Attraverso i linguaggi contemporanei della fotografia (polaroid e still-life), del video e dell’installazione, Francesco Arena elabora fin dall’86 complesse tematiche riferite al corpo umano sollevando aspetti inquietanti imposti dall’universo tecnologico.

In questo senso, e in anticipo sui tempi, l’artista genovese conduce un’attenta analisi rivolta agli elementi ossimorici del corpo: corpo come segno, come frammento gestuale di un unico, grande alfabeto corrispondente alla totalità della persona e corpo come precisa espressione di dualistici concetti.

Tali opposte polarità si possono riscontrare sia nella “calde” armonie di lucenti carnalità delle immagini come nelle “fredde” dissonanze causate dall’offensiva presenza di chiodi, lamette e deturpazioni muscolari.

Dai sensitivi fremiti di un Corot si può allora approdare alle tribali violenze d’oggi (dai tatuaggi ai piercing o alle patologie di abulimia-anoressia…) dove la centralità dell’uomo scivola omogeneizzata nel villaggio globale dei miti collettivi in cui industrie comunicazionali costruiscono modelli di comportamento sempre più lontani dal reale.

Le immagini scattate da Francesco Arena ( studio Andrea Ciani, piazza scuole Pie 7, fino al 10 maggio) - sfocate ed isolate in spazi vuoti in cui è eliminato il contesto affinché appaiano inespressive ed allontanate come un “fuori-luogo”,  in realtà si ergono a simbolo di mimiche processuali alla ricerca di probabili, complesse identità.

Identità corrispondenti a condizioni di sofferta solitudine suggerita anche da effetti nebulizzanti che disfano i frammenti corporali  i quali, in un secondo momento, si scindono, si elidono per poi ricomporsi in altre geografie.

Nascono allora frammenti di corpi maschili e femminili colti nella loro ambiguità, nell’atto cioè di esprimere concetti tra loro rovesciati capaci di visualizzare connotazioni fisiche arricchite con evocazioni da “alter ego”, da quella parte che è altro da sé.

 

                                                                  Miriam Cristaldi