La
ripresa della filosofia platonica e il problema della molteplicità dell’Essere
Il sistema filosofico di Plotino rappresenta una delle più ardite e complesse costruzioni metafisiche dell’intera storia della filosofia e incarna uno dei momenti più alti del pensiero occidentale.
Al centro della
riflessione di Plotino è il problema dell’essere:
quale struttura esso abbia, come possano conciliarsi unità e molteplicità,
immobilità e movimento, eternità e tempo.
Platone aveva
introdotto il “mondo delle idee” per fondare L’esistenza di un “mondo delle
cose” e, tra le idee, aveva attribuito al Bene un primato gnoseologico, ma non
ontologico: non era perciò possibile rintracciare un ordine preciso o una
gerarchia di tipo ontologico all’interno del mondo ideale su tale base. La
molteplicità dell’universo fisico sembrava così permanere e riflettersi
nell’universo metafisico. La molteplicità implica sempre, in qualche modo, il
non-essere, una mancanza, un difetto di essere.
La ricerca di
una soluzione all’irrisolto problema della molteplicità dell’Essere,
costituisce il filo conduttore dell’intera speculazione filosofica plotiniana.
La sua filosofia
sarà la linfa di cui si alimenterà non solo il pensiero pagano dei successivi
tre secoli, ma anche quello cristiano, fino a Nicolò Cusano e Marsilio Ficino (XV sec. d.C.).
Questi i capisaldi del pensiero di Plotino:
§
L’Uno come suprema realtà e condizione di pensabilità del
molteplice;
§
La dottrina delle tre ipostasi (Uno,Intelletto o
Spirito,Anima) che articolano il procedere della realtà, intelligibile e
sensibile, dall’Uno; della molteplicità dall’unità;
§
La concezione della materia come estremo grado di
lontananza dall’Uno, come non-essere;
§
Il cammino di ritorno dell’anima – sospesa
tra sensibile e intelligibile, ombra e luce – all’Uno, attraverso le tre vie
della virtù, della bellezza e del sapere, sino all’estasi che è ricongiungimento con
l’Uno.
La vita di Plotino è tutta nella sua opera. E l’opera è tutta
nel suo pensiero. La dottrina che egli costruì, nella interpretazione originale
del platonismo, diviene metodo per raggiungere la realtà spirituale. E’ via e
meta, viaggio e riposo, vita intellettuale e vita morale: logica ed etica.
Egli afferma che
solo le cose divine – in tre gradi: Anima, Spirito, Uno – hanno realtà.
Principio assoluto, tutto solitario in se stesso, è l’Uno, il Primo, il Semplice, l’Indiviso. Potremmo dargli infiniti nomi, ma nessuno gli si addice: nessun nome è il suo, essendo del tutto ineffabile. Egli non è nulla, perché non c’è in lui nulla di distinto; ma è tutto, perché è la potenza di tutte le cose.
L’Uno non è
neppure essere, perché “essere” significa “essere qualcosa”; ed Egli non è
nulla: inoltre è al di sopra dell’Essere, è sempre Ipostasi, che vuol dire”soggetto
esistente”, con un contenuto positivo per quanto indeterminato.
L’essere è
sempre subordinato all’Uno. L’Uno è principio dell’essere; ed è anche principio
del pensiero.
Bisogna però
giustificare perché l’Uno, così unico e solo, esce dalla sua unicità solitaria
per dare origine a un secondo e a un terzo termine. E’ il problema della processione, altresì detta
emanazione, concetto capitale della metafisica plotiniana, che può essere
definita come la maniera con cui le
forme della realtà dipendono le une dalle altre e la ragione per cui la forma
inferiore scaturisce dalla superiore.
La realtà,
assommata nell’unità e contratta in essa, si dispiega e distende per gradi
necessari che sono le categorie del divino. Naturalmente questa processione, secondo la quale
una ipostasi nasce da
un’altra, ha un carattere eterno.
La loro
successione è solo logica, non è temporale.
Si tratta,
insomma, di una generazione, necessaria ed eterna, che muove dalla Realtà prima
e si prolunga all’infinito.
Ogni termine
inferiore trae dal superiore la virtù che diviene sua, senza che questo perda
nulla di sé; e a sua volta dà senza perdere. La vita spirituale cresce senza
scemare mai, così nella sfera metafisica come nella esperienza intima di ognuno
di noi.
“Tutte le cose –
dice Plotino – sono come una vita unica che si
estende in linea retta; ciascuno dei punti successivi della linea è differente;
ma la linea intera è continua; essa ha punti incessantemente diversi; ma il
punto anteriore non perisce affatto nel punto che segue” (V 2, 2).
E’ il centro, tra l’Uno e l’Anima, e segna il confine – infinito – tra ciò che trascende e ciò che immane, che è l’Anima. Non è possibile applicare ad esso, rigorosamente, l’una o l’altra di queste espressioni chiuse, poiché si potrebbe, in un’eterna antinomia, dimostrare con pari legittimità che lo Spirito è immanente e che è trascendente. Lo Spirito (noùs) è l’essere, è il pensiero, è il mondo intelligibile.
In esso trascendenza e immanenza si incontrano.
Lo Spirito è l’Uno disteso e l’Anima che si concentra.
