La Storia di Massimo: Capitoli 6 – 10

 

 

 

Capitolo 6 - La marcia

L'accampamento divenne un brulicare di attività ora che la VII Legione Felix, l'unica situata in Ispania, si preparava a marciare verso Nord per fornire i rinforzi alle quindici legioni che già erano di guarnigione là - undici lungo il Danubio e quattro lungo il Reno.

L'esercito romano funzionava come una macchina ben oliata e la Legione Felix non faceva eccezione. Era formata da 5000 uomini pesantemente armati ripartiti in 10 coorti, di cui ciascuna aveva almeno 480 membri divisi in 6 centurie comprendenti da 80 a 100 uomini. La prima coorte della legione, di cui facevano parte i migliori soldati, aveva 5 doppie centurie di 160 uomini. Ogni centuria era comandata da un centurione - l'ufficiale con il grado più basso - il quale era un uomo promosso tra i ranghi per meriti di servizio e capacità di comando. I centurioni lavoravano duro per salire ad un livello più alto, poiché ogni legione aveva centurioni di diversi gradi. Gli ufficiali con grado superiore a quello di centurione provenivano dall'esterno della legione ed erano scelti esclusivamente tra i due più alti livelli della società romana. Il generale che comandava una legione doveva provenire dalla classe senatoriale superiore e il suo secondo, il legato, da quella superiore o da quella inferiore. Gli altri ufficiali, i sei tribuni, venivano dal piccolo patriziato, appena sotto la classe senatoriale.

Massimo era euforico alla prospettiva di lasciare l'Ispania per la prima volta nella vita. Moriva dalla voglia di vedere il mondo e sperava di poter visitare Roma, un giorno; ma ora si stava dirigendo nella direzione opposta, nel più profondo delle selvagge province settentrionali, dove le tribù germaniche minacciavano di superare i fiumi Danubio e Reno e d'invadere il territorio romano.

Le truppe erano eccitate all'idea di spostarsi di nuovo, finalmente, e l'accampamento fu levato in tempi molto brevi. Ogni uomo aveva un compito da svolgere ed ognuno lo fece con perizia. Gli addii ai propri cari, compresi i bambini e le concubine, furono brevi e, a metà mattina, la legione fu sulla strada per il Nord, una strada che era stata costruita da legionari come loro molti anni prima.

Il corteo dietro lo stendardo dell'aquila dorata si allungava per miglia... migliaia di uomini e ragazzi in marcia, centinaia di cavalieri ed ufficiali, dozzine di carri contenenti provviste e trainati da buoi, muli stracarichi di sacche pesanti di rifornimenti, greggi di pecore e capre, polli schiamazzanti nelle stie e magnifiche e terribili armi di distruzione come enormi balestre, baliste¹ e catapulte. Il corteo includeva anche altro personale, necessario a mantenere funzionante un esercito come quello: personale religioso e giuridico, genieri, ufficiali medici e veterinari, fabbri ferrai, carpentieri, muratori e molti altri artigiani.

Massimo trasportava i suoi beni e le sue provviste sulla spalla destra come tutti i soldati, i quali portavano anche le loro razioni, la pesante armatura, le armi, ma anche attrezzi - un carico massacrante di ventisette kilogrammi. Marciava a fianco a fianco con i ragazzi che erano ancora troppo giovani per essere soldati, ma che tenevano la testa alta come ogni legionario.

Si faceva poca conversazione tra i soldati in marcia; tutti si concentravano nel camminare sulle accidentate strade sassose e nel cercare di risparmiare il fiato per le difficili arrampicate. Per quanto possibile, marciavano in ordine, attenti al minimo segnale di pericolo, pronti ad armarsi e a difendersi se necessario. Ma Massimo trovava ridicola l'idea che una qualunque banda di razziatori potesse tentare di attaccare una legione così imponente, ben armata e addestrata.

