La Storia di Massimo: Capitoli 51 – 55

 

 

 

Capitolo 51 - Cominciare a conoscersi

Massimo si inginocchiò e appoggiò le braccia incrociate sul bordo del lettino basso di suo figlio, fissando il volto angelico dormiente del bambino. Olivia sedeva a gambe incrociate sul pavimento a fianco del marito, lo sguardo sul suo viso mentre egli carezzava la tenera guancia di Marco con un dito incerto. Perduto nel sonno, il bimbo non si scansò e il soddisfatto sospiro di sollievo di Massimo portò un sorriso sulle morbide labbra di sua moglie.

Olivia fece scorrere lentamente il palmo aperto sulla schiena del marito e lungo le spalle, riprendendo familiarità con la vigorosa robustezza del corpo di lui. Si sollevò in ginocchio e gli avvolse le braccia attorno al collo, sussurrandogli all'orecchio:
- E' coraggioso come il suo papà, e curioso di tutto. - Olivia posò il mento sulla spalla di Massimo e gli baciò il collo proprio sotto l'orecchio. - Sono certa che non avrebbe reagito in quel modo con te, se io non avessi urlato quando ti ho visto. Era spaventato perché pensava che io fossi spaventata. Quando vedrà quanto ti amo, il suo atteggiamento cambierà, vedrai. - Gli baciò la guancia. - Vieni a letto, Massimo, - lo invitò.

- Comincia a prepararti. Io arrivo fra poco. - I suoi occhi non lasciarono il viso del figlio.

Olivia baciò Massimo ancora una volta, poi in punta di piedi andò nell'attigua camera da letto, dove prese in considerazione la camicia da notte che usava di solito, per scartarla a favore di una più sensuale, in seta color crema, intessuta di fili d'oro. Infilandola dalla testa, studiò con aria critica le sue forme nel lungo specchio che stava in piedi nell'angolo. Era cambiata molto in quegli anni, da quando Massimo l'aveva vista l'ultima volta? La sua figura era ancora snella nei punti giusti e piena dove doveva esserlo. I suoi capelli neri brillavano ancora, quando le loro onde lucenti le ricadevano sulle spalle e dietro la schiena, fino alla vita. Scosse la testa, facendo danzare la folta massa attorno alle spalle, e schioccò la lingua al suo stesso riflesso, cercando di calmare l'agitazione che le fluttuava nello stomaco. Era passato così tanto tempo da quando si erano visti, che quasi sembrava la loro prima notte insieme e Olivia voleva disperatamente che tutto fosse perfetto. Si applicò del profumo tra i seni e alla base della gola, poi fece scorrere le dita tra i capelli prima di arrampicarsi sul letto. Si distese dal lato destro, come faceva sempre anche quando Massimo non era lì, il suo posto riservato per lui, sempre.

 

Olivia si svegliò bruscamente e si sedette confusa. Il letto a fianco a lei era vuoto, le lenzuola intatte. Da quanto si era addormentata? Gettò le gambe a lato del materasso e camminò scalza in punta di piedi verso la stanza del figlio. D'un tratto si fermò ad ascoltare, la testa eretta mentre la bassa voce sonora del marito la raggiungeva. Le parole di lui erano indistinguibili, ma ella sapeva che si stava rivolgendo al figlio addormentato. Le labbra le si distesero in un lieve sorriso e ritornò a letto. Massimo sarebbe arrivato quando fosse stato pronto.

 

La volta dopo in cui si svegliò, era teneramente stretta dal braccio sinistro del marito, la guancia sul suo petto, il cuore di lui che batteva con lenti tonfi sotto il suo orecchio. Olivia sollevò un poco la testa e scoprì Massimo profondamente addormentato, totalmente rilassato, una mano gettata sopra la testa, le dita piegate come quelle di un bambino. Come poteva un uomo di tale forza e virilità, un uomo con tali pesanti responsabilità, un uomo di guerra, sembrare così dolce e fanciullesco e... vulnerabile?

- Mamma? - chiamò una vocina dalla camera accanto.

Olivia sgusciò da sotto l'abbraccio dell'esausto marito e volò alla porta, lanciandosi un'occhiata alle spalle per assicurarsi di non aver disturbato Massimo. Dopo aver aperto lentamente la porta, congedò con un cenno del capo la nutrice di Marco, prese in braccio il bambino e lo strinse a sé. Marco ridacchiò quando Olivia gli fece il solletico mentre gli cambiava gli indumenti. Poi, mormorando parole rassicuranti, ritornò in camera sua e sedette sul bordo del letto, tenendo Marco in braccio. Il bambino studiò l'uomo addormentato con un po' di trepidazione. Nessuno era mai stato nel letto di Mamma prima, eccetto lui stesso, e non era sicuro che questo gli piacesse. Olivia lo cullò dolcemente e gli spiegò in un sussurro che quell'uomo era Papà. Poi si sdraiò a fianco di Massimo, il corpo appoggiato ai cuscini, e fece sedere Marco nel suo grembo. Suo marito non si mosse.