La realtà indistinta dell’Uno si espande in una totalità, e la molteplicità
dell’Anima si concentra in una totalità unica.
Lo Spirito è anzitutto essere. L’essere o l’essenza
è il contenuto positivo, pieno e concreto, del reale: è quello che non può
essere negato; sfugge al dubbio e reca in sé la certezza, la verità, la
capacità di essere compreso ed espresso come tutto, alla maniera parmenidea.
L’essere è l’oggetto del conoscere, l’oggetto necessario del pensiero, poiché
il nulla non solo non è ma non può essere pensato. L’essere è perciò
intelligibile, anzi è l’Intelligibile; è il pensato.
Ma, se lo Spirito è in primo luogo essere, esso è
allo stesso tempo pensiero e intelligenza. L’intelligenza è il soggetto che
conosce l’essere o l’essenza. Tra l’Essere o Intelligibile – oggetto conosciuto
– e il Pensiero o Intelligenza – che è il soggetto conoscente – occorre
ammettere una distinzione: l’essere è prima posto come realtà in atto, essenza
ontologica, poi come atto di pensiero la cui virtualità e astrazione
s’attualizza nel momento in cui apprende intuitivamente l’essere.
Tale distinzione, naturalmente, è solo logica; in
realtà essere e pensiero sono la stessa cosa: gli oggetti dello spirito sono
dentro lo spirito: l’intelligibile è contenuto nella stessa Intelligenza e ne
costituisce l’essenza; ovvero, sul piano ontologico l’essere è soggetto e
oggetto del pensiero.
Inoltre si passa dallo Spirito ipostatico al nostro
spirito.
L’uomo stesso, il vero uomo, che è la sua anima, è
per Plotino, che riprende la “Teoria delle Idee”
platonica, pur esso nello Spirito.
E’ la parte più umana della Realtà che è
tutta divina e spirituale in se stessa, ma che con questo anello si collega al
mondo sensibile, nel quale irraggia il divino: è la più umana e la meno divina ipostasi. Rifacendosi ancora a
Platone, Plotino la chiama dèmone, poiché è
proprio della natura demonica essere intermediaria tra due termini. L’Anima è
dèmone, mentre lo Spirito è Dio.
Poiché la distanza ideale tra spirito e
senso è infinita, poiché il primo fa capo alla infinità dell’Uno e l’altro
precipita verso il nulla della materia (la materia è non-essere), l’Anima ha
una vasta valenza metafisica e tocca perciò tutti i gradi, tutti i valori,
tutti gli aspetti della realtà: tutta l’esperienza. Per merito della sua
capacità di assimilazione può coincidere con il mondo superiore e con quello
inferiore. Salire è bene; discendere è male.
Pertanto l’Anima è così mobile e varia,
nell’immoto sopramondo delle ipostasi,
che sembra non potersi chiamare rigorosamente sostanza. Più che una sostanza, è
uno slancio, un movimento. L’Anima quando è in alto è più “se stessa” di quando
è in basso, appunto perché, avvicinatasi maggiormente all’unitaria fonte
generatrice, si è confusa con lo Spirito nell’unità originaria. La sua natura
vera si afferma nello slancio verso il Bene, si nega invece nella rapidità
dell’inanimato e dell’informe.
L’Anima è, di volta in volta, Anima
universale e cosmica, appunto perché da ipostatica che era, si fa creatrice del
mondo; ed è poi anima umana, individuale. L’Anima del mondo comporta che non
l’Anima sia nel mondo, ma che il mondo sia nell’Anima la quale lo tiene alto
nelle sue braccia e somiglia al mare che impregna di sé la rete che vi si
immerge.
L’Anima stessa, cedendo a un suo destino
temerario per il quale è bramosa di individualità, si frantuma, per così dire,
nella serie infinita delle Anime particolari.
E qui cade nel male, nella mortalità
dell’individuale, per risollevarsi nella immortalità universale, ove non c’è
più neppure la memoria della miserie terrene.
L’impianto metafisico del pensiero di Plotino, con la dottrina dell’Uno e delle ipostasi, lo conduce a impostare
con grande originalità un problema centrale anche nella dottrina platonica,
quello della materia.
Di qui deriva una soluzione del problema
del male, destinata a influenzare profondamente la successiva filosofia
cristiana.
La materia per Plotino
non è che il prodotto estremo di un processo degenerativo della irradiazione dall’Uno e
dell’Uno; è il margine d’ombra al limitare della luce, è mancanza e privazione
di bene. Ma non è, propriamente, il male. Il male, infatti, sta nella rinuncia
dell’anima a percorrere la strada che riconduce all’Uno, è la “scelta” di
rimanere nelle tenebre, è assenza di misura, indeterminatezza, instabilità,
passività, non essere: esso, in definitiva, “non è sostanza” (Enneadi,I,8,3).
Bibliografia
V. Cilento, Lezioni su Plotino,
Bari, 1958
Cioffi, O’Brien, Vigorelli, Zanette, Diàlogos,
filosofia antica e medievale, Ed. Mondadori
N. Abbagnano, G. Fornero, Filosofi e
filosofie nella storia, Torino, 1992, Ed. Paravia
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