"Una e tre sedie" è il titolo della famosa opera del 1966 di Josef Kosuth, un artista cardine dell'Arte Concettuale: un'arte svincolata dall'oggetto e dalla qualità estetica e che punta direttamente a suscitare un'immagine mentale o un'idea.

Questo lavoro composto da una sedia reale, da una fotografia della stessa e dalla descrizione verbale della parola "sedia", rappresenta in realtà un oggetto unico attraverso la relazione diretta di tre differenti linguaggi: oggettuale, iconico, verbale.

Sull'onda di questa visione analitica del mondo - nata nella seconda metà degli anni '60 contemporaneamente in America e in Europa, al contempo scevra da compiacimenti formali ed emotivi - la giovane artista inglese Ceal Floyer ha creato un lavoro radicalmente "duro", dove l'oggetto presenta se stesso e non rimanda ad altri significati.

Nella conferenza stampa presentata al Centro della Creatività di Palazzo Ducale, l'artista ha potuto spiegare il suo lavoro, da sabato scorso visibile nella galleria Pinksummer , di Antonella Berruti e di Francesca Pennone (Via Lomellini 2, fino al 24 ottobre), specificando come sia fondamentale una visione del mondo provocante, spesso antiestetica, capace di eliminare ogni sottinteso e di proporsi nella cruda, immutabile realtà che nomina se stessa.

Ne è un esempio l'opera intitolata "Bucket"(= secchio) che rappresenta appunto un secchio di plastica nero, posato al centro del grande salone espositivo, entro cui è possibile ascoltare il rumore della classica goccia d'acqua che cade. Ma l'acqua non è presente, mentre ben visibile è l'apparecchiatura elettronica interna all'oggetto che permette di ascoltare il suono registrato (e continuamente ripetuto) di una sola goccia nell'atto di cadere.

Qui è evidente l'intento di non creare effetti magico-evocativi attraverso la simulazione acustica del suono della goccia poiché il meccanismo della finzione non è ingannevole ma ben esposto alla fruizione visiva: semmai è messa a fuoco la tautologica oggettualità dell'utensile industriale con all'interno l'amplificatore, in tutta la sua anestetica fisicità.

Ma è anche percepibile una certa visione orientale zen.

Eppure, nonostante la ferrea disciplina analitico-tautologica, basata sullo spiazzamento percettivo che toglie ogni possibilità interpretativa, nasce nell'opera un sottile aspetto emozionale, a volte intenso come nel lavoro "Ink on Paper"(= inchiostro su carta) dove pennarelli di differenti colori, posati in verticale sulla carta (nel tempo di una notte), creano gioiosi aloni colorati, specifici per ogni cromia.

 Quasi a formulare una delicata serie composta dal DNA di ogni singolo colore, capace di "suonare" un'armonioso brano musicale.

In ottobre l'artista sarà presente a Torino, nella prestigiosa sede del Castello di Rivoli con la mostra collettiva "Mirror's Edge" curata da Okwui Enwezor, direttore della prossima edizione di Documenta-Kassel.