Il piccolo infilò quattro dita in bocca e per un po' fissò attentamente l'uomo, prima di allungare con cautela un piedino per sfiorargli il braccio muscoloso con l'alluce minuscolo. Massimo non si mosse, ma il bambino tirò via in fretta il piede, come se il braccio dell'uomo lo avesse scottato. Olivia sorrise a Marco e sussurrò parole d'incoraggiamento. Egli lentamente allungò di nuovo il piedino, esitò e guardò la mamma, che annuì e sorrise. Questa volta agitò le ditina del piede contro il braccio vigoroso, poi lo ritirò in fretta quando Massimo spostò il braccio destro per grattare il punto dove aveva sentito solletico. Gli occhi di Marco si spalancarono ed egli guardò i muscoli incresparsi prima di tornare in stato di riposo. Il bimbo ridacchiò, poi strinse entrambe le manine sulla bocca per soffocare il suo divertimento, mentre Olivia si sforzava di controllare la propria ilarità.

Ancora una volta  Marco solleticò il braccio del padre e guardò allegro mentre suscitava la medesima reazione, ma Olivia capì che il gioco era cambiato quando vide le palpebre del marito aprirsi battendo brevemente e richiudersi di scatto quando, valutata rapidamente la situazione, finse di dormire. Il suo respiro rimase profondo e regolare e i suoi lineamenti composti, la mano destra posata ora sul suo avambraccio sinistro, pronto per la successiva mossa del figlio. Non dovette aspettare a lungo. Massimo sentì le piccole dita sfiorargli di nuovo la pelle e lui agitò le dita in risposta. Udì l'ansito, poi la risata, poi sentì di nuovo il soffice tocco. Questa volta il bambino lasciò il piedino contro il braccio del padre e Massimo dolcemente lo carezzò per tutta la lunghezza, aspettandosi che Marco lo ritraesse bruscamente. Non lo fece.

Massimo attese pazientemente, gli occhi chiusi, per scoprire quel che il piccolo avrebbe fatto dopo. Presto sentì due morbidi piedini poggiarsi contro il suo braccio e represse un sorriso quando fece camminare le dita su di essi, provocando un acuto strillo di eccitazione da parte di Marco. Massimo non riuscì a contenere oltre la propria felicità e rise forte, rotolando sul fianco e guardando in viso la moglie ed il figlio. Marco sorrise timidamente in risposta e Olivia sospirò di sollievo guardando le due persone più importanti della sua vita condividere un momento di fiducia e felicità.

 

Gradualmente, per tutta la settimana seguente, quella fiducia crebbe finché Massimo e Marco si avvicinarono, come se il padre avesse sempre fatto parte della vita del figlio. Insieme esaminavano con cura ogni angolo della fattoria, il piccolo bilanciato sulle spalle del suo papà, mentre Massimo fischiettava una vivace melodia. Facevano escursioni a piedi attraverso i campi, passando le mani tra le spighe, traendo piacere dal loro odore e dalla loro struttura. Controllavano le olive che stavano maturando nel sole caldo. Osservavano i lavoranti pigiare profumati grappoli viola fino a ridurli in poltiglia, in preparazione della produzione del vino, i piedi e le gambe macchiati di rosso scuro. Nelle prime mattinate, quando ancora chiazze di nebbia indugiavano nelle valli, immergevano una cordicella nel laghetto e sedevano nella corrente rapida aspettando pazientemente che abboccasse qualcosa.

Quando assaggiarono la frutta lasciata a seccare nel capannone che fungeva da magazzino, percepirono un debole miagolio e trovarono quattro gattini stretti insieme sotto un carro, la loro madre vigile nei pressi. Massimo mostrò a Marco come tenere le fragili bestiole, sedettero fianco a fianco e li osservarono mentre giocavano, mangiavano, e infine si addormentavano insieme, in un mucchietto.

Ma l'attività preferita di Marco era cavalcare Scarto, tenuto teneramente al sicuro nella culla creata dalle cosce e dalle braccia del padre. Il piccolo spesso si addormentava sonoramente in quella posizione, la testa poggiata contro il petto robusto del padre.

Olivia li osservava da lontano, ansiosa di dar loro del tempo per stare soli insieme, pervasa da un grande senso di pace. Questo era il luogo al quale Massimo apparteneva. Ella osservava la tensione che si dileguava dalle spalle di lui e le rughe di preoccupazione svanire dalla sua fronte. I capelli gli crescevano più lunghi e folti e gli si sollevavano dalla fronte nella brezza quando sedeva sul dorso del grande stallone, gli occhi socchiusi per il sole mentre controllava le sue terre. Entrava in casa ogni sera con le mani ed i vestiti sporchi di terra e un'aria assolutamente soddisfatta sul volto.

Tuttavia, una paura costante e tormentosa rodeva gli orli della consapevolezza di Olivia e, pur tentando in ogni modo, ella non riusciva a scacciarla. Massimo le aveva raccontato con disinvoltura l'incidente con Cassio, facendolo sembrare un avvenimento banale, ma Olivia capiva il pericolo in cui si era trovato e sapeva che suo marito era completamente indispensabile a Marco Aurelio e a Roma. La sua visita alla famiglia era proprio quello: una visita, non una sistemazione permanente. Ogni mattina Olivia si ritrovava a scrutare la strada maestra in cerca di segni dei pretoriani che presto sarebbero saliti al trotto sulla collina, in una nuvola di polvere, con ordini per Massimo da parte dell'imperatore di tornare in Germania o di recarsi in qualche altra parte dell'impero dove c'era bisogno di lui. Marco Aurelio non avrebbe mai permesso a Massimo di stare assente a lungo. Anche lei e suo figlio avevano bisogno di lui, ma l'imperatore aveva di gran lunga più autorità sul destino di suo marito.

