Riministoria

Antonio Montanari, Scienza e Carità

14.

Profilo di un pediatra, Ugo Gobbi

 

Come nasce un grande medico pediatra. Il professor Ugo Gobbi racconta la sua vita di scienziato con il distacco di chi, pur consapevole di aver raggiunto importanti risultati nella propria attività, guarda il passato con occhio mai ambizioso e con una forte dose di ironia con cui confezionare il discorso. All’inizio del nostro colloquio, infatti egli cerca cordialmente di depistarci, parlando dei suoi interessi giovanili per i francobolli e per il teatro dei burattini, saltando poi a quelli attuali riguardanti la maiolica di Faenza del ’700, materia in cui è esperto di grande livello. Poi finalmente ci accompagna in un percorso della memoria nel quale ogni tappa ed ogni particolare rivivono con vivezza e passioni quasi fossero fatti del giorno.

È la passione chi a diciotto anni, nel 1939, quando inizia la seconda guerra mondiale, s’iscrive alla facoltà di Medicina dell’Università di Bologna, e nel tempo libero, anziché andare al mare o al caffè, inizia subito ad esercitarsi presso l’Ospedale Civile di Rimini, dove trascorre almeno sei mesi di vita all’anno: "Svolgevo tante ricerche di laboratorio. A fare gli esami delle urine, a colorare gli strisci di sangue, a cercare i parassiti microscopici nelle feci, naturalmente maneggiando pappagalli e padelle, imparai da Enrico, l’infermiere generico addetto al laboratorio (allora non c’erano tecnici diplomati…). Una volta ho acchiappato diciotto topi al Mulino Canaletti. C’erano stati in Ospedale due casi mortali di leptospirosi ittero-emorragica. I malati urinavano sangue ed avevano un’itterizia grave. Comprai di tasca mia una gran gabbia che portai a casa, e vi misi i topi. Per potere eseguire l’autopsia, li affogavo nella vasca dove mia mamma lavava i panni (e lei si lamentava, come penso faccia ancora, poveretta, dalla tomba). Passai tutta l’estate a colorare fegato, milza e reni di questi topi per guardarli al microscopio e per cercare la leptospira ittero-emorragica. Ne trovai una dubbia, su… tremila vetrini o più".

A ventiquattr’anni, la laurea. Siamo nel 1945. Gobbi si è sposato nel ’41 ed ha già due figli. La guerra gli ha distrutto la casa di via Marco Minghetti 48. Quando inizia a frequentare il corso di specializzazione in Clinica pediatrica, egli sa "fare già tutto quello che doveva saper fare un assistente universitario", grazie all’esperienza acquisita al nostro nosocomio. Svolge da solo l’attività di laboratorio, consapevole dell’importanza della lettura da parte del medico dei risultati di un’indagine: "Per diagnosticare una leucemia, è inutile mandare i vetrini in laboratorio. Bisogna che uno se li veda da solo, così può fare tante cose… Ho dovuto imparare da solo, e spontaneamente, anche il mestiere di radiologo".

Il 30 giugno ’47 Gobbi si specializza a Bologna. Il giorno dopo ritorna a Rimini, dove cerca di "aprire un buco di ambulatorio". Per quattro anni esercita la libera professione come Pediatra, "però continuando a stare attaccato un po’ a Bologna" (dove nei momenti liberi frequenta la Clinica universitaria), e scrivendo pubblicazioni, per mantenersi aggiornato e per non distaccarsi dal "filone dello studio".

In questi anni Gobbi si dedica ad una ricerca particolare, su cui non ha mai pubblicato nulla, pur avendone parlato in numerosi congressi medici [1], riguardante l’alimentazione degli adulti e gli effetti positivi delle diete ricche di pesce azzurro per la prevenzione delle malattie circolatorie. Egli precorre i risultati scientifici apparsi quasi mezzo secolo dopo sulle riviste scientifiche, a proposito dell’uso dell’olio di pesce a difesa del cuore.

Nel ’52 alla morte del professor Manlio Monticelli, primario Pediatra dell’Aiuto Materno, Gobbi viene chiamato a sostituirlo, "appoggiato dai colleghi Adolfo Fochessati (che era il primario ginecologo), Luigi Guerrieri, Sergio Lazzari e Walter Montanari: i medici volevano me! Anche il dottor Bongiorno, presidente dell’Istituto, mi appoggiava. Andai a ripescare il microscopio e tutto quello che era in cantina per il laboratorio. Se c’era qualche cosa, la si mandava all’Ospedale per le verifiche necessarie, e del laboratorio non si parlava".