Il viaggio verso nord fu difficile, perché il territorio presto divenne montagnoso e l'aria rarefatta e sempre più fredda. Questo infastidiva Massimo meno degli altri, dal momento che egli era cresciuto in un ambiente simile. Alcuni passaggi erano molto stretti e molte pendenze erano veramente scoscese e causavano allarmanti rallentamenti dei carri sovraccarichi. Quando uno di essi cominciò a indietreggiare trascinando gli animali terrorizzati che vi erano aggiogati, Massimo si unì agli uomini che erano balzati dietro il carro per spingerlo sulla ripida pendenza.

Appena prima del crepuscolo, ogni giorno, dopo circa venti miglia di marcia, veniva preparato l'accampamento. I ragazzi aiutavano gli uomini a scavare un profondo fossato tutt'intorno all'accampamento e alzavano un terrapieno dietro la trincea sormontata da una palizzata di pali acuminati. All'interno dei quartieri così protetti venivano cucinati i pasti, poi c'era un po' di tempo per rilassarsi prima del ben meritato riposo. Durante questi momenti Massimo cercava i suoi amici, specialmente Lucio, il ragazzo biondo al quale si era affezionato molto.

Massimo e Quinto erano già diventati alti e forti, con voci divenute più profonde, ma Lucio era ancora un ragazzo se paragonato a loro. Spesso si rammaricava di essere di taglia piccola e poco robusto, timoroso di non raggiungere l'altezza richiesta per un soldato, un'altezza che sia Quinto che Massimo avevano già superato. Non era nemmeno altrettanto forte e Massimo vegliava attentamente su eventuali segni di fatica, prendendo il suo zaino e sollevandolo sulla propria spalla libera quando Lucio sembrava vacillare.

Per i successivi sessanta giorni la legione avanzò faticosamente verso nord, attraversando fiumi profondi e alte montagne, passando attraverso boschi e paludi, finché raggiunsero le scure, verdeggianti foreste delle province settentrionali. Finalmente, vicino al largo fiume Danubio, la regione Felix montò un accampamento permanente e si riposò per pochi giorni prima di prepararsi all'eventualità di una guerra.


¹
Balista: antica macchina da guerra simile a una grossa balestra, progettata per lanciare pietre, giavellotti o materiale infuocato (N.d.T.).

 

Capitolo 7 - Dario

La vita militare poteva essere monotona, ma non quando la minaccia di una guerra era alle porte. Ogni giorno per ore i centurioni facevano marciare le truppe, preparandole fisicamente e mentalmente per la battaglia. L'assoluta obbedienza agli ufficiali era imperativa e la disciplina era rigida. In battaglia la legione doveva muoversi come un sol uomo... i ranghi in perfetta coesione, i ripieghi corretti e rapidi, occhi e orecchie dei soldati attenti agli ordini e mani pronte all'azione. Si allenavano a formare, a comando, una fila singola, una doppia fila, un cuneo, un cerchio, un quadrato e la testuggine; quest'ultima era una formazione speciale a quadrato - utilizzata per prendere d'assalto le mura delle città - con la quale gli uomini si riparavano sotto un carapace di scudi.

Facevano combattimenti simulati, feroci quasi quanto quelli reali, e i soldati qualche volta si ferivano se non ponevano abbastanza attenzione. Massimo e i suoi amici guardavano per ore le esercitazioni. I suoi compagni si divertivano per la violenza; lui invece teneva d'occhio gli schemi, ascoltava i comandi e osservava l'autorità dei centurioni.

Una sera Massimo trovò il coraggio di avvicinare un centurione di nome Dario che egli ammirava particolarmente. Quest'uomo aveva la capacità di trarre il meglio dalle sue truppe senza minaccia di punizioni, e si ritrovava sporco e stanco come loro, spesso prendendo le armi per mostrare un movimento o abbassandosi nel fango per disegnare uno schema; e conosceva per nome ogni soldato della legione. Quella sera, Dario stava seduto fuori dalla sua tenda, pulendo attentamente le sue armi. Il suo viso era spaventoso, segnato da livide cicatrici, eppure Massimo non ne era intimidito.

- Signore?

Dario alzò lo sguardo e sorrise.
- Massimo.

