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Mirco FRANCESCHI

 

Maldonado: Critica...

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Thomás Maldonado

 

Critica della ragione informatica

Milano, Feltrinelli, 1997, L. 35.000

 

Il libro non è scritto contro le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ma prende le distanze dagli entusiasmi verso un futuro informatico in grado di risolvere i problemi dell’umanità; visioni che considerano le nuove tecnologie come una cornucopia traboccante frutti miracolosi. L’autore prende le distanze anche da chi vede l’informatica come un malaugurato vaso di Pandora elargitore di disgrazie, ponendosi così nella posizione disincantata dello studioso che analizza con le nuove tecnologie con gli strumenti della critica razionale. E lo fa in modo sistematico, con un’impostazione di ampio respiro, evidenziando gli aspetti più attuali dello sviluppo tecnologico alla luce d’un retroterra filosofico che aiuta ad inquadrarli meglio, recuperando una parte del nostro ritardo culturale.

Partendo dal fondo, il terzo e ultimo capitolo (“Corpo umano e conoscenza digitale”) considera in maniera stimolante l’impatto delle nuove tecnologie sul corpo umano, sulla nostra percezione e sulla conoscenza medica (compresa l’elaborazione di “modelli virtuali” del corpo). L’affermazione: «i modelli scientifici di tipo visivo-figurativo sono stati sempre virtuali. La novità (...) non risiede tanto nel fatto che siano virtuali, ma (...) nel fatto di essere i modelli virtuali più reali che siano mai stati concepiti», è solo uno dei flash che s’incontrano durante la lettura. Come il giudizio sui robot, che non sono altro che nostri sosia cui affidare «funzioni che noi (...) preferiamo non assolvere in prima persona. In tale ottica il robot è da considerarsi (...) una protesi». Nella forma di medical imaging i mondi virtuali, conosciuti dal grande pubblico come forma d’intrattenimento, assumono qui un carattere molto concreto, che smentisce l’idea del costrutto autoreferenziale senza ricadute sulla realtà.

Il secondo capitolo (“Telematica e nuovi scenari urbani”) offre una visione disincantata e interdisciplinare degli effetti delle nuove tecnologie e delle reti telematiche (nuove infrastrutture) sulle città, sgonfiando l’idea che il telelavoro possa risolvere i problemi del congestionamento e meno che mai quelli dell’occupazione. Anzi, le città tenderebbero a diventare sempre più caratterizzate dalla presenza di “fortezze” concepite per rendere esplicito «il confine che separa gli inclusi dagli esclusi, i privilegiati da coloro che privilegiati non sono. (...) veri e propri congegni di “massima sicurezza”» che viene garantita «da una batteria di strumenti di sorveglianza elettronica atti a seguire (...) gli spostamenti e i comportamenti di residenti, visitatori o clienti. Ecco il paradiso in cui gli inclusi (...) diventano reclusi». In questo contesto alla “teledidattica”, una forma di telelavoro, l’autore concede uno spiraglio ottimista. Egli apprezza infatti le possibilità d’interazione “live” (come “videoconferenza”) di una teledidattica che non dovrebbe essere intesa solo in termini tecnici, ma come convergenza di molti saperi disciplinari. Per liberarla dall’isolamento «in cui è stata relegata dal trambusto delle grandi multinazionali dell’informatica e della comunicazione (...) indifferenti a una valutazione degli effetti desiderabili» che i loro prodotti «possono avere sul sistema formativo». Tant’è vero che il Cd-rom multimediale, versione moderna dell’apprendimento programmato, consente un ambito di partecipazione attiva molto ristretto, valido per le opere di consultazione (enciclopedie, dizionari...), ma non in grado di sostituire il libro cartaceo per gli approfondimenti.

È però il primo capitolo, “Ciberspazio, uno spazio democratico?” (affronta i temi politici legati allo sviluppo delle reti e a “internet”), che cattura l’attenzione del lettore. Esso pone l’accento sull’apparenza ingannevole che un certo uso della rete (i forum di discussione, le chat line...) possa contribuire allo sviluppo di una repubblica elettronica. Nel modello di comunicazione interpersonale on line infatti «si negano la presenza fisica e la reciproca visibilità, si nasconde la propria identità e un’equa opportunità di espressione è difficilmente verificabile. In apparenza, la comunicazione interpersonale on line» potrebbe essere considerata «come il primo tentativo di contrastare, per dirla con Habermas, la “colonizzazione” da parte del sistema sociale, del “mondo della vita”. (...) Si tratta però di un’apparenza ingannevole (...) siamo davvero a un grado zero del “mondo della vita”». Un ottimale agire comunicativo ha invece bisogno che gli attori possano interagire in compresenza, che possano esporre senza timori le motivazioni alla base dei loro giudizi, che esistano le condizioni perché tutti abbiano le stesse opportunità di esprimere le proprie opinioni e argomentare le proprie idee. I limiti della democrazia virtuale starebbero in particolare nell’uso abusivo, parassitico, di un linguaggio scritto particolarmente semplificato, semanticamente indigente e omologante; oltre che nell’uso delle false identità, che potrebbe favorire la nascita di comunità autoreferenziali prive di legame con la realtà e popolate di ombre, spettri potenzialmente malati di schizofrenia. L’autore quindi propugna che la discussione sui grandi temi assuma la caratteristica di un confronto tra esseri con faccia, cittadini portatori di una completa umanità.

Su questo tema l’argomentazione di Maldonado è stringente; egli smaschera il populismo informatico. Agl’insoddisfatti della democrazia rappresentativa restano però alcune perplessità. L’autore infatti si sofferma sui limiti di forum e chat line piuttosto che indicare i contesti e le regole che meglio potrebbero favorire gli ambiti di discussione (democrazia diretta non significa informale: la democrazia ha bisogno di procedure!); tralascia quindi di formulare ipotesi su come strutturare processi cooperativi e diffusi di formazione on line delle leggi. Inoltre non considera alcuni aspetti della vita politica. Il primo riguarda i giochi di faccia: chi ha vissuto esperienze di democrazia assembleare conosce bene i limiti del “mondo di vita” rispetto a questioni come l’incolumità personale e l’eguale opportunità di espressione (per non dire dei partecipanti infiltrati e del linguaggio tutt’altro che ricco di sfumature); questioni che ridimensionano la distanza tra “rete” e “mondo della vita”. Il secondo riguarda il ruolo delle idee nell’orientare la politica: soffermandosi sulle chat, l’autore finisce di fatto per negare la possibilità che in “rete” vengano formulate argomentazioni in grado di suscitare un dibattito appropriato. Ma sarebbe come pretendere di fondare la giustizia su fumose chiacchiere al bar, piuttosto che sulla lettura e il commento di opere come quella del Beccaria.

In questo modo la sua stimolante critica, se aiuta a capire le possibili derive dello sviluppo tecnologico, fornisce un aiuto limitato, offrendo una sensazione di dispersione. Forse per la mole davvero notevole degli argomenti affrontati; fors’anche perché, malgrado le ricche ed erudite citazioni, gli assunti teorici rimangono sullo sfondo.

Ma ora basta coi rilievi! Si tratta di un’opera innovativa nel panorama editoriale nostrano e un riferimento importante per condurre una discussione scientifica sulle nuove tecnologie.

Resta alla fine il gusto d’un testo piacevole, utile a chi sia interessato alle nuove tecnologie e voglia farsi un’idea delle loro effettive possibilità allo stato attuale delle conoscenze; un testo che merita il prezzo e il tempo dedicatigli.

 

(Mirco Franceschi)

P.S. Vedi anche l’intervista a Thomás Maldonado

 
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