana della Vita del Sommo Pontefice Clemente XIV Ganganelli scritta in francese dal Marchese Caraccioli [Allegrini "alla Croce Rossa", Firenze 1775, II edizione]. Caraccioli fu complimentato dal card. Ganganelli il 12 luglio 1764 per un suo Elogio istorico di Benedetto XIV (cfr. Lettere interessanti di Clemente XIV. Ganganelli, tomo III, Garbo, Venezia 1778, pp. 172-173).

[43] Risponde Bertòla ad Amaduzzi, da Napoli il 10 marzo 1778: "Godrei di veder la versione francese delle Notti prima di uscir d’Italia. Noi non passeremo per Parigi. Il nostro cammino è verso Vienna […]". Il 18 aprile aggiunge: "Ho intesa con piacere la bizzarra opera di Caraccioli. Di grazia, se non vi spiace, speditemi l’esemplare vostro […]".

[44] Nel codice 30, FAF, si conserva una lettera di Caraccioli a Gerolamo Fabri Ganganelli del 29 settembre 1778, che accompagnava il dono delle Notti bertoliane: "Vous trouverez dans ma traduction libre des grandes images, et des grandes verités à l’honneur de la Religion".

[45] In BGR [13.A.IX.3] è conservato un esemplare dell’edizione di cui parla Amaduzzi, uscita a Parigi "chez Lottin et Moutard", e stampata presso lo stesso Moutard, "Imprimeur-Libraire de la Reine". L’edizione consta di quattro parti: le 21 pp. di prefazione; le 420 pp. di questa libera, lunga e per certi versi bizzarra traduzione in prosa della Notti bertoliane, curata da Caraccioli, a cui fanno seguito le stesse Notti in originale [con l’indicazione "Michele Bellotti, Stampatore Vescovile in Arezzo, 1775"], divise però in quattro parti (66 pp.), e gli Idilli di Gessner tradotti in italiano da Bertòla (156 pp.). L’iniziale lettera di dedica, da parte del traduttore a S. A. Adam Frederic, Vescovo di Bamberg e Wirzbourg, è senza firma, recando in calce quattro asterischi. Un’altra edizione della BGR [7.B.VIII.162], apparsa a Rouen, "chez Pierre Boquer", sempre nel 1778, con soltanto la traduzione di Caraccioli, è firmata invece Carraccioly. (Circa la forma Caraccioli o Carraccioli, in SG, alla voce Caraccioli si rimanda a Carraccioli. Però gli schedari della BGR recano Caraccioli.) Una terza ed una quarta edizione della traduzione francese di Caraccioli, apparvero a Rotterdam presso J. Bronkhorst nello stesso 1778 [BGR, 7.B.VIII.254], ed a Berlino [BGR, 7.H.VI.180] presso Joachim Pauli nel 1779. L’edizione di Rotterdam ricalca quella precedente di Rouen, con la sola differenza che nella introduzione sono tagliate le ultime tre righe sul vescovo di Cortona e sulla sua accettazione della dedica delle Notti da parte di Bertòla (cfr. edizione aretina n. 8). Le Schede Gambetti [BGR] registrano soltanto le edizioni di Rouen e di Rotterdam.

[46] Nella prima Notte il traduttore scrive sul Rubicone, a p. 55, che questo piccolo fiume è "aujourd’hui connu sous le nome de Pisatello". Riportiamo questa citazione dotta, a testimonianza della secolare disputa sul vero Rubicone degli antichi, come la si definiva nel Settecento.

[47] Nell’edizione di Rouen, Amaduzzi è cit. a p. 40, Bianchi a p. 62.

[48] Mons. Girolamo "Fabbri" [recte Fabri] Ganganelli muore in Spagna il 24 maggio 1779: cfr. la lettera di Amaduzzi a Bertòla dell’11 giugno 1779 [FPS, 8.261], in cui si legge: "La mia inconcussa venerazione, e gratitudine per il suo grande Pro-Zio mi espone maggiormente a questo dolore […]".

 

 

Note al capitolo VI

 

[49] Lo stampatore Costantini, nella ricordata sua presentazione, accenna erroneamente alla successione delle quattro precedenti edizioni, scrivendo che esse sono state pubblicate "in Roma, in Siena, in Ferrara, ed altrove (come m’è stato supposto)".