Olivia era determinata a rendere il soggiorno di Massimo il più felice possibile, a dispetto della sua durata. Ella soprintendeva alla preparazione di pasti attraenti e spesso invitava la propria famiglia a unirsi a loro a cene rumorose che duravano fino a tarda sera. Massimo si lamentava che correva il rischio di diventare grasso e Olivia lo prendeva in giro dicendo che forse era proprio quello il suo piano: farlo diventare troppo grasso per essere di qualche utilità a Marco Aurelio come soldato, così che lei potesse tenerlo alla fattoria. In verità, egli era più in forma che mai, dal momento che lavorava proprio vicino alla fattoria scavando, piantando, mietendo e trebbiando il raccolto, ma anche aggiustando recinti e carri. La terra sembrava rinvigorirlo. Andava a letto tardi e si alzava presto, nonostante molte volte si concedesse lunghe ore per far l'amore con la sua riconoscente moglie. Sorrideva spesso e rideva molto, e la sera si rilassava sotto i pioppi, con una coppa di vino speziato in mano ed il profumo di gelsomino nelle narici.

- Non voglio più tornare indietro, - confessò una notte. - Voglio solo restare qui con te e Marco e avere un bel po' di bambini. E voglio sentire la terra sotto le unghie, e guardare le cose crescere, non morire.

Olivia non rispose. Sapeva che Massimo stava dando voce ad un sogno impossibile. La sola parte che forse poteva realizzarsi era la crescita della loro famigliola e Olivia pregava che prima che Massimo fosse richiamato lei rimanesse di nuovo incinta.

 

Capitolo 52 - La visita di Cicero

Cicero si premette un pugno in fondo alla schiena e gemette quando si arcuò all'indietro, udendo le ossa scricchiolare mentre venivano forzate a tornare al loro posto. Il vecchio cavallo da guerra che stava cavalcando era adatto al suo livello di abilità, con la sua andatura lenta e pesante, ma il suo passo era irregolare e Cicero era quasi ai limiti della propria resistenza, dopo cinque settimane sulla strada. Doveva continuare a ricordare a se stesso che il viaggio era stato una sua idea e che lui stesso era causa del suo male.

Si spostò in un'altra scomoda posizione e si chiese, ancora una volta, dove fosse il dannato cane.
- Cane, - sogghignò Cicero. Così lo chiamava Massimo, ma in verità l'animale era di gran lunga più un lupo che un cane. Si riparò gli occhi con una mano e scrutò i campi alla sua sinistra, ma non c'era alcuna coda grigia che si agitasse allegramente nell'erba alta. Bene, ovunque si trovasse, avrebbe reso nota la sua presenza fin troppo presto. Per quanto la bestia lo infastidisse, Cicero doveva ammettere che Ercole era una buona compagnia la notte, gli dava molta protezione e lo riforniva regolarmente di conigli.

Nonostante i foschi pensieri sui suoi compagni animali, l'umore di Cicero si era alleggerito considerevolmente quella mattina, perché si era reso conto che il viaggio sarebbe presto finito. Un vecchio cartello stradale di legno affisso ad un palo lo aveva informato che aveva attraversato il confine ed era entrato in Ispania. Sarebbe presto stato nel luogo che gli spettava... con il generale Massimo.

All'improvviso Ercole passò correndo sotto la pancia del cavallo, tra le sue zampe, poi si voltò nella strada per mettersi di fronte all'uomo e al cavallo, l'intero suo corpo ondeggiante mentre dimenava la lunga coda, una piccola preda di pelliccia schiacciata tra le enormi mascelle. Cicero tirò le redini ed il cavallo, sorpreso, si arrestò di colpo, inducendo i denti di Cicero a chiudersi di scatto, facendogli quasi mordere la lingua. Ercole lasciò cadere in strada la sua preda e attese le parole di lode. Cicero vide tuttavia che si trattava di un altro coniglio e sospirò. Avevano mangiato coniglio ogni sera, da tre settimane, ma almeno i loro stomaci erano pieni.
- Bravo, Ercole, bravo ragazzo, - disse con scarso entusiasmo, smontando e sollevando da terra la molle carcassa sanguinolenta, tenendola tra il pollice e l'indice, lontana dal proprio corpo.

Lievemente confuso dalla mancanza d'entusiasmo dell'uomo, Ercole sedette sulle anche e uggiolò piano, la testa eretta.
- Oh, e va bene, - disse Cicero dandogli dei colpetti sulla testa. - Lo apprezzo veramente. Sarei probabilmente morto di fame, a quest'ora, se non fosse stato per te. Sei un bravo cane. - Felice adesso, Ercole si distese nella polvere della strada e aspettò che il suo compagno scuoiasse il suo regalo. - Non ora, cane. Abbiamo ancora della strada da fare, oggi, e poi dovremo trovare un posticino sicuro per la notte. Vieni, bello. Ancora pochi giorni e lo rivedremo.