Massimo fu colto un po' alla sprovvista.
- Come mai conosci il mio nome, centurione?

- Oh, è mio dovere tener d'occhio un potenziale soldato. Mi piace quello che vedo in te.

- Grazie, centurione. Anch'io ti ammiro molto.

Dario rise al candore del ragazzo.
- Che cosa posso fare per te, Massimo?

- Voglio addestrarmi per diventare un soldato, signore. Sento di essere pronto.

Dario lo esaminò, notando le sue braccia e spalle robuste.
- Quanti anni hai?

- Quasi quindici, signore.

- Quasi?

- Tra poche settimane, credo.

- Mmm. Bene, sei ancora molto giovane ma hai l'aria di essere in buona forma. Ti dirò: se puoi provarmi di essere pronto, sarò veramente contento di lavorare con te.

- Cosa devo fare, signore?

- Escogiterò per te una serie di prove, per stabilire la tua preparazione.

Massimo era euforico.
- Grazie, centurione. - Fece per girarsi e andarsene, timoroso di offendere il centurione monopolizzandogli il tempo.

- Massimo, siediti qui. - Dario gli indicò un posto accanto a lui. - Puoi aiutarmi a pulire le mie armi.

Massimo sedette sul basso sgabello di legno e prese il pesante scudo di legno che l'uomo gli tese.
- Dimmi, Massimo, perché hai scelto me per essere il tuo istruttore? Ci sono molti uomini più anziani di me che potrebbero aiutarti.

- Mi piace il tuo stile, centurione. Mi piace il modo in cui parli ai tuoi uomini e lavori al loro fianco. Ti ammirano, direi. Combattono per te perché ti ammirano, non perché li minacci come fanno certuni. Certuni non sembrano aver voglia di sporcarsi i vestiti di fango.

Dario fissò sorpreso il ragazzo. Questo non era il solito giovinetto eccitato dalla prospettiva di spargere il sangue del nemico. Restò in silenzio e lasciò che Massimo continuasse.

- E gli schemi che sviluppi, le strategie... Penso che siano davvero brillanti.

Questo ragazzo osservava le manovre?
- Be', grazie, Massimo.
Restarono in silenzio un momento, ognuno assorto nei propri pensieri. Poi Dario disse:
- Da dove vieni, ragazzo?

- Ispania, signore. Dalle colline. Sono nato là, in una fattoria.

- Come sei finito nella Legione Felix?

Un'ombra attraversò il viso del ragazzo.
- La mia famiglia perì in un incendio, signore. Io fui risparmiato. Non so perché...

- Talvolta, veniamo risparmiati per una ragione, Massimo. Gli dei hanno progetti per noi. - Dario rimase pensoso per un momento, poi aggiunse: - Continua.

- Fui mandato a vivere con dei prozii, ma non riuscivo ad adattarmi, là. Quando un giorno vidi questa legione accampata vicino al mare, semplicemente mi unii ad essa. Sapevo che era ciò che volevo fare.

Dario mise da parte la sua spada luccicante e si voltò per affrontare il giovane al suo fianco. Disse con serietà:
- Renditi conto, Massimo, che tu non dovresti proprio essere qui. Tu fai parte a buon diritto dell'esercito ausiliario. E' lì che i ragazzi provenienti da famiglie come la tua iniziano l'addestramento prima di unirsi alle legioni. - Dario sorrise con benevolenza vedendo il ragazzo impallidire visibilmente sotto l'intensa abbronzatura. - Forse si può fare qualcosa a questo proposito. Forse. Perché non impari semplicemente a essere il miglior soldato possibile e lasci che mi occupi io del resto?

- Grazie, centurione, - sussurrò Massimo, scosso al pensiero di dover lasciare la legione.

- Adesso va' via, ragazzo, e cerca di dormire molto. Avrai bisogno di essere in forma per le prove. Inizieremo fra due giorni. Vieni a trovarmi venerdì, dopo le esercitazioni.

- Sì, signore, e grazie.
Dario si limitò ad annuire, congedando il ragazzo voltandogli le spalle. Cominciò a giocherellare con il lembo della tenda, ma il giovane era ancora immerso nei suoi pensieri. Dario non aveva mai incontrato un ragazzo come lui.