[50] Sul ruolo di Fusconi, ricapitolando le citazioni sopra riportate, si vedano le lettere di Bertòla ad Amaduzzi del 27 dicembre 1774, 30 gennaio e 23 febbraio 1775, e 26 settembre 1778.

[51] Amaduzzi in calce al volume della sua biblioteca [D.A.III.81 bis] che raccoglie sei esemplari di altrettante edizioni, scrive che le Notti da lui curate (edizione n. 7 del nostro catalogo), sono "più corrette e più piene". L’edizione amaduzziana reca soltanto la doppia indicazione "In Siena, ed in Roma", senza alcun nome degli stampatori; il testo della prima Notte segue l’edizione senese dei Bindi; e quello della seconda, l’edizione romana di Puccinelli.

[52] In BGR si conservano altri due esemplari oltre a quelli di NG 1-11; l’edizione n. 3 del nostro catalogo, è in 13.MISC.XCII, 44 [con copertina e scritta antica a penna sul frontespizio: "del Sig.e Aurelio de’ Giorgi Bertola Riminese"]; l’edizione n. 8, è in 13.MISC.LXXXII, 10.

[53] Questa edizione n. 8 del nostro catalogo, contiene la dedica di Bertòla al vescovo di Cortona, mons. Giuseppe Ippoliti, datata Arezzo 15 febbraio 1775.

[54] L’edizione veneziana reca in calce anche La Concordia della Santa Sede col Portogallo, Stanze dell’abbate Francesco Zacchiroli (pp. 55-59).

[55] Tale edizione (un cui esemplare è alla Biblioteca Statale di Lucca, busta 728, n. 21), ha rassomiglianze tipografiche, soprattutto in certi fregi con il poemetto bertoliano L’Estate, impresso da Giuseppe Rocchi nel 1777 a Lucca [BGR, 7.B.V.73, op. 12], per cui si può ipotizzare che sia stata prodotta dal medesimo stampatore. Questi fregi, di tipo alquanto funerario, sono presenti anche nell’edizione delle tre Notti n. 8, curata da Bellotti di Arezzo, ed in un altro poemetto bertoliano, edito da Bindi di Siena nel 1774, La Provvidenza. Se ne può dedurre che tali elementi tipografici caratterizzino, in quegli anni, l’area toscana. Più eleganti sono altre stampe, apparse una nel 1779 probabilmente a Napoli (si tratta dellabertoliana Ode al signor Abate Metastasio [BGR, 7.B.V.73, op. 13]), e l’altra nel 1793 a Milano (L’invito di Dafni Orobiano con prefazione di Ticofilo Cimerio [Bertòla], presso Giuseppe Galeazzi [BGR, 7.B.V.73, op. 16]).

[56] Si tratta dell’opera già cit. in precedenza.

[57] Sulla figura di Z. Gambetti (1803-1871), si veda G. C. Mengozzi, Un illuminato bibliofilo, Z. G., "Studi Romagnoli", xxxvii (1986), Bologna 1990, pp. 285-293.

[58] Riportiamo l’elenco amaduzziano delle edizioni contenute nel volume FAF, D.A.III.81 bis, con [tra parentesi quadra] il numero del nostro catalogo: esse sono quelle di Roma 1774 (VI [1]), Perugia 1774 (VII [5]), Siena 1774 (VIII [3]), Roma 1775 (IX [6], con la scritta di mano dello stesso Amaduzzi: "Per dono dell’Autore"), Roma-Siena 1775 (X [7]), ed Arezzo 1775 (XI [8]). L’edizione di Arezzo 1775 delle Tre Notti, è quella di cui Amaduzzi scrive a Bertòla il 15 aprile 1777 [FPS, 8.295], dicendo di averla ricevuta tramite il Padre Lettore Mancini che si trovava a Santa Maria Nuova in Campo Vacino: è lo stesso Padre Mancini che, nel dicembre 1774, gli aveva mostrato "una quarta senese edizione" della prima Notte, che Amaduzzi non possedeva [cfr. lettera di Amaduzzi a Bertòla, FPS, 8.276, 10 dicembre 1774, cit. supra].

[59] L’indicazione del frontespizio ("Secondo l’Edizione fatta in Arezzo"), appare un falso perché l’edizione (ottava) del 1775 presso Bellotti, è in tre e non in quattro Canti.