 

L'abbaiare trascinò Olivia fuori dalla porta principale della casa... un abbaiare profondo e frenetico che suonava in qualche modo familiare. Scrutò attentamente la strada, asciugandosi le mani bagnate su di un grembiule che le proteggeva la tunica e vide un grande cane grigio, le orecchie appiattite e la coda dritta, che risaliva la strada a tutta velocità. Era Ercole, non c'era dubbio. Ella corse in fretta fino al prato e si piegò appena in tempo su di un ginocchio, afferrando il cane quando le balzò addosso, mandandola a cadere all'indietro scompostamente nell'erba. Il grande animale sedette a cavalcioni di Olivia, bagnandole il viso con leccate appiccicose. Ella rise, poi si sfregò la faccia, lottando per controllare il cane. Afferrandolo per il collare, usò tutta la sua forza per allontanarlo da sé e si alzò in piedi guardando verso la strada ancora vuota. Il momento che temeva era giunto. Presto, i soldati sarebbero apparsi sulla cresta della collina per portare via Massimo. Raddrizzò la schiena, si ripulì i fili d'erba dalla tunica e inghiottì i singhiozzi che minacciavano di eromperle nella gola, preparandosi a dare il benvenuto ai pretoriani con la compostezza che si addiceva alla moglie di un generale.

Pochi minuti dopo, il segnale di polvere rivelatore annunciò l'arrivo dei visitatori. Ma era una piccola folata di polvere, non le dense nuvole scure sollevate di solito dalla Guardia pretoriana e Olivia presto si rese conto di stare guardando un solo cavaliere.

Il cavaliere si avvicinava, rimbalzando maldestramente sul dorso del cavallo messo al trotto e si fermò a pochi metri da Olivia. Lei lo udì gemere mentre smontava e lo vide incespicare leggermente. Istintivamente si mosse in avanti e offrì la mano in aiuto, ma egli la rifiutò, agitando la propria, i folti capelli di uno scuro castano dorato che momentaneamente gli coprivano la vista. Egli spostò indietro i capelli e chiese:
- Sto cercando la casa del generale Massimo. Sono arrivato nel luogo giusto?

Olivia per un attimo trasalì davanti alle profonde cicatrici che attraversavano il viso attraente dell'uomo, ma si riprese in fretta e rispose:
- Sei arrivato nel luogo giusto. Io sono la moglie del generale Massimo.

Il visitatore sorrise.
- Il generale non ha esagerato la tua bellezza, mia signora.

- Chi sei?

- Perdonami, mia signora. Io sono Cicero, il servitore del generale. Sono venuto dalla Germania per stare con lui.

Olivia scrutò di nuovo lungo la strada.
- Ci sono altri con te?

- Nessun essere umano, mia signora. Solo questo vecchio cavallo e una bestia grigia che il generale chiama cane. E' corso via e mi ha lasciato qualche tempo fa.

- Ercole è qui. - Olivia si guardò intorno e si accorse che l'animale se n'era andato. - Credo che sia andato in cerca di Massimo. - Esitò, poi coraggiosamente chiese. - Sei venuto con ordini per mio marito di ritornare?

- No, mia signora...

Olivia sospirò di sollievo, rilassando le spalle.

- Io servo il generale Massimo e dovrei stare dove sta lui. Sono venuto per questa ragione, sebbene reco lettere da parte del legato Quinto che funge da comandante in sua assenza.

Un radioso sorriso illuminò il viso di Olivia.
- Allora sei il benvenuto, Cicero. Perdona le mie maniere e, per favore, vieni dentro. I servitori si occuperanno del tuo cavallo. Devi essere molto stanco e affamato.

- Sì, mia signora, confesso che sono sia l'uno che l'altro, - disse Cicero salendo i gradini dopo di lei ed entrando nell'ombra accogliente della grande casa di pietra. Olivia gli mostrò dove lavarsi via la polvere dal viso e dalle mani, poi lo scortò al triclinium, dove gli versò vino addolcito con miele, prima di andare ad informare i cuochi che avrebbero avuto un ospite a cena.

Cicero era seduto nella sala da pranzo da pochi minuti quando udì passi di corsa nell'atrio, seguiti da un raspare di cane che si affannava a trovare una presa sul mosaico di piastrelle del pavimento. Qualche istante dopo Massimo gettò un'occhiata nell'entrata della sala da pranzo, passando oltre, poi Cicero ne udì scivolare i sandali quando il generale si arrestò di colpo. Il cane se la passò molto peggio, le mandibole che cercavano inutilmente di afferrarsi alle piastrelle mentre tentava d'invertire all'improvviso il senso di marcia, e Cicero sobbalzò quando udì il grosso animale sbattere con un rumore sordo contro una parete.

Massimo irruppe dall'entrata, gli occhi spalancati per la sorpresa.
- Cicero! - esclamò. - Cicero... che cosa ci fai qui? Ci sono gli altri? Dove sono gli altri?

