“Per Oliviero Rainaldi, ogni materia dà origine a un proprio dialogo specifico: la terracotta ha l’odore della madre Terra e dell’iconografia primitiva, il luminoso candore del gesso sottintende uno spirito puro ed incontaminato, l’uso del bronzo porta con sé il peso del cerimoniale religioso e della tradizione classica…”, così scrive Jonathan Tumer riferendosi al delicato lavoro di questo artista, attualmente in esposizione alla galleria Ellequadro in vico Falamonica 3 (fino al 31 ottobre).

E in effetti , in queste sculture, dipinti e tecniche miste, affiora continuamente il richiamo alla tradizione , ma risolto con linguaggi che si diramano ed estendono nella contemporaneità.

Se ad esempio le figure umane allungate, filiformi, possono richiamate certe valenze etrusche e certe definizioni giacomettiane, al contempo sanno suggerire la dimensione di una delicatezza eterea che è propria della scena artistica odierna.

 I visi allungati, con appena l’accenno dei caratteri somatici, i corpi espressi nella loro fragilità materica con appena suggerite le forme anatomiche, creano le premesse di una scena artistica in cui un’umanità fragile, chiusa in una spazialità aliena, si mostra in tutta la sua incapacità di comunicare, in tutta la sua difficoltà ad esprimersi, quasi calata in involucri a bozzolo che nascondano le emozioni intime come se, essa, sprofondata in un sonno pesante, attendesse trepidante un catartico risveglio.

E la luce, che sfiora radente le forme, pare consegnarle a un limbo provvisorio; allo stesso tempo sa sciogliere la materia terrestre per proiettarla nella volta celeste, in una dimensione spirituale capace di trasfigurare l’opacità di un presente doloroso nella trasparenza di un futuro liberato e rappacificato.

 

                                                            Miriam Cristaldi