 

Capitolo 8 - La prova

Dario si era appena seduto dopo l'esercitazione, la sera del venerdì, che Massimo si mise al suo fianco. Non si era dimenticato del ragazzo, ma aveva sperato in pochi momenti di riposo. Tuttavia sorrise, tirandosi di nuovo in piedi, afferrò una coperta di lana e fece cenno al ragazzo di seguirlo. Guidò Massimo fuori dall'accampamento fino al ciglio del largo, scuro fiume Danubio.
- Sai nuotare?

- Sì, signore!

- Allora nuota fino a metà fiume e ritorno.

Massimo fissò la sponda lontana e cercò di valutare dove si trovava la metà.

- Limitati a nuotare, - disse Dario. - Ti dirò io quando tornare indietro. Trova il tuo ritmo. L'idea è di farlo, non di farlo in fretta.

Massimo sedette per terra e cominciò a togliersi gli stivali.

- Tienili su. Non puoi tirarti via gli stivali in battaglia.

Il ragazzo annuì ed entrò in acqua fino alle ginocchia, rabbrividendo quando il freddo gli sollevò la pelle d'oca per tutto il corpo. Poi ruppe la superficie con un tuffo basso e riemerse con le braccia che fendevano l'acqua e le gambe che scalciavano con forza.

- Rallenta! - Massimo udì il comando urlato dall'argine e stabilì un ritmo vigoroso e regolare. Mantenne il viso nell'acqua, tranne che per respirare e controllare ogni tanto la sua posizione. Dario presto diventò un puntino in lontananza. Non era troppo stanco, tuttavia si sentiva sempre più infreddolito e l'acqua intorno a lui era nera come pece.

Dario sentì crescere l'apprensione non appena divenne sempre più difficile distinguere Massimo nella luce declinante. Poteva udirlo, però, e i suoi movimenti suonavano ancora potenti e regolari. Dario maledisse la propria stupidità per aver fatto fare al ragazzo una cosa tanto pericolosa e così a tarda sera. Stava facendo sempre più freddo e più buio e il centurione decise di richiamare Massimo nonostante non avesse ancora raggiunto il centro del fiume. Si mise le mani a coppa intorno alla bocca e gridò il nome del ragazzo. I colpi regolari continuarono. Dario urlò ancora, più forte questa volta, ma di nuovo non riuscì a farsi udire. Che cosa gli era preso di spingere Massimo così lontano? Per vedere se il ragazzo poteva farlo? Per vedere se voleva farlo?

Dario si sbracciò freneticamente per far tornare indietro il ragazzo. Questi continuò a nuotare. Dario fu raggiunto sulla riva da alcuni uomini dell'accampamento attirati dalle sue grida affannose. Il centurione spiegò rapidamente la situazione e ora tutti gli uomini gridavano il nome di Massimo e agitavano le braccia. Il grande cane grigio appartenente al generale cominciò ad abbaiare come impazzito.

Fu proprio l'abbaiare ad attraversare la mente esausta di Massimo. Smise di nuotare, batté l'acqua per rimanere a galla, e fu stupito di vedere quanto fosse lontano dalla sponda... era più vicino alla riva opposta, e alle tribù germaniche, che a Dario. Rotolò sul dorso e fece il morto fino a riprendere fiato, poi ordinò ai suoi muscoli affaticati di funzionare ancora quando cominciò a ritornare verso la riva. Avrebbe nuotato verso l'abbaiare del cane.

Sollevati che il ragazzo stesse finalmente tornando indietro, Dario e gli altri s'immersero nell'acqua fino alla vita, pronti a tirar fuori Massimo o ad andargli incontro se necessario. Ercole percorreva la riva su e giù abbaiando ancora ininterrottamente.

Fu con la sola forza di volontà che Massimo obbligò il proprio corpo a continuare a muoversi dopo essersi completamente intorpidito. I suoi arti divennero una macchina funzionante da sé, mentre continuava a fendere l'acqua. Appena si avvicinò alla riva, alcune mani si allungarono verso di lui.
- No, - urlò Dario. - Lasciatelo fare. E' arrivato fin qui. Lasciatelo finire.