Cicero si alzò per salutare il suo generale in modo appropriato.
- Non c'è nessun altro, signore, e io sono qui per servirti. Non c'era motivo che rimanessi in Germania se tu eri in Ispania. Inoltre, - si strinse nelle spalle, - avevo bisogno di allontanarmi dalla Felix III.

Massimo fece un largo sorriso e afferrò la mano di Cicero in segno di saluto, poi lo abbracciò brevemente.
- Hai un aspetto terribile, - rise. - Un viaggio duro, eh?

- Non so come tu faccia, generale... viaggiare per tutto l'impero su di un cavallo. La mia schiena non si riprenderà mai, per non parlare del mio fondoschiena.

- Un bagno caldo più tardi aiuterà molto, - disse Olivia entrando nella stanza, seguita da servitori che reggevano vassoi di cibo e bevande.

- Hai conosciuto mia moglie? - chiese Massimo, rivolgendo ad Olivia uno sguardo colmo d'amore.

Cicero annuì.
- Sì, signore, e la tua descrizione di lei era del tutto accurata.

- E mio figlio... hai visto mio figlio? - Quando Cicero scosse la testa Massimo si diresse alla porta, ma fu fermato da Olivia, che bloccò l'entrata con il proprio corpo.

- Massimo, Marco sta facendo un pisolino. Se lo svegli adesso, sarà di malumore per tutta la serata. Cicero può conoscerlo quando si sveglierà; ciò darà a noi l'opportunità di cenare in pace.

- Naturalmente. Hai ragione. - Massimo guardò Cicero con aria piuttosto mite. - Ho la tendenza a dimenticare quanto sia piccolo, e lo vorrei con me tutto il tempo.

- Siediti qui, Cicero, - disse Olivia, dirigendo il suo ospite al divano in fondo alla stanza. Massimo trascinò un Ercole recalcitrante fuori dal triclinium e gli ordinò di stare a cuccia, poi raggiunse Olivia sul divano di fronte alla porta. La conversazione cessò brevemente mentre venivano serviti i primi piatti, poi ricominciò con serietà quando mangiarono le insalate e i gamberetti. Ercole si buttò pesantemente sul pavimento proprio fuori dal vano della porta, il muso sulle zampe, obbligando i cauti servitori a scavalcarlo.

- Sei un soldato, Cicero? - chiese Olivia, ancora conscia delle profonde cicatrici sul viso di lui.

- Lo ero, mia signora. Ero in fanteria. - Cicero esitò e lanciò un'occhiata a Massimo, che accennò col capo affinché continuasse. - Fui catturato da una tribù barbara in Germania, cinque anni fa e... ferito.

- Fu torturato, - disse Massimo con semplicità e batté sulla mano di Olivia quando lei impallidì visibilmente.

- Quando i soldati romani mi soccorsero ero quasi morto e ci vollero mesi prima che fosse certo che sarei vissuto. - Cicero bevve una lunga sorsata di vino. - Quando mi ripresi capii che rivivevo quell'esperienza ogni volta che mi preparavo a marciare di nuovo in battaglia e che semplicemente non potevo più farlo. Provai e riprovai... Sapevo che sarei stato congedato in anticipo e che la mia pensione sarebbe stata messa a rischio. Non ho famiglia... la mia vita intera è stata l'esercito. - Cicero lanciò un'occhiata a Massimo. - Mi fu assegnato il compito di servire Massimo, quando divenne generale, e da allora l'ho servito con orgoglio.

- Adesso troverei la vita molto difficile senza di te, Cicero. - Le parole successive di Massimo erano dirette a sua moglie. - E' un uomo molto discreto, che non ripete i segreti militari che può udire per caso. Mi fido di lui completamente. Sembra anche che sappia quello che voglio perfino prima che lo sappia io stesso. - Guardò di nuovo Cicero. - Ti avrei portato con me dappertutto, Cicero, se avessi saputo che eri un cavaliere esperto.

Cicero sbuffò al luccichio negli occhi di Massimo.
- Credo che preferirei tornare in Germania a piedi, piuttosto che a cavallo. No, generale, non farei che rallentarti. Non so cavalcare bene come te.

- Avresti dovuto cavalcare Argento. Ti avrebbe portato qui in metà del tempo che ti ci è voluto su quel vecchio ronzino.

- Non toccherei mai quel demonio. Se solo tentassi di cavalcarlo mi scaraventerebbe di sicuro al di là di un dirupo. Dove hai preso dei cavalli come quello, ad ogni modo?

Olivia e Massimo risero.
- Sono un regalo della mia bella moglie. Suo padre alleva i migliori cavalli da guerra dell'impero.

Cicero arrossì.
- Perdonami, mia signora. Sono certo che siano animali meravigliosi... non come il lupo che possiedi, Massimo. - Cicero accennò con un gesto al grande cane, che lo ignorava apertamente. - Adesso c'è un solo animale veramente perfido... - Cicero esitò quando vide Olivia sorridere ancora. Massimo seppellì il suo sorriso nella coppa di vino.

Cicero guardò Massimo.
- Anche lui? - chiese con aria incerta.

Massimo annuì e si chinò verso l'ospite, un sopracciglio scuro alzato.
- Un altro regalo dalla mia graziosa consorte, - spiegò, bisbigliando a voce alta.