[60] G. Pecci, in Le opere a stampa di A. Bertòla, da "Studi su A. B. nel II centenario della nascita (1953)", Steb, Bologna s. d., pp. 298-299, elenca dieci edizioni (ai suoi numeri facciamo corrispondere [tra parentesi quadra] quelli del nostro catalogo): 104 [5], 105 [3], 106 [4], 107 [2], 108 [7], 109 [6], 110 [8], 111 [9], 112 [come l’edizione aggiunta alle citt. Lettere interessanti di Clemente XIV (1778), uguale alla nostra n. 10], 113 [11]. Fabi nel cit. Aurelio Bertòla e le polemiche su Giovanni Bianchi, p. 14, nota 26, corregge le classificazioni di Pecci, ricordando le citt. raccolte in BGR [7.B.V.73, opp.1-11] ed in FAF [D.A.III.81 bis, VI-XI].

[61] Una curiosità legata ad una variante di testo non soltanto formale: nelle edizioni nn. 1, 2 e 5 del nostro catalogo, il primo verso della strofa 49 reca: "Ma tu, N. N. […]". Nella stessa strofa dell’edizione n. 6, curata da Lorenzo Fusconi, il verso in questione reca: "Ma tu, Lorenzo […]". Nelle edizioni 9, 10 ed 11, si legge: "Ma tu, Fusconi […]", con l’aggiunta di una nota: "Il P. M. Fusconi Min. Conv. Poeta, e Oratore sublime". (Il che spiega le parole ed il tono di Bertòla nella cit. lettera ad Amaduzzi del 26 settembre 1778: "Credo assolutamente che Fusconi le abbia fatte fare […]".) Infine, nel cit. III tomo delle Poesie e prose di Fusconi [BGR, 12.R.VI.35], Fusconi stesso modifica ancora il primo verso della strofa 49: "Ma tu, Labisco […]", usando il proprio nome arcadico [Labisco Teredonio]. Nel medesimo tomo, leggiamo: "Io ammiro Ossian, Young, Gesner [sic]; ma non saprei già gradire, che le maniere celtiche, inglesi, tedesche si maritino con le nostre" (p. 530). A p. 525, Fusconi ricorda: "[…] ho speso gli anni più freschi della mia vita a pensar ben altro che canzonette e sonetti, senza mai quasi un momento di ozio"; Clemente XIV "si degnò di chiamarmi a leggere nell’Archiginnasio della Romana Sapienza; impiego a me pesantissimo". Un biografo ricorda che Fusconi fu alla Sapienza "maestro in divinità": "a più alto grado sarebbe stato promosso ma la morte del pontefice troncò le belle speranze" (cfr. D. Vaccolini in Biografia degli italiani illustri, Alvisopoli, III, Venezia 1836, pp. 175-176).

[62] Nell’edizione italiana di Bellotti, posta dopo la traduzione francese di Caraccioli [1778], il totale delle strofe delle prime due Notti, corrispondenti alla prima Notte originaria (come si è visto nella lettera di Amaduzzi FPS, 8.257), è di cinquantanove (trentanove nella prima, e venti nella seconda), cioè una in più rispetto al "tipo B" in precedenza considerato: vi è aggiunta, infatti, la strofa ventesima nella ‘nuova’ prima Notte. Tale strofa ventesima (che non coincide con nessuna delle tre eliminate nel "tipo B", rispetto a quello "A"), ricorda che, per diffondere in Europa i "bei parti" del "filantropo Eroe" (Clemente XIV), "manca solo qualche man gentile" che li "raccolga, e li dispensi": il senso di questi versi potrebbe indirizzare il ‘sospetto’ circa l’autore dell’aggiunta, verso lo stesso Caraccioli (il più facile ‘indiziato’, per essere stato il curatore del volume nel suo complesso).

[63] Cfr. in Studi su A. B., op. cit., p. 48.

[64] La lettera di Garampi, in FAF, è datata Vienna 4 agosto 1777.

[65] Cfr. in Studi su A. B., op. cit., p. 94.