I polmoni in fiamme, Massimo finalmente sentì qualcosa di solido sotto i piedi. Si rese vagamente conto che altri corpi lo attorniavano. Barcollò sulla riva e cadde sulle ginocchia, poi fu immediatamente gettato a terra da Ercole, il quale lo fece cadere, esausto, lungo disteso a pancia in giù. Massimo riuscì a rivoltarsi e abbracciò il corpo caldo e coperto di pelliccia del cane, stringendolo al proprio, scosso dai brividi, la bocca aperta in cerca d'aria mentre le lunghe leccate dell'umida lingua del cane gli bagnavano il viso.

Dario trascinò via il cane, lanciò la coperta asciutta sul ragazzo e ve lo avvolse.
- Ben fatto, Massimo, ben fatto, ragazzo.
Il centurione strofinò le mani di Massimo guardando con apprensione le labbra blu e il battere dei denti del ragazzo. Sentendosi terribilmente in colpa, sorresse Massimo nell'oscurità e lo riportò verso la propria tenda. Dario ignorò gli sguardi interrogativi dei soldati raccolti intorno ai fuochi e sollevò il lembo della sua tenda per far entrare il ragazzo tremante, mentre Ercole si lasciava cadere a terra fuori. Gettò una tunica asciutta a Massimo e gli indicò un angolo scuro della tenda.
- Cambiati. Tornerò tra pochi minuti.

Le mani tremanti di Massimo non volevano cooperare e gli ci volle qualche momento per farsi passare sopra la testa la tunica di lana bagnata fradicia. Sospirò mentre scivolava in quella asciutta, poi si sedette e cercò di slacciarsi le stringhe di cuoio bagnate degli stivali. Udì sollevarsi il lembo della tenda e alzò gli occhi un attimo prima che la vista gli venisse oscurata da una coperta gettatagli sulla testa con l'ordine di stare fermo. Le mani forti di Dario gli strofinarono vigorosamente i capelli, poi Dario gli mise la coperta sulle spalle e gliel'avvolse saldamente attorno. Tese una fiasca al ragazzo e gli ordinò di bere; nel frattempo usò il proprio coltello per tagliare gli stretti lacci bagnati degli stivali di lui.

Massimo inclinò la testa e lasciò colare il liquido nella gola. Inghiottì a lunghi sorsi e quando il liquido divenne fuoco e minacciò di strangolarlo si ritrovò a lottare per riprendere fiato. Tossendo quasi soffocato, inspirò grandi boccate d'aria per spegnere l'incendio nella sua gola.

Dario rise.
- Devi sorseggiarlo. Ti scalderà più velocemente di qualunque altra cosa.

Massimo esitò ma bevve di nuovo dalla fiaschetta, trattenendo il liquido sulla lingua e lasciando che gli gocciolasse in gola un po' per volta. L'effetto fu prodigioso ed egli si sentì presto più caldo... e un po' stordito.

Una volta toltigli gli stivali bagnati, Dario avvolse i piedi del ragazzo in un'altra coperta. Subito i brividi diminuirono, poi cessarono e il ragazzo ritrovò il suo normale colorito. I suoi capelli scuri si erano arricciati selvaggiamente a causa del massaggio con la coperta e i suoi occhi blu erano ritornati limpidi.

- Allora, - disse Dario, - sei pronto per la prossima prova?

Massimo alzò lo sguardo un po' sgomento.
- Sì, signore. - Che altro c'è, adesso? si domandò.

Il centurione rise.
- Non credo che tu abbia bisogno di ulteriori prove, ragazzo mio. Hai provato la tua forza e il tuo onore oltre ogni biasimo, stasera. - Allungò la mano e gli strinse una spalla coperta. - Sei stato bravo, Massimo, sei stato davvero molto bravo. Adesso, torna alla tua tenda. Darò ordine che domani tu abbia nuovi stivali. Questi sono piuttosto malconci.

