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ARTEOREPERTI
Arte & antropologia è il lucente binario su cui corre veloce Andrea De Pascale, con lo sguardo contemporaneamente rivolto sia alla visione creativa dell’artisticità che a quella scientifica antropologica della specie umana.
Uno sguardo che se da un lato sa nutrirsi d’immaginazione, di trasgressioni dai codici linguistici, di libertà espressiva, dall’altro sa indagare nel contesto storico culturale attraverso l’uso specifico di approfonditi scavi nel terreno con l’utilizzo di precise e meticolose stratigrafie che, associate al rinvenimento di reperti oggettuali (analizzati con sofisticatissimi mezzi tecnologici) sapranno ricostituire l’intero e classificare i diversi gruppi della specie umana.
Uno sguardo, dunque, che sa abbracciare - in una stretta consanguinea - il gesto creativo con l’analisi scientifica.
Andrea De Pascale - giovane artista sperimentatore e laureando in conservazione dei Beni Culturali ad indirizzo Archeologico - nella sua doppia veste di creatore di simboli e studioso di fenomeni comportamentali biologici, riesce infatti a prefigurare una visione del mondo che se tenta di innalzarsi in picchi vertiginosi per scuotere l’orizzontalità del banale quotidiano, allo stesso tempo sa “scendere” in quel territorio complesso del comportamento umano, rapportato al suo contesto abitativo, per spingersi oltre, in quel luogo e quel tempo remotissimo che si perdono nella storia dei tempi e che riescono idealmente a ricongiungersi con l’origine.
Là, arte e scienza sanno fondersi in forma simbiotica: l’una e l’altra sono potenzialmente presenti nell’invenzione dei primi, simbolici, utensili al contempo destinati all’uso personale e quotidiano dell’uomo.
Dice Claudio Costa. “Le categorie dell’uso e della forma riconducono all’origine dell’oggetto; questa a sua volta ne indica il rapporto con l’uomo: quanto più l’uso e la forma suggeriscono la mano che ha costruito l’oggetto, tanto più l’oggetto si caratterizza come oggetto dell’uomo…. La forma e la fruibilità degli stessi possono distinguere l’uomo, la sua famiglia, il suo comportamento, il suo habitat”, ma aggiunge: “…accanto a questa ricerca scientifica, a lato si svolge una metodologia a procedere che consente ampio margine all’immaginazione…”.
E proprio da questa tipo d’immaginazione prende avvio l’artisticità di Andrea De Pascale che dimostra di sapervi attingere a piene mani: quando è artista irrora con fertili invenzioni i solchi delle conoscenze archeologiche, quando è archeologo elabora cognizioni analitiche filtrandole coi processi creativi.
Arte e scienza in lui convivono simbioticamente, sovente scambiandosi i ruoli.
Allo stesso tempo, il procedere nell’opera - da parte dell’artista - corrisponde a metodologie concettuali secondo cui l’idea è componente fondamentale del lavoro artistico. In questo senso e con questi intendimenti il pensiero che muove il suo fare risulta un rovesciamento della prassi scientifica, che sa fornire soluzioni precise a quesiti precisi.
Andrea De Pascale, privilegiando in arte un comportamento mentale creativo, a quesiti precisi risponde invece con libertà interpretative.
In particolare, il suo procedere artistico prende avvio da una iniziale, canonica, ricerca antropologica, servendosi di reperti che egli ricostruisce in terracotta e di autentiche stratigrafie (ricavate da ricerche sul posto) sulle quali vi ha trascritto la struttura del terreno, oggetto del lavoro di scavo.
Questo materiale, nell’ambito artistico, viene esposto in teche di legno (sigillate da “vetrine”) entro cui si possono osservare i reperti archeologici ricostruiti (cocci) accanto ad alcuni ipotetici oggetti interi - sempre ricostruiti - a cui potrebbero appartenere : piatti, bottiglie, vasi, scodelle ecc.
In altre teche più piccole alcune stratigrafie affondano in zolle di terra (fin quasi a metà foglio) così da invalidarsi e al contempo trasformarsi in misteriosi codici segnici.
L’intera operazione viene riproposta in un’installazione dove video-reperti affondano nella terra.
Viene così presentata un’oggettualità antropologica convalidata di rigore scientifico (nella metodologia), ma arricchita di qualità immaginative (nella sostanza).
Al contempo si assiste ad un rovesciamento strutturale: se scientificamente viene provato, quasi senza possibilità di errore, che il coccio corrisponde ad un unico e indiscutibile intero, qui il coccio potrebbe appartenere idealmente a varie identità che l’artista fantasticamente propone.
Sarà il fruitore a decidere - interagendo con l’opera - a quale oggettualità il frammento potrebbe appartenere.
Un’oggettualità dunque, che non riferisce di sé , ma altro da sé.
E ancora, l’oggetto e il frammento nella ricostruzione artistica possono restituire alla conoscenza, alla fantasia e alle emozioni la loro simbolica carica di memoria storica con cui l’uomo riconosce se stesso, fin dai tempi remoti dell’origine, riportando alla luce una identità perduta nel corso delle successive trasformazioni societarie.
Un’identità con cui potersi riconoscere, nel confronto costruttivo delle differenze.
Afferma il filosofo francese Marc Augè: “Paradossalmente, nel mondo odierno dove luoghi, spazi e nonluoghi (luoghi anonimi senza caratteristiche identitarie come aeroporti, supermercati, stazioni, autostrade, ecc…) s’incontrano e si compenetrano reciprocamente, il ritorno al luogo è il rimedio cui ricorre il frequentatore dei nonluoghi. ”– intendendo con ciò porre l’attenzione su quanto sia importante in questa società sur-moderna (termine da lui coniato per caratterizzare l’attuale società basata sull’eccesso) riferirsi a spazialità definite, meglio se rapportate alla memoria storica (al passato da cui veniamo) come possibili “tracce, indizi, o eccezionalità esemplari in modo da verificare se ciò che si è creduto di poter osservare in un primo momento resta sempre valido…”.
E un forte richiamo a ciò che è stato ce lo fornisce sicuramente il lavoro di Andrea De Pascale, un’operazione per alcuni versi vicina alla neoavanguardia “Arte Antropologica” degli anni ’70, che tenta di ricostruire un mondo perduto servendosi proprio di tracce e indizi coi quali prendere avvio per ri-modellare su misura un universo immaginario.
In questo senso, Claudio Costa dirige uno sguardo rovesciato verso la preistoria, i coniugi Poirier alla classicità greca, Christian Boltansky alla tragedia dei lager nazisti, Antonio Paradiso a un’arcaicità artigianale, i coniugi Becher alle archeologie industriali ecc… ognuno intento a ridefinire comportamenti antropologici, ripensati in virtù di un proprio pensiero fondante.
I cocci, le stratigrafie, gli oggetti-reperto diventano allora per il giovane artista-archeologo quelle tracce investigative, quegli arteoreperti con cui indagare nell’arte e nella scienza dove il luogo antropologico vive la storia ma non fa la storia, semmai la reinventa…sulle vestigia di un antico passato.

Miriam Cristaldi
Genova, Luglio 2001



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