NEL SEGNO DEL BLU    

 

Mostra a quattro mani di Nicoletta Conio e Simonetta Porazzo

 

 

        Nicoletta Conio

 

 

Strappi, frammenti di carta, forme accidentali, sovrapposizioni logiche, graffiature,  affilati cromatismi, gioco.

La materia dell’arte si avvita sulla materia del gioco. E nel gioco Nicoletta Conio riflette la propria identità.

Psicologa, psicoterapeuta, artista, prossimamente mamma, Nicoletta si muove su diversi livelli: quando è psicologa non si ferma al dato analitico ma preme l’acceleratore su qualità emozionali che sanno condurre nel fertile terreno della creatività, quando è artista s’ispira alle profondità dell’inconscio che esprime nella violenza gestuale delle carte straziate o negli ingorghi delle materie pittoriche, per questa mostra tenute sui registri dei blu. Giocando.

Sì, perché come dice Schiller (preso a modello da Joseph Beuys), “…l’uomo  è assolutamente libero solo nel gioco poiché, quando gioca, è libero dai vincoli della logica e sensibile solo ai richiami del bello e dell’estetica…”.

Un “bello” che non corrisponde ai canoni greci, ma alle condizioni della contemporaneità, dove gli affondi nell’inconscio si materializzano nel corpo della pittura con farraginosi combattimenti di galassie turchine e gli “strappi” dell’anima nelle lacerazioni della carta andando così a comporre frammenti compositivi ove  la forma genera forme.

Nascono allora fragili stratificazioni di brani cartacei (collages di carte strappate) che si articolano (e si sovrappongono) nello spazio dell’opera in ritmi consequenziali, quasi a suggerire universi indicibili, oltre agli universi stessi della pittura che irrompe ed occupa, aggredendola, la superficie del quadro.

Una pittura, questa, che agglutina le differenti aree con graffianti gestualità, sovente colte nell’atto di simulare moti ondosi o cieli temporaleschi, sciolte nelle liquidità placentari  dei toni azzurro-bluastri.

Un tessuto cromatico, allora, concepito come vibrazione, eccitazione sensoriale, condizione di fremito, evocante una naturalità più sognata che riprodotta, più virtuale che reale, sovente dissociata da contesti figurali.

Una pittura che non cessa di essere “pelle” ove il colore destruttura il derma; una specie di fungo che intacca sia la superficie di fondo che il deposito dei frammenti.

Pigmentazione cromatica  che si ferma sull’orlo dello strappo:  causa di ferite, di sottili lacerazioni, di territori di confine…

Territori che la pittura non osa corrompere ma, al contrario, arretra in aree limitrofe per una sorta di sospensione del giudizio.

E’ perciò un dipingere, quello di Nicoletta Conio, dove il caos non è disordine, ma orchestrazione di gesti, coagulazione di pensieri, collages di emozioni,  per approdare a una visione del mondo come espressione critica che il gioco rivela.

Infatti, proprio là dove le slabbrature fremono e la ferita “sanguina”, prendono avvio nuove configurazioni immaginative: gioiosi puzzle che preannunciano altre conformazioni formali per materializzare nuovi orizzonti capaci di fornire ulteriori possibilità interpretative, inedite diramazioni della mente.

Perché, come dice Claudio Costa, “ … quando l’uomo attua una trasformazione raggiunge nuovi livelli di conoscenza e può immergersi in quell’<anima mundi> di cui l’uomo primitivo ha sempre fatto parte…”.

 

Miriam Cristaldi                                 

Genova, 15 novembre

 

 

 

                                     Simonetta Porazzo

 

 

L’artisticità di Simonetta Porazzo, psicologa e arteterapeuta, si esplica soprattutto nel territorio della scultura attraverso la lavorazione della ceramica con cui modella forme. Forme a parete o a tutto tondo che, per loro stessa costituzione, rimandano a strutture visive frastagliate ed in parte ossessive, percepibili nella striature laceranti delle superfici formali e nella reiterate presenze di alcuni elementi figurali come gli arabeschi dei corpi solari, le lamelle dei moti ondosi o le geometrie degli astri.

Duplice è quindi lo spostamento mentale che provocano i lavori di Simonetta: se da un lato sanno evocare un poetico mondo di stelle dorate, onde marine, vele al vento, dall’altro possono rimandare alla violenza dei tagli, alla sofferenza delle piaghe, a trituramenti carnali, a frantumazioni di interi…

Affiora così un’appassionata quanto intima sensualità, celata e sublimata dagli accecanti bagliori della foglia d’oro che riveste il cotto o dai preziosismi astrattizzanti delle decorazioni incise.

Ma sotto la cenere cova il fuoco: dietro il virtuosismo di certi mordenti tatuaggi, oltre le vellutate gradazioni di smaglianti cobalti o sotto la pelle di avvolgenti “armature”, si nasconde una materia ribollente, invasiva, tramutabile facilmente in schiuma salmastra o in magma lavico in lenta ma inesorabile espansione.

Un fare scultura, quindi, chiaramente riconducibile all’universo interiore, alle strutture labirintiche della mente, ai moti dell’anima per dare origine a contrastanti visioni che oscillano tra dorati scintillii e oscuri affondi nell’inconscio dove ombre blu sfuggono alla luce e le intese sono possibili solo nella dimensione del mistero.

E ancora, con Simonetta Porazzo si entra nella memoria ancestrale: i segni del blu materializzano volte celesti, stratificazioni eteree, liquidità acquatiche, sfere di Atlantide: cromie e gestualità generano armonie e tensioni del mondo capaci di rivelarne un verso, un particolare ductus, un profilo che si offrono alla percezione visiva come espressioni di una natura introiettata, come esperienza di un personale vissuto.

Paradigmatico in questo senso è il lavoro “Attaccapanni”, una forma in ferro e grès     che riproduce la parte retrostante del corpo umano (a grandezza naturale), decapitato e senza arti.

In pratica, un guscio vuoto.

Il sembiante può allora apparire come pelle di un dorso  inciso da soli irradianti, e al contempo come metafora di una corporalità rivolta ad una dimensione celeste, ma anche come fragile carnalità costituita da  assemblaggi metallici quali scaglie grumose le cui superfici denunciano gibbosità, agglomerati polposi, scalfitture, lesioni, corruzioni della materia…

Un corpo perciò che ha smarrito la propria identità e che, svuotato della sua essenza, può divenire memoria e  simulacro di se stesso, giusto un semplice “attaccapanni” cui appendere le vesti.

Ma nella duplicità della visione, Simonetta Porazzo prende le distanze: i dettagli del corpo possono suggerire altre versioni. A fronte di una “spogliazione dell’essere” può essere invocato il regno del mito.

E l’appendiabiti potrà allora capovolgersi nell’olimpica “corteccia-corazza” che struttura (e sostanzia) il corpo glorioso degli dei.

                                       

 Miriam Cristaldi

Pubblicato catalogo gennaio 2001