Riministoria© Antonio Montanari

Due maestri riminesi al Seminario di Bertinoro.

Lettere inedite (1745-51) a Giovanni Bianchi (Iano Planco)

di Antonio Montanari

"Studi Romagnoli 1996", pubblicati nel volume apparso nel 1999

 

1. La setta dei Bianchisti

Tra 1749 e 1751 il vescovo di Bertinoro mons. Francesco Maria Colombani indirizzò quattro lettere al celebre medico, scienziato e filosofo riminese Giovanni Bianchi (Iano Planco, 1693-1775). L’argomento principale affrontato in tre di esse (1), riguarda le vicende di due insegnanti riminesi presso il Seminario della stessa diocesi, Mattia Giovenardi e Lucantonio Cenni. In quel giro d’anni, anch’essi furono in rapporto epistolare con Bianchi.

Entrambi appartennero alla "setta" dei "Bianchisti" (2), cioè al gruppo di intellettuali che ruotavano attorno a Bianchi, formando quella "Scuola di Rimino" abituata a segnare le proprie pagine con "velenoso inchiostro". (3) Bianchi aveva creato attorno a sé, nella propria abitazione, un circolo di studiosi e di studenti sia nel liceo privato (4), sia nella rinnovata (1745) Accademia dei Lincei.

Bianchi conobbe il vescovo Colombani il 14 novembre 1749: "Arrivato in Bertinoro m’incontrai subito nel Sig. Vicario del Vesc[ov]o che [era] un tal Ab[at]e Brighi, che era stato a mio tempo, cioè verso l’anno 1720 Scolaro in Bologna. […] Venne poco dopo il sig. Ab[at]e Cenni, col quale e col Sig.r Vicario s’andò alla Rocca, ossia nelle residenza del Vescovo", che, partito per Meldola, giunse soltanto nel pomeriggio. Dopo il pranzo al Seminario, dove "si mangiò alquanto", ci fu una visita alla chiesa nuova ("assai propria, e bella") delle Monache Benedettine, dove Bianchi s’incontrò con alcune di loro: "si parlò con una Sig.ra Fontani Monaca Gentildonna di Cesena, giovane, e poi con la Madre Camerlenga, che era di Forlì bella giovane, e spiritosa, e con altra Monaca di Ravenna figliuola del Sig. Avv[ocat]o Giorgetti bellissima giovane". (5)

Giovenardi e Cenni lavorarono a Bertinoro rispettivamente dal 1745 al ’49, e dal ’49 al ’51.

Il canonico Mattia Giovenardi (6) proviene dalla dinastia che espresse tre arcipreti della parrocchia riminese di San Vito, Gaudenzo (1683-1749), Giampaolo (1708-1789) e Giovenardo (1758-1841). Egli era cugino di Giampaolo, il quale pronuncerà l’elogio funebre di Bianchi (7), su indicazione testamentaria di quest’ultimo. (8) Da una lettera di Giampaolo a Bianchi, sappiamo che Mattia fu autore di "novelle". (9) "Bravo discepolo di Bianchi, e dotto assai nelle Scienze migliori, nella Filosofia cioè, e nelle Matematiche", lo definì L. Tonini (10), sulla scorta di quanto aveva scritto Giampaolo Giovenardi: "uomo quanto modesto, ed umile, altrettanto versato nelle Filosofiche cose, e nelle Matematiche, ed in ogni maniera di Scienze, Sacre e Profane, e peritissimo nelle Lingue Latina, Greca, ed Ebraica". (11) Mattia fece parte dei Lincei planchiani sin dalla loro fondazione. (12)

Anche Lucantonio Cenni fu allievo di Bianchi (13) che nel 1750 lo nominò Linceo, dopo un tirocinio durato "per aliquot annos", durante i quali Cenni recitò "dissertationes aliquas" nell’Accademia riminese (14). Cenni è poeta degno di qualche menzione, se Carlo Tonini nella sua Coltura gli ha dedicato cinque pagine. (15) Nato nel 1721, oltre che pubblico maestro di Lettere, fu anche regista ed attore, recitando pure, secondo gli usi del tempo, in parti femminili. (16) Nel ’69 scrisse un Componimento drammatico per l’avvento al Sommo Pontificato di Clemente XIV, pubblicato a Fano. Cenni fu raccomandato a mons. Colombani da Bianchi "per mezzo del sig[no]r Co[nte] Garampi". (17)

Nelle epistole che Cenni e Mattia Giovenardi inviarono a Bianchi, troviamo oltre ai chiarimenti indispensabili per comprendere le vicende di cui furono protagonisti (e su cui nelle lettere di mons. Colombani incontriamo soltanto vaghi accenni), anche numerose informazioni sulla vita a Bertinoro e nel suo Seminario. (18)

Sia Mattia Giovenardi sia Cenni furono cacciati dalla loro cattedra, per cattiva condotta. Di Cenni sappiamo che si sposò. (19)

2. Mattia Giovenardi

Del comportamento di Giovenardi, il vescovo tratta nella lettera del 19 marzo 1749, dopo averlo appena licenziato. È un riferimento indiretto, mentre sta raccontando a Bianchi di Cenni: "avrò per lui tutta la parzialità, basta solo, che volentieri affatichi nelle Lettere, e non manchi alla convenienza, del che non lo voglio credere capace, non parendomi dell’indole del Giovenardi". Nella successiva lettera, datata 3 maggio ’49, il vescovo ricorda le "male procedure del Giovenardi", aggiungendo a Bianchi: "La supplico a dispensarmi da qualsiasi attestato da Lui non ricercato, e per cui potrebbe forse far comparire non affatto vere le cose, che egli hà operato senza convenienza, e per cui prego il Sig[no]re ad illuminarlo, e scioglierlo dalla sua testardaggine".