 

 

Note al capitolo VII

 

[66] Tali Idilli erano apparsi presso Raimondi di Napoli nel 1777 col titolo Scelta d’idilj di Gessner tradotti dal tedesco. Due di essi, erano stati anticipati dall’Antologia Romana (1777, tomo III, pp. 225-229 e 233-234), con una presentazione in cui si ricordava che Bertòla in precedenza aveva "comunicato il gusto della patetica sentimentosa poesia Britanna colle tre applauditissime Notti Clementine". Nello stesso 1777 escono (sempre a Napoli, presso Raimondi), le Poesie diverse tradotte dall’alemanno, pubblicate da Bertòla in occasione delle nozze Piccolomini-Bertozzi. Cfr. A. Fabi, A. Bertòla per L. A. Bertozzi, "Studia Picena" 1994, pp. 262-264.

[67] Su tale interesse verso la poesia tedesca, si può rammentare anche la Lettera indirizzata da Bertòla al Giornale Letterario di Siena [tomo II, 1776, FAF, D.B.III.25], datata Napoli 24 dicembre 1776, a cui fa seguito la traduzione del Filete, un "idillio pescatorio" di E. C. von Kleist (1715-59), autore anche di un Canto funebre. Nella Lettera, Bertòla spiega che la sua traduzione è più fedele che elegante, "per far gustare all’Italia tutte le bellezze della poesia tedesca". Il Filete è un canto alla natura, il cui "bello" deve ispirare nell’uomo un "senso gentile": contro di esso, combattono le "cieche passioni ardenti", dalle quali il cuor "giusto" non deve farsi sopraffare, ricordando che "gloria, potere,/ Ricchezze altro non son, che sogni vani". Prima di morire, Filete lascia al figlio questo testamento: sèrbati fedele alla virtù, "procura l’altrui felicità", "alza lo spirto al grande/ Signor della natura, a cui son servi/ I venti e il mare; che governa il tutto/ Per comun ben". Bertòla definisce questa morale "un po’ troppo raffinata per un pescatore". Inevitabilmente, e in contrapposizione a questa opinione di Bertòla, si pensa al pastore leopardiano del Canto notturno. La lettera (come si è visto), è scritta da Napoli, dove Bertòla era appena giunto da Siena. Qui aveva curato il cit. Giornale Letterario (nel primo semestre 1776). In una nota di Amaduzzi in calce alla pag. IV dell’annuncio editoriale, leggiamo: "Il primo semestre fu quasi tutto lavoro del P. Don Aurelio De’ Giorgi Bertola Olivetano". Nel primo tomo del Giornale Letterario di Siena , Bertòla pubblicò anonima l’Ode al Sig. Abate Metastasio, dichiarando però il proprio nome come autore nell’indice finale. Degli scritti bertoliani sul Giornale senese si è occupato M. Cerruti nel saggio Bertòla tra "Aufklärung cattolica" e sperimentazioni neoclassiche (Università di Torino, L’arte di interpretare, Studi critici offerti a Giovanni Getto, L’Arciere, pp. 411-421), segnalatoci da Carla Mazzotti (BFS).

[68] L’opera sarà ampliata nel 1784 nella Idea della bella letteratura alemanna.

[69] Questa lettera di Amaduzzi è del 7 gennaio 1786 [FPS, 8.273]: ma le osservazioni in essa contenute valgono anche per il decennio precedente. Altre immagini sulla Roma di quel tempo, offre Amaduzzi nelle epistole a Bertòla. Ci sono "tante migliaia di sedicenti abati", tra cui anche "un certo Abate Anguilla Romano, falsificatore di Bolle Apostoliche", chierico prima degradato poi affidato alle cure del boia [FPS, 23 luglio 1779, 8.263]. I libri in arrivo vengono controllati uno per uno in Dogana. Per spedizioni cumulative è possibile fornire un elenco da sottoporre all’esame del Frate Revisore, chiedendo per iscritto di concedere l’extrahatur senza "una personale rivista" [FPS, 6 luglio 1779, 8.262].

[70] Nella lettera [FAS, cod. 4] si legge poi: "Per me la verità è un elemento, senza cui non posso vivere, né far nulla. […] Uno dei motivi per cui amo il mio Bertòla, è il vederlo non ributtante alla medesima".