Gobbi resta all’Aiuto Materno dal ’52 al gennaio ’60 quando riceve l’incarico di Primario nel nuovo reparto pediatrico "Vincini" del nostro Ospedale Civile: "Siccome era un incarico e siccome annusavo arie poco buone per me, ho conservato il posto come consulente dell’Aiuto Materno, e dirigente (non retribuito) della sezione immaturi e neonati".

Prima del reparto "Vincini", a Rimini non esisteva Pediatria: "La facevamo soltanto noi all’Aiuto Materno. Ma era inadeguata per mille motivi. Chiamarono me all’Ospedale Civile perché avevo già allestito Pediatria a Cesena nel ’59". Il reparto deriva il suo nome dal lascito del professor Lodovico Vincini, "grande figura di filantropo che fu primario chirurgo per oltre un trentennio nella nostra città, alla quale offrì il suo cospicuo patrimonio per far sorgere la divisione pediatrica, intestata alla madre Adelaide Carrara Vincini. Egli aveva donato all’Ospedale civile anche il gabinetto radiologico con i più moderni apparecchi".

Dunque, l’attività all’Aiuto Materno. I suoi collaboratori, Gobbi li ricorda con stima ed affetto. La dottoressa Caterina Riganelli, quando la conosce, nel suo tempo libero "lavorava con i ferri a maglia, ed era bravissima. All’inizio avemmo qualche incontro anche un po’ duro, perché io volevo che lei si aggiornasse. Poi prese tanta passione che nel tempo libero faceva ancora ai ferri, ma contemporaneamente leggeva le riviste e i libri di Medicina. E mi accettò, pur avendo lei venti anni più di me. Era stata sempre lì, soltanto che vedeva che c’era uno spirito nuovo nell’Ospedalino". A proposito del laboratorio interno all’Aiuto Materno: "Le urine, il liquor, il sangue per gli esami, li ‘facevo’ io, e molto bravi erano anche Francini e sua moglie, Maria Luisa Scoccianti che andò in Svizzera con una piccola borsa di studio, per imparare la Neuropsichiatria infantile: stette un semestre a Mendrisio e a Bellinzona".

L’ambiente dell’Aiuto Materno è piccolo, ma il suo raggio d’azione si estende. Gobbi apre ambulatori nel Montefeltro, a Novafeltria, Pennabilli e Perticara: "Andavo a fare l’ambulatorio per l’Opera Nazionale Maternità ed Infanzia con un motorino che mi procurava forti mal di schiena perché la strada era tutta una buca".

Ospedale Civile di Rimini, gennaio 1960, si è detto. L’incarico ricevuto da Gobbi può diventare il posto di primario? Il concorso dura due anni: "una nefandezza in tutto", così lo definì il prof. Massimo Severo Giannini.

Così nel ’62 Gobbi ritorna all’Aiuto Materno, "con la disperazione di trovare un ambiente assolutamente inadeguato: avevo lasciato un Ospedalino che era bello, ordinato, che avevo fatto pezzo per pezzo, e mi trovo in quella disperazione". Ma in quello stesso ’62 accade un fatto che Gobbi chiama "provvidenziale". Teresa Bronzetti, un’amica di sua madre, alla quale spesso portava uova e galline dal proprio ‘fondo’ sulla via Flaminia, vuol "fare qualcosa" per ricordare il proprio fratello Guglielmo, morto due anni prima. Teresa Bronzetti si confida con la madre del professor Gobbi, la quale le suggerisce di "aiutare l’Ospedalino" dove lavora il figlio. Detto, fatto. Teresa Bronzetti si dichiara disposta a donare "tutto" perché si costruisca un "Ospedale per bambini", dedicato alle memoria di suo fratello Guglielmo, che era stato commerciante, con negozio di scarpe lungo il corso d’Augusto.

Il professor Bruno Marabini, primario di Medicina all’Ospedale Civile di Rimini ed artista di larga fama, scolpisce un bronzo con il ritratto di Guglielmo Bronzetti, che viene collocato all’ingresso dell’Ospedalino. Quel bronzo è poi sparito: "Possibile che sia stato rubato? Assieme al ritratto è sparito anche ogni segno che il locale è stato donato dai Bronzetti". Lì, adesso, ci sono gli uffici dell’Azienda sanitaria pubblica.

L’Ospedale Bronzetti è stato costruito "con un’economia da spilorci", bisognava non superare gli ottantacinque milioni dati da Teresa Bronzetti in contanti. Gobbi controlla che l’intonaco sia dello spessore previsto dal capitolato, che il ferro delle porte non sia ‘normale’ ma della qualità concordata, e quando vede che le cose non vanno, fa rifare. L’Ospedale Bronzetti è aperto nell’ottobre ’66: "C’erano delle innovazioni rispetto agli standard universitari, come le nove camere che ospitavano gli immaturi e le loro mamme, cunicoli di due metri per due, con pressione atmosferica superiore di mezzo grado a quella del corridoio, per creare un flusso laminare grazie al quale l’aria poteva uscire ma non entrare, così rimanevano fuori germi e polvere, con un ricambio di circolo ventitré volte superiore a quello delle incubatrici".

