Riministoria© Antonio Montanari

Due maestri riminesi al Seminario di Bertinoro.

Lettere inedite (1745-51) a Giovanni Bianchi (Iano Planco)

di Antonio Montanari

 

Parte seconda

5. Lucantonio Cenni

Il 27 settembre 1751 Giovenardi scrive a Bianchi: "sento a dire che il Sig[no]re Abbate Cenni si sia fatto lo sposo, e che sia stato licenziato dal Seminario di Bertinoro". È del 18 settembre la lettera del vescovo a Bianchi: "Ritornato da Ferrara, sentendo compiuta la cerimonia, e per conseguenza pubblicato il matrimonio trà l’Abbate Cenni, e la giovane con cui da tanto tempo pratticava […] non manco di darle rispettoso avviso, rappresentandole il mio grave ramarico".

Bianchi era già al corrente della vicenda sentimentale del suo scolaro. A maggio dello stesso 1751, gli ha inviato quella che Cenni stesso chiama "la dolce esortazione" a lasciar andare certi "pur troppo pericolosi amoretti", a causa dei quali, ma non solo per essi, egli avrebbe voluto lasciare il Seminario di Bertinoro, dove comandavano un cuoco presuntuoso ed un nuovo Prefetto, perfetto "homo bilinguis". A quell’esortazione Cenni ha risposto: "Quanto all’andare a divertirsi, ed attendere agli amoretti, io intendo di far quello che il Capo, e tutta la corte fa". Planco deve avergli suggerito di "prender moglie". Cenni infatti replica: "non mi riesce cosa ora più odiosa di questa stante le mie insufficienti forze, ed il troppo desiderio, che ora ho di vedermi libero, che anzi prego il Cielo a tenermi lontano da una sì pericolosa risoluzione". (24)

Cenni è secolare: non ha voluto divenir sacerdote, nonostante la sua condizione di "pover uomo" lo richiedesse. Ma sentiva di non aver la "vocazione" sufficiente. (25) Sposandosi, si trova tuttavia amaramente accontentato.

Cenni apprende del proprio licenziamento all’inizio dell’agosto 1751. Lo sostituiscono con un prete. (26) Cenni viene accolto nella "corte di Monsig[no]re, dal quale per un mio infortunato accidente ho ricevuto molte distinte convenienze, ed assistenza rimarchevole". (27) L’accidente è la gravidanza della fanciulla da lui frequentata. (28)

Il primo settembre Cenni scrive a Bianchi: "Quanto al mio sinistro accadutomi non posso a meno di non piangere con me stesso, e per sottrarmi da ciò io avea fatto dal canto mio, ma il pessimo consiglio di questo nostro Sig. Vicarjo, e la facile condiscendenza di questo Prelato mi [h]anno condotto a tale stato".

Il "pessimo consiglio" del vicario è spiegato nella lettera successiva (9 ottobre): "feci ogni sforzo per mandare lontana la Giovane, come difatti io feci, perlocché essendo ella lontana mi credeva avere operato ciocché era necessario per sottrarmi da un repentino matrimonjo. Ma è stato al contrario, mentre la mandarono a prendere che era fuori di Diocesi senza mia saputa, e così il Sig[no]r Vicarjo mandò ad effetto quanto forse pensò per lo meglio". Cenni si lamenta soltanto della "poco o nulla decorosa prestezza", perché "di prenderla, io non me ne sono lagnato, e non me ne lagnerò per l’obbligo che mi correva".

Il vescovo, per quanto dispiaciuto a causa di quelle nozze, cerca di aiutare Cenni, raccomandandolo per la scuola pubblica di Bertinoro. L’abate riminese otterrà questo incarico soltanto nel ’58. (29)

6. La fine di un’amicizia

Cenni e Giovenardi un tempo erano stati amici. I loro rapporti ben presto però si guastarono. Quando Giovenardi nel ’49 resta senza posto, Cenni (che gli subentra a Bertinoro), si dichiara disposto a cedergli la cattedra che occupava, con un patto di cui scrive lo stesso Giovenardi: "voleva ancora ch’io gli dassi la mettà di ciò, ch’io avessi ricavato, e disse che così avea pattuito con l’abate Galli". (30) Aggiunge Giovenardi: "Se io avessi campo di mostrarle le lettere del Cenni, vorrei ch’ella le conoscesse che son piene di bugie, e di raggiri poco onesti". (31)

Cenni a suo volta il 14 luglio ’51 racconta a Bianchi di aver parlato ad un’autorità di Meldola dei "progetti, che io li dissi, aver fatto a codesto mio Antecessore, questo Mons[igno]re Ill.mo; ed è rimasto a tale, che egli stenta di crederlo". Cenni sembra sospettare che, a manovrare per la sua cacciata da Bertinoro, sia stato lo stesso Giovenardi, nel frattempo passato a Santarcangelo come canonico. (32) Giovenardi, nella lettera del 27 settembre ’51 con cui informa Bianchi delle nozze di Cenni, ironizza contemporaneamente sul licenziamento del collega e sul vescovo di Bertinoro che lo decretò: "Quel Mons[igno]re è un dappoco, poiché l’abbate Cenni sarebbe stato più diligente per l’avvenire di quello, che sia stato per lo passato, e la sua moglie avrebbe potuto con poca spesa servire ad ambedue". Cenni stava per compiere trent’anni. Mons. Colombani, ne aveva soltanto tre di più. (33) La moglie di Cenni si chiamava Domenica Mangelli. La creatura nata dalla loro storia d’amore, fu una bambina, battezzata il 20 novembre 1751 con i nomi di Rusticiana Lucia Felicia. (34)

Per proseguire : alla parte terza

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