[71] Queste lettere sono ricordate in A. Fabi, A. Bertòla per L. A. Bertozzi, op. cit., pp. 274-275. Tali lettere furono scritte "dopo circa un mese dalla pubblicazione delle Nuove poesie campestri e marittime", avvenuta a Genova (ib. p. 273). Aggiunge Fabi: "Ma lo stato d’animo che spingeva Bertòla al ripudio della poesia non dovette durare molto a lungo, se nel 1782 uscì a Cremona, per i tipi di L. Manini, il volume che dal nome arcadico di Bertòla s’intitolava Poesie di Ticofilo Cimerio" (p. 275). Sul Discorso Preliminare alle Nuove poesie, Fabi osserva che esso enuncia "considerazioni che per Bertòla dovevano certo costituire dei punti fermi", dalle quali emerge "un’esigenza di realismo che anticipa l’atmosfera romantica" (pp. 269-270). Tale Discorso Preliminare è indirizzato "al dottiss. e preclariss. mons. Lodovico Agostino de’ Conti Bertozzi Vescovo di Cagli".

[72] I versi sono in un sonetto di Bertòla, ricopiato da Amaduzzi in calce al volume D.A.III bis che contiene le varie edizioni delle Notti. Aggiunge Amaduzzi in nota alla trascrizione: "Allude il chiarissimo autore al suo celebre Poema delle tre Notti, stampate in morte della S. M. di Clemente XIV". Tale sonetto è riprodotto in parte anche da Pecci nel cit. studio del 1915, p. 75, nota 1.

[73] Nell’affermazione di Amaduzzi si può cogliere un riflesso della lezione di B. Bacchini e L. A. Muratori. Sull’argomento, in relazione alla realtà riminese, cfr. A. Montanari, Modelli letterari dell’autobiografia latina di Giovanni Bianchi (Iano Planco, 1693-1775), "Studi Romagnoli 1994"; e l’introduzione dello stesso Montanari, intitolata Antonio Bianchi scrittore, al volume A. Bianchi, Storia di Rimino dalle origini al 1832, Manoscritti inediti, Ghigi, Rimini 1997, p. LII.

[74] Sul tema rimandiamo ad A. Montanari, La filosofia della voluttà, Aurelio Bertòla nelle lettere di Elisa Mosconi, Raffaelli, Rimini 1977.

[75] Lettera dell’11 marzo 1789, minuta in FAF, codice 4.

[76] Bertòla, in data 2 marzo 1789, ringrazia Amaduzzi della recensione scrittagli sulle Efemeridi [1788, pp. 411-415], per la nuova edizione [la quarta] delle sue Favole.

[77] Pecci (nel cit. lavoro del 1953, p. 301), registra due edizioni di Berlino presso Joachim Pauli: la prima è la traduzione francese di Caraccioli (già ricordata); la seconda è in lingua tedesca: Clementische Nachte. Esiste infine un’edizione portoghese nel 1785 (Rollandiana, Lisboa). In base al numero delle pagine, le edizioni in lingua tedesca e portoghese sembrano derivate da quella di Caraccioli.

[78] È la cit. lettera dell’11 marzo 1789. La storia del successo delle Notti ci rimanda alla fortuna di un genere letterario, ed alla sensibilità dei lettori che bene illustrano la cultura del tempo. Le Notti, nonostante il loro stile pesante ed oscuro in alcuni passaggi, hanno il merito, come scrisse Pecci nello studio del 1915 (p. 273), di "aver in qual modo influito nella evoluzione di un genere letterario che, dai presuntuosi e barocchi componimenti laudativi arcadici, doveva giungere" ai Sepolcri di Foscolo.

 

 

Note al capitolo VIII

 

[79] "Tutto m’avvolgo nell’orror del monte" (I, I, 1); "Io torno nell’orror della montagna" (II, 1, 2).

[80] Bertòla si differenzia dal "dantismo biblico" che si ritrova nelle Visioni sacre e morali (1749-66) di Alfonso Varano (1705-88), autore caratterizzato da opposizione al pensiero illuministico. Secondo Pecci (p. 253 dello studio del 1915) le Notti Clementine "si riaccostano direttamente al tipo arcadico di visioni laudative", ed hanno "molti elementi comuni pure al tipo Varaniano".


[81] Cfr. su tali lettere nel cit. La filosofia della voluttà.

[82] Cfr. A. Fabi, A. Bertòla per L. A. Bertozzi, cit., p. 263, ove Bertòla è definito “estremamente volubile, aperto ad ogni suggestione, desideroso di mutare luoghi ed incarichi”.