- Grazie, centurione, - disse con calma Massimo prima di uscire, trascinando la coperta per terra dietro di sé. Ercole saltò su e trotterellò accanto al ragazzo. Sulla via di ritorno verso la sua tenda, avvolto nel calore della lana, con un manto di stelle sopra la testa, Massimo provò le parole forza e onore sulle labbra.

Dario restò a guardare il vano vuoto dell'entrata per qualche momento, perduto nelle sue riflessioni. Quello che aveva compiuto quel giovane quella sera era straordinario. Doveva vedere il generale Patroclo al più presto.

 

Capitolo 9 - La conversazione

- Ti dico, Patroclo, che questo ragazzo è eccezionale. Lui...

- Non mi stai dicendo nulla che io già non sappia, Dario.

- Patroclo, ha un potenziale in capacità di comando... un vero potenziale.

- So anche questo.

- Allora sai anche che viene da una comune famiglia delle colline d'Ispania? La sua famiglia non aveva alcun legame con l'esercito. Erano contadini.

La mano del generale si fermò a metà strada tra il tavolo e la sua bocca, il ricco vino rosso nella coppa dimenticato.
- Erano?

- Sono morti tutti, Patroclo. Uccisi da un incendio. Gli ho spiegato che avrebbe dovuto unirsi agli ausiliari, in primo luogo, e lui ha cominciato ad angosciarsi. Vuole stare qui, Patroclo, e questo esercito avrà bisogno di un soldato come lui; un soldato che potrebbe essere un capo, un giorno.

- Non è un problema, Dario. Se è bravo come tu dici, il ragazzo può rimanere qui. - Il generale sorseggiò di nuovo il suo vino, poi fece roteare tra le dita lo stelo del calice. - Così Massimo potrebbe perfino diventare centurione, un giorno.

Dario posò lentamente la sua coppa di vino e si voltò leggermente per fissare le fiamme danzanti nella lampada ad olio sul massiccio tavolo di legno. La luce tremolante giocava sul viso del centurione, accentuando le profonde cicatrici, che testimoniavano il suo coraggio in trascorse battaglie.

Patroclo mise i gomiti sulla tavola e si piegò verso il suo centurione, la curiosità chiaramente leggibile sul suo volto.
- Non è ciò che volevi sentire, Dario?

- Sì, naturalmente, signore.

Le sopracciglia del generale si sollevarono all'improvvisa formalità nel tono del centurione e nel modo in cui gli si era rivolto. Afferrò un polso dell'uomo, forzandolo a incontrare i suoi occhi.
- Allora cosa?

- E' solo che non è abbastanza, Patroclo. Non per questo ragazzo. Raggiungerà il livello di centurione in poco tempo, ne sono convinto. Poi sarà promosso al più alto livello di centurione... e poi non potrà avere altre promozioni, perché appartiene a una famiglia di umili origini. Sarà un terribile spreco del suo potenziale.

- E' qual è questo potenziale, secondo te?

- Generale, - rispose fermamente.

Adesso Patroclo era veramente sorpreso. Si alzò in piedi e percorse la lunghezza della tenda avanti e indietro, le sopracciglia corrugate mentre rifletteva, le mani intrecciate dietro la schiena.
- Vuoi dire che un ragazzo di quindici anni ha una potenziale attitudine al comando per diventare un generale?

Dario incontrò lo sguardo attento del suo generale, ma non disse nulla.

- E dopo che cosa? Una nuotata nel Danubio? - domandò Patroclo con un accenno di sarcasmo.

- Quello, e molto altro ancora.

- Bene, non perdere tempo nemmeno a pensarci, perché non accadrà mai. Sai quanto me che sarebbe dovuto nascere nella classe senatoriale per diventare un generale.

- Signore, è un fatto che alcuni uomini che hanno avuto grande potere a Roma non erano nati in quella classe. Come hanno fatto, loro, a diventare capi politici e militari?

