IDENTITA’ IN DIVENIRE

 

Un viso luminoso, appena percepibile nei lineamenti, dipinto da Marcello Mogni (centro culturale Satura, piazza Stella 1) con criteri realistici e tratto da fotografie di giornali alla moda, appare alla visione come un’enigmatica e inquietante presenza che si sottrae all’operazione di codifica poiché i tratti distintivi denunciano evidenti rimozioni.

Un po’ come succede quando si  alita sullo specchio: si appanna l’immagine riflessa pur individuandone le fattezze.

Vi si sovrappone inoltre l’idea mentale d’un campo magnetico attraverso la sequenza di “bande” verticali (od orizzontali) che solcano la superficie pittorica allo stesso modo dei “disturbi” televisivi che offendono la visione.

L’artista dipinge infatti forme non pienamente concluse e concentra l’attenzione sui guasti prodotti dalle “bande visive” che attraversano il campo  pittorico affinché ne sconvolgano le strutture.

Una pittura, quella di Mogni, che nasce dal confronto con reperti fotografici ulteriormente distrutti, spostando così il senso da uno stato d’ istantaneità a quello di costruzione codificante: “di pittura sulla pittura” come immagine di luce che si dissolve per fornire la sua quintessenza.

E ancora, gli inquietanti personaggi dipinti sembrano assumere valore totemico nell’esaltante aura che li circonda; aura  quale segno d’interiorità psicologica e quale energia galvanica capace di librare nel vasto magma dell’inconscio

Tali figuralità, a metà tra apparizione e realtà fisica, tra interiorità dell’essere ed esteriorità mondana, sembrano allora transitare eterei sulla scena, ora abbagliati dalle luci di vetrine ora da fari d’automobile o da vetri specchianti delle abitazioni, o ancora, immersi in fosche e funamboliche atmosfere così da oltrepassare i confini della materia per suggellare un abbraccio tra immanenza e trascendenza, tra Eros e Thanatos, tra vita e morte.

D’altra parte il filosofo Paul Virilio ci suggerisce che stiamo assistendo ad un’apocalisse, cioè “alla fine di un mondo che vede la nascita di quello nuovo”: da qui il pericolo “di un’estetica siderale della sparizione e non più dell’apparenza”. Per questo motivo l’arte “… nella fase della globalizzazione, per tentare di esistere può fare riferimento al corpo, l’ultima cosa che resiste”.

 Ed è certamente quello a cui pensa Marcello Mogni quando colloca in ambiti urbani le sue fantasmatiche figuralità come possibili habeas corpus, vale a dire personaggi che portano il loro corpo: una sorta di parvenze spettrali che denunciano sì la sparizione, ma al contempo sanno proporre una futuribile identità, sebbene in dissolvenza.

 

                                                            Miriam Cristaldi