 

 

Note alle Fonti documentarie e bibliografiche

 

[83] La numerazione ufficiale del carteggio FPS non rispetta in molti casi l’esatta successione cronologica. La lettera n. 8.244, datata 7 gennaio 1775 (già cit. in precedenza), viene dopo quella del 19 novembre 1774 che reca invece il n. 8.245: quest’ultima quindi deve aprire il carteggio, mentre diventa 8.245 bis la ex 8.244. Non citiamo, per motivi di spazio, tutte le altre modifiche da noi apportate alla numerazione ufficiale. Carlo Piancastelli (1867-1938) acquistò i carteggi bertoliani nel 1907 dalla contessa riminese Adriana Costa Reghini (1877-1929), moglie del conte Filippo Battaglini (1856-1936), a cui erano pervenuti dal (lontano) congiunto Giambattista Soardi (1790-1875), figlio di Luca e Maria Martinelli, e nipote di Nicola Martinelli nel cui palazzo Bertòla morì. Nicola e Francesco Martinelli erano stati nominati dal poeta esecutori testamentari. A Nicola, Bertòla lasciò libri e scritti conservati a Rimini, sottolineando che tra essi si trovavano "molte Lettere ed altre Carte di Uomini illustri che non sono da trascurarsi". La "Libraria" di Pavia fu invece destinata ad Orintia Romagnoli Sacrati. Giambattista Soardi era nipote di un’Amelia Soardi che nel 1786 sposò Gaetano Francesco Battaglini (1753-1810), tra i cui discendenti ci fu il conte Filippo, marito di Adriana Costa Reghini. Giambattista Soardi fu sepolto nella tomba di famiglia dei Battaglini. All’inizio del xviii sec., lo zio di Aurelio Bertòla, Ercole, aveva avuto in moglie una Battaglini, Isotta. (Nel 1910 la biblioteca del conte Filippo Battaglini, fu messa in vendita a Firenze.) Circa i legami tra i Bertòla ed i Martinelli, in atto del Notaio Urbani [374, Archivio Stato Rimini, vol. 1768, parte i, c. 167 r/v], Cesare Bertolli (fratellastro del poeta) è qualificato "prossimo Parente" del conte Ferdinando Martinelli. [Queste annotazioni sulle carte Bertòla ed il Fondo Piancastelli, sono tolte dal cit. La filosofia della voluttà, p. 89.]

[84] Come già sommariamente anticipato sopra alla nota 2, due lettere di Amaduzzi a Bertòla (datate 3 gennaio 1776 e 5 aprile 1786), sono nella Miscellanea Manoscritta Riminese del Fondo Gambetti [BGR], cartella "Amaduzzi G. C.". La prima contiene l’inedito ‘saggio’ biografico su G. Bianchi (Iano Planco), ricordato da A. Fabi nel cit. Aurelio Bertòla e le polemiche su Giovanni Bianchi, p. 22.

[85] Delle dodici minute di epistole scritte da Amaduzzi a Bertòla, che si trovano in tale codice di FAF, soltanto otto corrispondono ad altrettante lettere conservate in FPS. Come si è accennato sopra alla nota 2, le rimanenti quattro (con le date del 24 gennaio, 28 giugno, 20 agosto 1776, e dell’11 marzo 1789), sostituiscono gli originali perduti. Le epistole amaduzziane disponibili sono quindi 112 a Forlì, 4 a Savignano e 2 a Rimini, per un totale di 118 documenti. Nella lettera del 24 gennaio 1776 leggiamo su Bianchi: "io avea sentito a Roma nell’anno 1766 Planco medesimo ritrattare la sua contrarietà all’innesto [del vaiolo], ed io ho sue lettere nelle quali mi confessa d’aver mutato parere in vista del buon esito, che i Medici ne attestavano". Amaduzzi rimanda alla biografia scritta per Bianchi nell’Antologia Romana (1776, pp. 227-229 e 235-239), ove si trova che Bianchi "s’oppose da prima all’innesto del vajuolo, cedendo in appresso all’evidenza del buon’esito con quel candore, e coraggio, che suole ispirare l’amore della verità nei cuori degli uomini grandi" (p. 229). Bertòla, invece, nel necrologio pubblicato sulla Gazzetta Universale di Firenze, non sapeva di tale conversione, e citava l’opposizione all’inoculazione del vaiolo come "un pregiudizio così contumace" [cfr. nel cit. A. Fabi, Aurelio Bertòla e le polemiche su Giovanni Bianchi, p. 11].

 

 

 

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