- Ecco... ecco... hai certamente un gusto eccelso per gli animali, mia signora. Certamente sai quali animali... si adattano a tuo marito. Sono intelligenti e... potenti, e... coraggiosi... proprio come lui, e...

Olivia scoppiò a ridere.
- Non mi sono offesa, Cicero, e ignora Massimo. Ti sta prendendo in giro. E' diventato un terribile burlone, in questi giorni. - Ella sospirò con finta frustrazione.

Cicero studiò Massimo da vicino.
- Hai un aspetto diverso, generale. Molto più rilassato. Più giovanile, quasi. - Massimo guardò il suo servitore con aria interrogativa. Cicero continuò. - Forse sono i capelli. Non sapevo che avessi capelli ricci.

Massimo passò una mano nella folta massa ondulata e sorrise.
- Qui è molto più facile tenerli puliti, che non al fronte, così non m'importa che siano più lunghi.

- E a me piacciono così, - aggiunse Olivia.

Cicero notò lo sguardo caldo che ella diede al marito e l'occhiata affettuosa di lui in risposta. Si toccavano spesso, osservò Cicero: lo sfiorarsi di una guancia; la stretta di una mano; il posarsi di una mano su di un braccio o sulla schiena. Il loro era vero amore.

Sentendosi un intruso, Cicero cambiò argomento.
- Ercole è stato di grande aiuto per me durante il viaggio. Ero agitato all'idea di viaggiare da solo, ma nessun ladro mi ha importunato, con lui nei dintorni. Le uniche volte che mi lasciava da solo erano quando si allontanava per dar la caccia ai conigli. Conigli. Sempre conigli! Mangiavo bene, ma sono proprio stufo di carne di coniglio.

Massimo sembrava sorpreso.
- Oh, ecco, allora... Avrei fatto meglio a chiedere ai cuochi di trovare qualcos'altro da servire per cena. Hanno lavorato tutto il giorno per preparare un piatto speciale a base di coniglio.

- Massimo... - ammonì Olivia sottovoce.

Il marito continuò, apparentemente inconsapevole del disagio di Cicero.
- Non sarà un problema per loro, ne sono certo. Metteranno insieme qualcos'altro...

- No, no, il coniglio andrà bene. Sono certo che avrà un gusto molto diverso, preparato dai tuoi cuochi.

- Massimo, basta! - Olivia gli diede un colpetto sul braccio. - Cicero, ci sarà carne di cervo per cena. Massimo ti sta prendendo in giro. Non dargli retta.

- Oh. - Cicero era alquanto disorientato dal cambiamento del suo generale. Massimo era sempre stato molto serio in Germania… quasi torvo. Cicero non l'aveva mai visto di buon umore e la trasformazione era sorprendente. Era questo che lo faceva sembrare più giovane di anni? Per qualche tempo il grande peso di prendere decisioni era stato sollevato dalle sue spalle. Per qualche tempo non aveva dovuto mandare gli uomini a morire. Non aveva dovuto preparare strategie di guerra, e ciò lo aveva reso un uomo diverso… un uomo che Cicero era molto lieto di scoprire. Si chinò in avanti e alzò la sua coppa di vino in direzione del suo generale. - A te, generale.

Il gesto disorientò Massimo. - A me? Che cosa vuoi dire?

- Non voglio dire nulla in particolare. Non posso onorare il mio generale, se mi fa piacere?

Anche Olivia prese il suo calice e lo alzò in aria. - A Massimo, - disse con un sorriso.

Massimo guardò dall'uno all'altra cercando di capire le loro intenzioni. Alla fine scosse le spalle e anch'egli sollevò il suo calice, poi chinò leggermente la testa in segno di ringraziamento.
- Non ho idea del perché voi due stiate facendo questo, ma credo che sia meglio per me essere indulgente. - Poi sorrise con aria maliziosa prima di gettare indietro la testa e svuotare la coppa con un lungo sorso.
- A proposito, - disse Massimo a Cicero, pulendosi con noncuranza la bocca col dorso della mano. - Ho persone più che sufficienti che già si prendono cura di me, qui. Considerati in vacanza, amico mio.

 

Capitolo 53 - La conversazione in giardino

Massimo sedeva fissando la sua coppa di vino che rigirava fra le dita, avanti e indietro, perso nei suoi pensieri. La luna piena si rifletteva sulla superficie rosso scuro del liquido. Cicero gli sedeva da presso studiandolo con grande attenzione. Aveva imparato di più su quest'uomo nei pochi giorni che era stato alla fattoria che in tutti gli anni che lo aveva conosciuto nell'esercito. Non aveva idea di che cosa ci fosse nelle lettere che aveva portato dalla Germania, ma il loro contenuto ovviamente turbava la quiete di Massimo.

Massimo sospirò gravemente e sollevò lo sguardo ad incontrare quello di Cicero.
- Le tribù stanno costruendo un forte a Colonia?

- Sì, signore. Così ho udito.

- Perché stiamo permettendo che questo accada? Se il loro forte è a poche miglia dal fiume darà ai Germanici una solida base da cui lanciare gli attacchi.

- Sì, signore.