L’Ospedalino ha ottanta posti letto, ma nell’estate del ’67 raggiunge anche punte di cento presenze. Il reparto di Neonatologia, al pari di quello per gli immaturi, ha box singoli ove soggiorna anche la mamma. "Pediatria ha quattro camere singole per l’osservazione del paziente dal momento del ricovero fino al chiarimento della patologie. Nelle camere a due letti si ospitano pazienti con patologie compatibili. Quelle a quattro letti sono per bambini convalescenti, della stessa fascia di età, ai quali le due assistenti sociali allietavano la degenza. Particolari poltrone-letto per la madre o un congiunto permettevano un’affettuosa assistenza 24 ore su 24, senza creare superaffollamento o disordine".

Tra gli studi effettuati dopo il ritorno all’Aiuto Materno, Gobbi ricorda quello sul colostro, il primo latte: "Nei primi due o tre giorni il latte della donna ha una densità particolare, un colore giallognolo. È il proseguimento del corpo della mamma che viene trasmesso al figlio. L’ho già scritto da allora, metà anni ’60. Adesso sono tutti d’accordo che il colostro sia indispensabile, ma non perché l’ho scritto io, ma perché se ne sono accorti…".

Allora c’erano molte ostetriche che prelevavano il colostro "e prendevano la percentuale dalle ditte del latte: secondo loro non era necessario che la donna allattasse subito, "tanto che cosa fa", dicevano". Il colostro "è ricchissimo di proteine alimentari, ed è scarso di glucosio (che farebbe soltanto male in questa fase). E poi contiene anticorpi ed enzimi. E il bambino, più piccolo è, più ne ha bisogno per la sua immunità primaria contro le infezioni, soprattutto a livello intestinale". Allora con il prof. Maggioni dell’Università di Roma, Gobbi scrive "L’alimentazione del bambino sano e malato": "Mi sono trovato quasi ad accapigliarmi con le ditte farmaceutiche: negli anni ’60 sembrava che il latte di donna facesse male. Andava bene soltanto il latte artificiale. Pazzia". In una conferenza a Bologna, Gobbi spiega che "il colostro è un latte in cui la stagnazione provoca l’infiammazione. Un ostetrico dell’Università non avendo capito niente di questi concetti, commenta: ‘Quindi dobbiamo dare gli antibiotici’".

In quegli anni Gobbi stringe "la grande alleanza" con il professor Giorgio Perazzo, primario chirurgo del nostro Ospedale Civile: "Studiavo il caso, glielo esponevo e gli dicevo: "Domani professore le porto questo bambino…". Se era titubante, aggiungevo che mi ero già compromesso con i genitori dicendo che lui lo avrebbe operato, "se non lo fa lei, lo portano a Bologna…". Sentendo il nome di Bologna, cessavano i dubbi, e la risposta era subito affermativa. Perazzo operava, e la degenza proseguiva all’Ospedalino. Per altri casi intervenne come chirurgo, presso la Casa di Cura Contarini, il professor Giorgio Montanari, altro ottimo chirurgo. Con lui salvammo la vita del figlio di un nostro collega operato al pancreas che aveva quattro giorni di vita".

"Abbiamo fatto tanta chirurgia. Direi che un po’ di buon nome me lo sono fatto perché così ho salvato tanti bambini che altrimenti sarebbero morti. Ci stavo su le notti intere a studiare i singoli casi, la mattina dopo se ero convinto, mi assumevo tutte le responsabilità. Non pensavo ai rischi che correvo ("Se mi va male mi saltano addosso, se mi va bene al massimo mi dicono grazie"). Questo è il dato importante. Che il medico si assuma le responsabilità, allora il chirurgo può procedere. Specialmente in malattie che non erano note, abbiamo eseguito interventi ‘stranissimi’. Al prof. Conti (un riminese, allora era a Modena, adesso a Bologna), ho fatto operare quattro casi con difficoltà respiratorie che hanno sempre esito letale. Bisogna intervenire al primo o secondo giorno di vita. Tutti i quattro casi si sono risolti felicemente. Avevo visto che i bambini respiravano male, e mi sono messo a ricercare la causa del disturbo. Una volta il prof. Massera era in studio con me, e vedeva che mi tenevo la testa tra le mani, e mi davo i pugni sul capo… Volevo risolvere il caso, e a forza di studiarci sopra ci sono riuscito".

