MARIO BARDELLI

 

 

“La bellezza può essere ricercata là dove meno ci si aspetta, per esempio nel mondo del quotidiano come una scatola abbandonata durante un frettoloso trasloco, una signora che si sottopone ai raggi u.v.a, o una seggiola trasferita sul terrazzo…” dice Mario Berdelli riferendosi al suo lavoro in mostra al centro culturale Satura (Piazza Stella 1, fino al 23 maggio), a cura di Flaminio Gualdoni.

Per la verità lo sguardo del pittore sa cogliere lampi di vissuto e allo stesso tempo collassate immagini di repertorio (tratte da vecchie fotografie stampate su riviste) per trasformarli in labili testimonianze di un lontano e recente passato.

Infatti, le identità  delle immagini impallidiscono nel loro stesso trascolorare: questo per dare corpo a una dimensione intima e quotidiana di un tempo-che-fu.

 Non a caso i registri dei toni appaiono virati sul color seppia (antichizzante) mentre le forme, volutamente sfocate, si solarizzano nella luce che le scontorna.

Allora figure ambientate in cupe atmosfere sembrano affacciarsi sulla scena come improvvise, luminescenti, apparizioni per poi subito sciogliersi (a causa dell’usura) attraverso silenziosi coaguli o distillate sgocciolature.

Proprio come nel dipinto del celebre Modigliani, colto di profilo sullo sfondo d’una tappezzeria a fiori, ormai consunti da un retrocesso passato, o come nell’ anonimo personaggio seduto a tavolino di un bistreau parigino; in entrambi i lavori scatta un cortocircuito tra l’antica, pomposa imagerie di primo novecento e l’instabile, nervoso dripping  dell’urgente contemporaneità.

 Per questo il vibratile quanto mobile tessuto pittorico composto da eteree sindoni, riesce a concentrare un operato ai limiti dell’esistenza e al contempo provoca una full-immersion nel banale quotidiano.

Si codifica  così una fragile e frammentata dimensione che annuncia la fine di un mondo e prevede la nascita di quello nuovo.

Un po’ come dice McLuhan: ”l’artista è un uomo che in ogni campo coglie le implicazioni delle sue azioni e il nuovo sapere della sua epoca…”.

 

                                                                        Miriam Cristaldi

 

Pubblicato su ‘Repubblica – Il lavoro’ il 9 maggio 2001