- Allora lo chiedo di nuovo… Perché stiamo permettendo che questo accada? Ho lasciato Quinto con l'autorità di entrare in azione contro tali aggressioni.

Cicero si mosse nella sedia e gettò un'occhiata nell'atrio oscurato. - Posso parlare liberamente, signore?

- Certamente.

- Quinto non sa prendere decisioni. E' bravo ad eseguire gli ordini emessi da un superiore… tu, o l'imperatore, per esempio… ma quando è lasciato a lui il compito di valutare le situazioni e di prendere decisioni, non sa farlo. La più grossa decisione che ha preso è stata quella di far spostare le legioni a Colonia come dimostrazione di potere, ma nulla è accaduto da allora.

- Allora che cosa ha fatto nei mesi in cui sono stato via?

- Ha fatto costruire più strade e riparare le altre. Rafforzato le nostre fortificazioni… ecco cosa. Ha cercato di ignorare che cosa sta succedendo dall'altra parte del fiume. In verità, signore, penso che la tua assenza sia stata un bene per lui. Gli ha dimostrato che non è affatto il comandante che immaginava di essere.

- Ecco… - Massimo cominciò poi si fermò quando Olivia entrò nel giardino con Marco addormentato sul fianco.

- Si è svegliato e vuole il suo papà, - disse. Le piccole braccia si allungarono in cerca di quelle più grandi e Massimo si sistemò il figlio in braccio. Olivia colse qualche bocciolo di rosa dietro la sedia del marito, poi silenziosa scomparve nell'atrio. Il profumo dei fiori pervadeva l'aria notturna.

- Marco, questo è Cicero, un mio amico. - Il bimbo era chiaramente ancora molto addormentato e guardò appena Cicero, prima di tornare a rannicchiarsi nel petto di suo padre, il pollice in bocca e le palpebre abbassate. Massimo baciò i capelli neri del bambino e glieli spostò dalla fronte, prima di sorridere a Cicero. - Le mie ragioni di vita, - disse. - Marco e Olivia.

- Lo vedo, signore. Ti invidio.

- Il mio tempo con loro è così breve.

- Sei un uomo molto diverso, quando stai con loro.

- Un uomo migliore.

- No, non migliore. Solo diverso.

- Non è umano, sai, trascorrere la parte migliore della propria vita in guerra, tanto lontano dalle persone che si amano. Domandarsi ogni giorno se sarai vivo per vedere tuo figlio crescere. La vita di un soldato è innaturale.

- Potrebbe essere peggiore.

- Presumo.

- Potresti essere uno schiavo e la tua vita dipendere interamente dai capricci di un altro.

Massimo sorrise.
- Hai ragione, naturalmente. Mi sento solo dispiaciuto per me stesso, quando non ho ragioni per farlo. Sono un uomo davvero fortunato ad avere una famiglia tanto meravigliosa. Non ho preoccupazioni finanziarie. - Sorrise a Cicero. - Devo emanare ordini, piuttosto che obbedire ad essi.

- Molti uomini trovano più facile obbedire. Non c'è responsabilità in questo.

- Ti stai riferendo ancora a Quinto?

- Sì. Odio dirti questo, quando sei seduto qui in questo bel giardino con il tuo bimbo nel grembo, ma gli uomini ti rivogliono indietro. Perfino se Quinto prendesse una decisione, non sono sicuro che gli uomini gli obbedirebbero. Non hanno fiducia nel suo giudizio. Ma di te si fidano completamente.

- I soldati devono obbedire ai loro comandanti.

- Non sono io quello che deve dirti che ci sono molti modi per evitare di farlo senza disobbedire apertamente.

- Ad esempio? No, non dirmelo…

- Potrebbero sabotare l'equipaggiamento in modo che non sia pronto per la guerra, per prima cosa, - interruppe Cicero, determinato a dire la sua. - Le armi grandi potrebbero rivelare problemi operativi. L'accampamento potrebbe essere colpito da qualche misterioso malanno…

- I miei uomini non farebbero mai queste cose.

- Non con te in carica, generale. Con Quinto, non lo so…

Massimo seppellì il naso nei capelli di suo figlio addormentato e sentì il cuoricino del bimbo battere contro il suo. Sapeva che ciò che diceva Cicero era vero, ma aveva evitato di pensarci allo scopo di godere del suo tempo con la sua famiglia senza sensi di colpa.

- C'è qualcun altro che ti ama quanto tua moglie e tuo figlio, - disse Cicero.

Massimo alzò lo sguardo con aria interrogativa.

- Marco Aurelio e tutto ciò che egli rappresenta. Tu lo ami e ami Roma… moltissimo.

Massimo annuì e sospirò.
- Sei molto acuto, Cicero. Non avevo idea che tu mi comprendessi così bene. Dimmi con sincerità, sei stato mandato dalla Germania per cercare di persuadermi a tornare?

- No, Massimo, - disse Cicero con rilassata familiarità. - Sono venuto perché tu sei l'unico uomo che io servirò. Spreco il mio tempo, in Germania, se tu non sei là.

- Grazie per la tua lealtà, Cicero.

- Non è qualcosa che concedo con leggerezza, signore.