È Cenni ad informare Bianchi il 30 aprile ’49: "Godo poi che il Sig. D[on] Giovenardi venga giovato dagli amici col volerlo trar fuori dalle taverne di Cesena". Non sappiamo precisare, in base ai documenti esistenti, se il comportamento di quei giorni fosse abituale per Giovenardi, o soltanto una conseguenza momentanea della sua vicenda.

Il 3 maggio Cenni dà notizia della partenza dal Seminario di un ragazzo "che l’istesso Giovenardi si vantò a presso alcuni che già sarebbe partito, ed altri ancora partiranno. La qual cosa esaccerbò oltremodo l’animo di Monsignore". Sull’episodio Giovenardi osserva il 12 dicembre ’49 nella lettera scritta a Bianchi da Savignano: "La colera di quel Monsig[no]re si è accresciuta, perché un seminarista, che recitava nella commedia, si partì subito dopo, che io fui licenziato, il che egli vuole che sia stato fatto da me per farli dispetto".

Giovenardi, subito dopo la sua espulsione, il 9 febbraio ’49 aveva scritto da Cesena: "Il V[escov]o di Bertinoro non si è contentato di cacciarmi via dal Seminario, dalla Diocesi; ma ancora ha procurato di farmi catturare quì in Cesena, e se dal V[escov]o di Cesena io non era avvertito, sarei caduto nella trappola. Io temo di molto che non tenti lo stesso in codesta Diocesi di Rimino; e perciò io prego V[ostra] S[ignori]a Ill.ma, ed Eccel.ma a procurare che il V[escov]o di Rimino non sottoscriva il mandato di quel V[escov]o fanatico di Bertinoro, acciocché almeno io possa ritornare a casa sicuramente".

La lettera reca come post scriptum: "Si crede ancora che quel fanatico di V[escov]o abbia impiegato la Legazioardinale santarcangiolese Lorenzo Ganganelli, il futuro Clemente XIV. Amaduzzi ha 22 anni, Ganganelli 57. Fra la visita ad un museo e la consultazione di una biblioteca, Amaduzzi ha anche tempo per allacciare rapporti con altri studiosi.

Dotato di un carattere vivace e battagliero, Amaduzzi per le sue idee politiche e religiose, nella Roma di Clemente XIII (1758-69) non ha vita facile. Agli occhi di molti lo rendono sospetto i rapporti che intrattiene con ecclesiastici chiamati giansettera, subito prima Giovenardi ha riferito: "Monsig[no]re Colombani scrisse a quello di Cesena che io era fuggito dalla sua Diocesi, quando egli mi avea comandato ch’io sloggiassi dal Seminario, e dalla Diocesi in termine di tre giorni, nel che fu ubidito prontamente".

3. Lo zio Arciprete

Il 28 ottobre ’48 Giovenardi aveva scritto a Bianchi: "Io poi non ho accettato la scuola di Savignano, siccome da principio io aveva deliberato fra me stesso, dalla quale deliberazione [di non accettare, n.d.r.] m’avea distolto mio zio Arciprete [Gaudenzo, n.d.r.], il quale avendomi fatto fare la prima corbelleria di lasciare il Seminario di Rimino, ora mi voleva far fare la seconda persuadendomi ad abandonare questo di Bertinoro". Non troviamo spiegato nei documenti il perché lo zio fosse giunto a questi suggerimenti.

Nei confronti dello zio (che scompare all’inizio del ’49), Mattia non è tenero. Il 5 novembre ’48 scrive: "A questa volta io non ho fatto la corbelleria di abandonare questo Seminario [di Bertinoro, n.d.r.], e me ne trovo molto contento. […] Io sono allei di molto obbligato di questo ancora, perché già mio zio mi aveva quasi indotto, scrivendomi che ella approvava di molto una tal cosa; quando ella per sua gentilezza mi ha scritto tutto il contrario".

Infatti il 29 ottobre ’48 Bianchi ha comunicato (21) a Mattia Giovenardi: "Io credo che abbia fatto bene a non accettare la Scuola di Savignano per la ragione che le dissi che è meglio ad avere che fare con un galantuomo solo, che con tante teste d’un consiglio, nel quale di più entrino de’ villani, senzaché quei di Savignano sono più dati al giuoco che ad altra cosa, la onde andando là poco onore, e meno utile ci avrebbe ricavato".

4. "Una colonna dipinta"

Giovenardi era giunto a Bertinoro nell’ottobre ’45, quand’era vescovo Gaetano Galvani. (22) La prima impressione sul paese è questa: "non mi è venuto fatto di poter ritrovare alcuna cosa ordinaria, non che singolare; onde io conosco esser vero ciò, che dicono: A Bertinoro sol son buoni i vini". (23) Nella stessa epistola si legge di "una colonna dipinta con molte annella di ferro attorno, la quale dicono i Bertinoresi che era di marmo posta in mezo la piazza; alle annella della quale anticamente i forastieri legavano i loro giumenti. Io non [so] con quale fondamento ciò asseriscono: è vero che a tempi antichi si davano le fiere […], ma queste si facevano un miglio e mezo in circa lontano da Bertinoro; onde io non so capire, come i forastieri si volessero incomodare di venire a legare i loro giumenti quasi sulla cima di questo monte, dove è posta la piazza di Bertinoro".

 

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