"Clearco e Paolo T. - due figli di " è il titolo della mostra installata alla galleria Leonardi V - Idea (piazza Campetto 8 a, fino a metà luglio) dei due giovanissimi genovesi Clearco Giuria e Paolo Tedeschi, artisti neo concettuali  che considerano l'idea come la componente principale dell'opera, capace di muovere il lavoro, tendendo a privilegiare  processi analitici basati più sul concetto che non sull'oggetto.

Duchamp insegna: attraverso i suoi molteplici rimandi trova il senso della labilità delle cose secondo lo spirito dadaista, distruttore dell'arte tradizionale, giocando abilmente col non/finito che diventa in/finito (vale a dire eterno) così come non/ finita o in/finita etichetterà la sua vita facendo scolpire sulla sua tomba l'epitaffio "D'altronde sono sempre gli altri a morire".

Anche Giuria e Tedeschi s'interrogano sulla vita e sulla morte, sulle domande fondamentali con cui da sempre l'uomo s' interroga e soprattutto analizzano la condizione dell'esserci oggi in quanto artista, oscillando tra deliri di onnipotenza "... immaginavamo di restare sospesi in aria, seppure per un istante, con la grazia e l'abbandono fiducioso del tuttofare che non valuta la profondità, ma si getta ,come in un abbraccio, nella vertigine che lo accoglie e custodisce..." e sconfortante presa di coscienza dell'essere "... non più destinato al fuori   che avresti voluto infinito, ma condannato al dentro , al dentro assoluto, senza riscatto se non nella ricaduta... " o ancora scrive Tedeschi all'amico "...credevamo di possedere una qualche leggerezza, non essenti, assenti, destinati si sarebbe detto per natura al volteggio inconsistente, eppure non c'è grave più vincolato al suolo di noi...".

In realtà, con questa mostra i due giovani proseguono il racconto iniziato nel giugno del '98, con l'esposizione a S. Maria di Castello intitolata "Clearco e Paolo T. stanno morendo", intendendo appunto la complessa condizione  dell'artista di fine millennio, stretto tra i maestri del passato e  teso verso dinamiche non ancora individuabili.

L'installazione di Giuria  presenta appunto le paternità che pesano: i ritratti serigrafati di Kafka, Platone, Duchamp, ecc. occhieggiano su trance di specchio, appese, cui sul pavimento corrispondono un paio di scarpe in gesso argentate come evocazione degli illustri scomparsi. Si attua così uno spazio denso di echi e di rimandi dove l'immagine corre da un riflesso all'altro, da un senso all'altro, all'in/finito e per l'eternità... Conclude Paolo nella sua opera scritta:  "Non siamo riusciti a oltrepassare la memoria che ci ha estenuati, né ho mai capito se avessimo sbagliato qualcosa, o se fossimo stati noi, invece, a estenuare la memoria. Tutto il resto non è servito a niente".

 

                                                Miriam Cristaldi