Patroclo andò a fermarsi davanti a un busto di marmo bianco di Marco Aurelio e disse con voce calma.
- Penso che anche Marco Aurelio avesse visto qualcosa in Massimo. Sembrava molto interessato al ragazzo. - Patroclo sospirò. - C'è qualcosa che si potrebbe fare, ma dovrò ottenere il permesso dell'imperatore anche solo per portare avanti la questione. Mi aspetto di rivederlo in questa zona entro poco tempo e gliene parlerò al momento opportuno.

Dario sapeva che non doveva osare spingersi oltre.
- Grazie, Patroclo.

Sempre contemplando il busto dell'imperatore, Patroclo annuì appena e il centurione seppe di esser stato congedato. Appena fuori dalla tenda udì il generale che lo chiamava. Mise dentro la testa.
- Signore?

- Comincia ad addestrare il ragazzo come un soldato, ma vacci piano. Ricorda la sua età, Dario, e non rischiare ancora la sua vita.

Piuttosto costernato ma euforico, Dario fece un largo sorriso e fischiettò l'aria di una canzonetta oscena, mentre tornava alla sua tenda. Personalmente, non sarebbe mai diventato più di un centurione, nell'esercito romano, ma desiderava contribuire di più. Così, il suo contributo avrebbe avuto una forma diversa... quella di addestrare un giovane che Dario era convinto sarebbe diventato suo ufficiale superiore, un giorno.

 

Capitolo 10 - La lezione

- Ah! - grugnì Massimo quando roteò ancora una volta con forza la spada di legno contro il grosso palo, causando una forte vibrazione che risalì per tutta la lunghezza del suo braccio fino alla spalla e al collo. Ripeté l'esercizio ancora e ancora, prima portando i colpi di diritto, poi di rovescio, finché il dolore nel braccio divenne insopportabile, poi cambiò mano e continuò finché entrambi i lati del suo corpo urlarono in cerca di sollievo. Solo allora si fermò a riprendere fiato. Dario gli aveva detto che quell'esercizio era usato dai gladiatori che combattevano nella grande arena di Roma per il piacere delle folle. Massimo non riusciva a immaginarla - un'arena contenente più di 50 000 persone urlanti per reclamare la morte - una morte che non aveva altro scopo se non quello di divertire il popolo.

Massimo gemette quando si appoggiò al palo che aveva appena attaccato. Ne avrebbe pagato lo scotto anche quella notte, ma il dolore stava diminuendo ogni giorno, mentre le sue braccia e spalle diventavano sempre più forti e voluminose. Chiuse gli occhi per un momento e non vide l'ombra che avanzava verso di lui, finché l'improvvisa frescura sul suo viso lo avvertì di una presenza. Trasalendo, aprì gli occhi e scattò sui piedi, il corpo in tensione. Si ritrovò a faccia a faccia con un Quinto dall'aria torva, anche lui con una spada di legno in mano.

- Quinto, mi hai spaventato.

- Non dovresti mai abbassare la guardia. Se fossi un vero soldato lo sapresti.

Massimo sbuffò.
- Quinto, questo è solo un allenamento, non una battaglia. E' evidente che non lo farei nel corso di una vera battaglia.

- Sei troppo giovane per fare questo. Devi avere sedici anni, la mia età, per cominciare ad allenarti da soldato.

- Dario ha detto che il generale mi ha dato un permesso speciale, Quinto. Pensavo che saresti stato contento per me.

Quinto fissò i muscoli in rilievo sulle braccia del suo amico: non gli sembrava che fossero là, appena una settimana prima. Stava osservando Massimo e Dario insieme da qualche tempo, ormai, e la gelosia gli rodeva il ventre. Questo Ispanico stava ricevendo fin troppe attenzioni.
- Comincerò ad allenarmi con una vera spada, domani.

Massimo sorrise e cercò di alleggerire la tensione tra loro.
- Io non sarò pronto per quello ancora per un bel po' di tempo, temo. Tu sei molto più avanti di me nell'addestramento, Quinto.

