A Marco Matteini e Stefano Bigazzi, grazie della bella impaginazione della Crespo, ciao

 

 

Evitando sofisticati intellettualismi, la pittura di Serena Olivari cattura il senso delle trasformazioni tecnologiche che caratterizzano la nascita del terzo millennio. A suon di globalizzazione e di tecnicismo si è giunti alla nascita di un nuovo elemento, la materia immateriale: qualcosa che caratterizza la riduzione del mondo a un villaggio (il “villaggio globale” di McLuhan) e che lo attraversa alla velocità della luce mediante reti telecomunicazionali web.

E proprio il senso di questo inarrestabile processo di dematerializzazione, di perdita del peso corporeo dell’oggetto, affiora continuamente nei dipinti della Olivari dove trasparenza, leggerezza e inconsistenza costringono le immagini a sfibranti attese, mentre luci ed ombre si elidono e si annunciano a vicenda.

Una storia sommessa, la sua, (in esposizione allo Studio Ghiglione, piazza S. Matteo 6r, fino al 24 ottobre) equivalente a fragili sinopie, a calchi di sfuggenti memorie o a sfaldate amnesie che visualizzano fragili incrostazioni, minimi tatuaggi.

Una pittura, questa, al contempo cronaca e romanzo, in cui spettri di tazzine da caffè galleggiano nello spazio etereo e rarefatto del quadro, o si mimetizzano fissandosi su liquide pareti, o ancora, volando agravitazionali in masse d’aria assemblando un universo di segni in continua metamorfosi.

Un intricato miscuglio di ansia e di desiderio che non conoscono inizio né fine costringono l’osservatore a un afasico disorientamento spaziale: si trova così, senza precise coordinate a galleggiare tra pungenti graffitismi, minimi bassorilievi (in gesso o terracotta), pigmenti cromatici, trasparenze epiteliali, cicche di sigaretta incapsulate, alzati architettonici, trasalimenti di macchie, geometrie libere… Labili apparizioni di un’intimità svelata.

 

All’attenzione di Marco Matteini e Stefano Bigazzi, grazie della bella impaginazione della Crespo

 

                                                           

“Kahve” (= bevanda eccitante) è il termine con cui la pittrice genovese Serena Olivari nomina il suo lavoro consegnandocelo nella scottante evocazione di una  classica  e quotidiana  tazzina di caffè, “apportatrice  di felicità, spazio e brillantezza…” (in esposizione allo Studio Ghiglione, piazza S. Matteo 6r, fino al 24 ottobre).

Tazzine da caffè (dipinte e in rilievo), infatti, sembrano volare eteree, leggere, agravitazionali in spazi afasici, senza precisi punti di riferimento costringendo la percezione visiva a galleggiare tra pungenti graffitismi,  minimi bassorilievi (in gesso o terracotta), pigmenti d’acquarello, trasalimenti di macchie…per tessere una storia sommessa fatta di fragili sinopie, di sfuggenti calchi oggettuali che materializzano sfaldate incrostazioni, evanescenti tatuaggi.

Un lavoro, quello della Olivari, che se da un lato è romanzo, immaginazione, volo pindarico, dall’altro si contamina continuamente con la cronaca, col pedissequo vissuto giornaliero oscillando tra memoria e amnesia, tra lucidità del ricordo e dimenticanza di un presente ingombrante.

Per questo, spettri di tazzine da caffè ruotano nello spazio rarefatto del quadro o si mimetizzano fissandosi su liquide pareti o, ancora, vengono risucchiate in masse d’aria: il loro proporsi sa descrivere un universo segnico in continua metamorfosi capace di suggerire labili apparizioni di un’intimità svelata…

                                               

 

                                                            Miriam Cristaldi