Video-immagini primordiali di Mauro Ghiglione

 

 

Se le artiste internazionali Mariko Mori e Pipilotti Rist potenziano inverosimilmente l’uso mediatico dell’elettronica quasi come enfatizzante e rispondente adesione all’era tecnologica, al contrario, l’italiana Grazia Toderi e in particolare il genovese Mauro Ghiglione, ne prendono le debite distanze. Attuano in pratica un allontanamento dai mezzi tecnologici, quasi uno straniamento dalle capacità macchiniche attraverso l’uso ridotto, rallentato o fermo delle immagini video.

Questo per evitare pesanti dipendenze e avviare un processo di superamento di tali mezzi, operando al loro stesso interno.

Addirittura Ghiglione sembra rivolgersi alle immagini primordiali tipiche degli storici film-Luce, quasi a codificarne la memoria storica e recuperare attraverso la telecamera quelle sequenze estremamente rallentate di fotogrammi in bianco e nero.

Ciò è possibile verificare nel video-lavoro “My heart, my shoes”, in esposizione al teatro della Corte Lambruschini, composto di un doppio pannello su cui vi si proiettano due filmati aventi lo stesso soggetto, ma con immagini, frequenze e tempi differenti.

Il giovane artista  - che ha potuto crescere con me e Claudio Costa nella comune esperienza artistica della “Casa virtuale dell’opera” (’95, galleria Rotta e appartamenti privati, Genova), protratta in seguito con le mostre-evento “Mille anni dopo” (’96, Torre degli Embriaci, Genova) e “Trasfigura” (’98, galleria Dialoghi, Biella), supportate da relativi cataloghi da me curati – cerca infatti di condurre l’attenzione sull’esclusiva immagine di un uomo. Ripreso di fronte e di dietro che scende le scale all’infinito (sequenza reiterata) seguendo i ritmi del battito cardiaco dell’autore (Gilardi insegna).

Uno specchio sottostante riflette la scena, rimandando all’immagine speculare della salita.

Ogni allusione al paesaggio è vanificata dalla linearità della scala con la sola funzione di scansione spaziale, mentre la persona è posta al centro nell’atto d’inchiodare lo sguardo all’anima.

Allora pare qui cogliere, attraverso la metafora dell’uomo che scende (o sale) le scale - già affrontata da altri artisti tra cui Duchamp - la chiara simbologia del “passaggio” come emblematico spostamento da un piano all’altro, da un livello all’altro; ovvero da una dimensione terrestre a quella spirituale, in cui gli opposti possono integrarsi nella totalità della persona.

                                                           

Miriam Cristaldi

 

 

                                    Video-immagini primordiali di Mauro Ghiglione

 

 

Se le artiste internazionali Mariko Mori e Pipilotti Rist potenziano inverosimilmente l’uso mediatico dell’elettronica quasi come enfatizzante e rispondente adesione all’era tecnologica, al contrario, l’italiana Grazia Toderi e in particolare il genovese Mauro Ghiglione, ne prendono le debite distanze. Attuano in pratica un allontanamento dai mezzi tecnologici, quasi uno straniamento dalle capacità macchiniche attraverso l’uso ridotto, rallentato o fermo delle immagini video.

Questo per evitare pesanti dipendenze e avviare un processo di superamento di tali mezzi, operando al loro stesso interno.

Addirittura Ghiglione sembra rivolgersi alle immagini primordiali tipiche degli storici film-Luce, quasi a codificarne la memoria storica e recuperare attraverso la telecamera quelle sequenze estremamente rallentate di fotogrammi in bianco e nero.

Ciò è possibile verificare nel video-lavoro “My heart, my shoes”, in esposizione al teatro della Corte Lambruschini, composto di un doppio pannello su cui vi si proiettano due filmati aventi lo stesso soggetto, ma con immagini, frequenze e tempi differenti.

Il giovane artista  - che ha potuto crescere con me e Claudio Costa nella comune esperienza artistica della “Casa virtuale dell’opera” (’95, galleria Rotta e appartamenti privati, Genova), protratta in seguito con le mostre-evento “Mille anni dopo” (’96, Torre degli Embriaci, Genova) e “Trasfigura” (’98, galleria Dialoghi, Biella), supportate da relativi cataloghi da me curati – cerca infatti di condurre l’attenzione sull’esclusiva immagine di un uomo. Ripreso di fronte e di dietro che scende le scale all’infinito (sequenza reiterata) seguendo i ritmi del battito cardiaco dell’autore (Gilardi insegna).

Uno specchio sottostante riflette la scena, rimandando all’immagine speculare della salita.

Ogni allusione al paesaggio è vanificata dalla linearità della scala con la sola funzione di scansione spaziale, mentre la persona è posta al centro nell’atto d’inchiodare lo sguardo all’anima.

Allora pare qui cogliere, attraverso la metafora dell’uomo che scende (o sale) le scale - già affrontata da altri artisti tra cui Duchamp - la chiara simbologia del “passaggio” come emblematico spostamento da un piano all’altro, da un livello all’altro; ovvero da una dimensione terrestre a quella spirituale, in cui gli opposti possono integrarsi nella totalità della persona.

                                                           

Miriam Cristaldi