Come ricorda, il professor Gobbi, la Rimini della sua giovinezza, negli anni ’40? "La gran parte della gioventù studiosa riminese non prese parte alla lotta politica ed il dissenso lo manifestava con goliardici sbeffeggi a personaggi come Storace, ed a manifestazioni del regime. Soltanto Guido Nozzoli e Gino Pagliarani hanno realmente cospirato contro il regime fascista. Diverso era il sentire fra i giovani lavoratori dei borghi ove era tradizionalmente operante un diffuso sentimento antifascista, con padri anarchici, comunisti o cattolici popolari. Capelli, Nicolò e Pagliarani, i tre martiri riminesi, non erano studenti".

Sulla vita che si svolgeva all’Ospedale Civile, Gobbi dice: "Il primario di Medicina era il professor Achille Sega, aristocratica figura di medico e di studioso, di lunga carriera universitaria, meno interessato per pazienti routinari, del resto ben seguiti dall’aiuto dottor Armando Fonti Gabici, che praticamente viveva in ospedale, si impegnava con tutta la sua notevolissima cultura a risolvere problemi diagnostici che si presentavano in malattie estremamente rare o mai descritte".

Medicina di ieri: "Augusto Murri è, al di sopra di epoche e scoperte, il Maestro a cui ogni medico deve riferirsi se vuole arrivare alla diagnosi. Il metodo induttivo è quello che porta dal sintomo alla diagnosi. Oggi purtroppo si crede che far eseguire un gran numero di esami sia il modo migliore per arrivare alla conclusione, senza cogliere una rigorosa storia del paziente, recente e remota, delle sua abitudini alimentari, dei suoi viaggi, delle malattie sofferte e dei disturbi accusati, nonché delle malattie famigliari e anche degli avi; e senza un’accurata visita del paziente".

Fra i tanti colleghi nella professione, chi desidera ancora ricordare? "Non posso dimenticare il dottor Alfonso Jorio, direttore del Dispensario antitubercolare, medico di notevole valore e di grande umanità, morto purtroppo giovane, e che volle lo seguissi come medico di fiducia durante la non breve e spietata malattia. Suo figlio Domenico, valente ricercatore, alla carriera ha preferito la famiglia, per stare vicino a sua madre ed alle sue radici, per vivere in campagna: oggi è primario medico all’Ospedale di Santarcangelo. Poi, c’è Antonio Bortolotti, medico condotto in Rimini, che esercitava la professione con grande onestà intellettuale oltreché pecuniaria".

Medicina di oggi. Quali suggerimenti potrebbe dare il professor Gobbi ad un giovane medico perché si appassioni alla ricerca scientifica? "Panta rei, tutto scorre e tutto cambia. Oggi l’Università ha assunto l’aspetto di un liceo. Gli studenti vengono indottrinati di tanta cultura, istruiti ma non educati. Un giovane si laurea con lode, senza saper distinguere nel malato una polmonite da una pleurite, senza saper palpare un addome. Non so proprio dove si andrà a finire, pertanto non so dare suggerimenti. Altra cosa è la ricerca scientifica. Se un giovane non ha problemi economici oppure ha capacità di sopravvivere con pochi spiccioli, se ha molta curiosità ed interesse per il sapere, se si sente di fare una vita eroica, cerchi di entrare come interno in un Istituto di buon nome e rimanga a sgobbare per anni, fino ad avere una borsa di studio e poi vincere un concorso per ricercatore, ricevendo uno stipendio inferiore a quello di un netturbino. Chi voglia far coincidere benessere economico ed una decorosa professionalità può fare il dermatologo, il dentista o una di quelle nuove specialità di moda: il dietologo, lo psicologo, il reumatologo o il fisiatra. Tuttavia ad un giovane, prima di iscriversi a medicina, consiglierei di leggere La cittadella e Le stelle stanno a guardare, e poi riflettere bene per capire con chi vuol stare."

 

[1] Cfr. R. Bulgarelli, Puericultura, quinta ed. 1984, p. 514: "Riguardo al contenuto in grassi, è da ricordare però (come ha sottolineato recentemente Gobbi: 1982) che i "pesci azzurri" contengono in notevole quantità acidi grassi poli-insaturi; si tratta delle sardine, delle acciughe, delle alacce (chiamate anche "sardoni"), degli sgombri, delle aguglie, ecc.".

FINE

Torni al sommario di Scienza e Carità

All'indice * Per il Rimino * Posta

Questo è l'unico sito con pagine aggiornate sull'Accademia dei Filopatridi e sul Centro studi intestato a Giovanni Cristofano Amaduzzi di Savignano sul Rubicone: Storia dell'Accademia dei Filopatridi, notizie sull'Accademia. Centro amaduzziano.

© riministoria - il rimino - riminilibri - antonio montanari - rimini