- Non ha importanza, comunque, - disse Quinto. - Ho sentito che presto si libereranno dei ragazzi che non dovrebbero essere qui e li manderanno negli ausiliari, così tu e Lucio non starete in giro ancora per molto.
La frase di Quinto ebbe l'effetto desiderato ed egli guardò con soddisfazione il sangue defluire dal viso del ragazzo più giovane. Con un ultimo sguardo compiaciuto a Massimo, Quinto girò sui tacchi e se ne andò camminando a grandi passi. Stordito, Massimo si appoggiò al palo, con la spada di legno dondolante mollemente nella sua mano.

- E tu lo chiami amico?

Massimo si voltò e vide Dario in piedi sotto l'ombra di un'enorme quercia.

-Vieni qua, Massimo, e siediti all'ombra per un momento. Dobbiamo parlare.

Dopo essersi seduti, Dario su di un ceppo e Massimo sul terreno coperto di muschio ai suoi piedi, Dario continuò.
- Tu non vai da nessuna parte, Massimo. Il generale intende permetterti di restare con la legione.

Al ragazzo sfuggì un enorme sospiro tremante.
- Grazie, centurione. - Tacque per un istante, poi chiese. - E Lucio?

- Lucio andrà con gli ausiliari.

Massimo mosse le ginocchia pronto a protestare per il destino del suo amico, ma Dario lo fermò alzando una mano.
- Non è grande e forte abbastanza per essere un legionario, Massimo. Di certo lo puoi vedere anche tu. Ma sarà utilizzato bene negli ausiliari. Hanno bisogno di lui, là. Abbiamo avuto notizia, ieri, che i territori romani dell'Est sono stati invasi dai Parti. Hanno invaso la Siria. L'imperatore Lucio Vero si sta dirigendo là con quattro legioni per portare rinforzi in quell'area e non v'è dubbio che ci sarà guerra. Il generale Avidio Cassio sarà sotto il suo comando. Cassio stesso è il comandante di tutte le legioni orientali e ha anche il controllo delle unità ausiliarie. Ha chiesto qualunque rinforzo possiamo offrirgli, così tutti i giovani soldati che non sono legionari partiranno per l'Est domani. Tu rimarrai qui e continuerai il tuo addestramento.

Con un gesto tenero che non gli era affatto consueto, Dario allungò la mano e carezzò i capelli del giovane, sorridendo mestamente.
- Non lasciare che ti vedano piangere, Massimo. Anche se le budella ti si torcono dal dolore, non lasciare mai che ti vedano piangere.

- E' il mio migliore amico. - La voce di Massimo era flebile e le lacrime trattenute gli facevano dolere la gola.

- Lo so, ma l'amicizia è una cosa strana nell'esercito. Per quanto tu mi sia caro, per esempio, un giorno potrei doverti ordinare di andare in battaglia, sapendo che ci sono buone probabilità che tu muoia. Ma lo farei. Forse un giorno dovrai farlo anche tu con uomini a cui tieni. Questo è uno degli aspetti più difficili dell'essere un capo, Massimo. Non puoi mostrare le tue paure e il tuo dolore. Devi essere forte per gli uomini sotto il tuo comando. Essi sono spaventati e contano sulla forza di carattere dei loro capi per sentirsi più forti. Se quei capi lasciano vedere che hanno paura, gli uomini sono perduti. Mi hai capito?

Massimo annuì lentamente.

- C'è molto da imparare sull'arte del comando e questa va oltre il significato di "miglior combattente". E il motivo per cui sto passando tanto tempo con te, mio giovane amico, è perché sento che tu sai queste cose istintivamente. Qualcuno deve solo metterle in prospettiva per te. - Dario fece un largo sorriso. - E quello sono io.

- Sei intervenuto tu perché io potessi restare con la Legione Felix?

Dario alzò le spalle come se non fosse importante.
- Mmm.

- Ti devo molto.

- Non mi devi altro che diventare il migliore che tu possa essere. Ho grandi speranze per te, Massimo. Non deludermi.

Massimo scosse la testa solennemente e si appoggiò contro il tronco nodoso dell'alta quercia, confortato dalla presenza rassicurante dell'uomo più anziano.

 

 

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