Massimo tormentò un ciuffo d'erba con la punta del sandalo.
- Devo ammettere che talvolta mi sento tagliato fuori, quando sono qui. Quando sono in Ispania è facile immaginare che la Germania non esista nemmeno, e neanche Roma, se è per questo. E' sconcertante, in un modo o nell'altro.

- Sei abituato a sapere di prima mano che cosa succede nell'impero, essendo un uomo che prende decisioni che influiscono sul destino di milioni di persone. Per quanto tu ami questo luogo, non sarà mai sufficiente per te.

- Non lo so…

- Io sì, - disse Cicero con convinzione. - Sei troppo giovane per ritirarti a una vita permanente qui.

- Voglio vedere mio figlio crescere. Voglio altri figli… nipotini.

- Puoi avere tutto questo. Se c'è un uomo nell'impero che può averlo, sei tu. Non ho il diritto di dirti come vivere la tua vita, generale, ma se mi consenti… sei un soldato nato, un comandante nato, ma capisco che hai anche bisogno della tua famiglia. Perché non avere tutto?

- Quando sono qui, mi mancano i miei soldati e il mio esercito. Muoio dalla voglia di conversare con Marco Aurelio. Quando sono nell'esercito, mi manca la mia famiglia. Forse sono destinato a non essere mai soddisfatto della mia vita. - Massimo rise. - Che triste pensiero, davvero. - Marco si agitò nel suo grembo prima di rimettersi giù e come per incanto Olivia comparve per riportare il bambino a letto. Massimo lo lasciò andare con riluttanza e Cicero notò uno sguardo intimo passare tra moglie e marito.

Si alzò e si stiracchiò, allungandosi verso le stelle sopra di loro.
- Se non ti dispiace, generale, credo che mi ritirerò. Sono ancora un po' stanco del viaggio.

- Naturalmente, Cicero. Buona notte.

Si alzò per andar via.

- Cicero.

- Sì, signore?

- Mi è piaciuta la nostra chiacchierata. Grazie per aver fatto questo difficoltoso viaggio fino in Ispania.

Cicero annuì, poi si voltò per andarsene, quasi inciampando su Ercole che si era sdraiato scompostamente in tutta la sua lunghezza dietro la sua sedia. Il cane alzò la testa e guardò l'uomo con aria sdegnosa, prima di rimettersi a riposare. - C'è una cosa che non capisco di te, generale.

Massimo inarcò le sopracciglia, pur sapendo ciò che Cicero stava per dire.
- Questo animale. Perché non puoi tenere un grazioso cagnolino come chiunque altro?

- Si addice alla mia personalità, - rise Massimo, alzandosi anche lui per andare a letto.

 

Capitolo 54 - La fiera

Udirono e sentirono l'odore della fiera ancor prima di riuscire a vederla. Il livello di eccitazione di Marco salì ad ogni svolta della strada collinare e ventosa dalla fattoria fino a Emerita Augusta, e quando il carro si fermò ai margini della fiera, egli stava quasi fremendo. La giornata era calda e soleggiata e Massimo indossava sandali allacciati alle caviglie e una semplice tunica di lino lunga fino al ginocchio. Saltò giù dal carro, poi aiutò Olivia mentre faceva lo stesso, lasciando Cicero a badare a se stesso. Massimo quindi si sollevò Marco sulle spalle, tenendolo per le caviglie, e Marco infilò le dita tra i capelli del suo papà per maggior sicurezza. Olivia strinse la mano attorno al gomito piegato del marito e insieme si diressero verso l'affaccendata via principale della cittadina che per quel giorno era stata trasformata in campo per fiera.

La popolazione di Emerita Augusta era più che triplicata, dal momento che la gente delle fattorie circostanti si era unita ai festeggiamenti. Giocolieri, mangiatori di fuoco e uomini sui trampoli si infilavano in mezzo alla fitta folla, e vino mielato e torte dolci riempivano l'aria con profumi succulenti. Artigiani del luogo declamavano ad alta voce nastri multicolori, articoli di vetro e giocattoli di legno da piccoli chioschi, facendosi concorrenza per assicurarsi le monete degli astanti. Attori in costumi colorati recitavano brevi commedie e scenette su piccoli palcoscenici prefabbricati, davanti a spettatori divertiti. Struzzi, leoni, iene e tigri languivano in gabbie, annoiati e sottomessi sotto il sole cocente, inconsapevoli degli sguardi di coloro che passavano loro accanto.

Gli occhi di Marco erano spalancati, tutto sembrava rivaleggiare per avere la sua attenzione. Strillò di gioia vedendo un giocoliere che manteneva in aria sei palle contemporaneamente, e la sua piccola bocca si spalancò quando un mangiatore di fuoco sputò fiamme nella sua direzione. Olivia rise e gli diede un buffetto per rassicurarlo, poi spostò la mano sul fondoschiena del marito, mentre la coppia si scambiava sorrisi. Massimo acquistò dolci e bevande per tutti loro ed essi li consumarono mentre vagabondavano insieme alla folla che spintonava, fermandosi quando qualcosa coglieva l'immaginazione di Marco.

Cicero osservava il comportamento della famigliola dalla sua posizione, leggermente dietro di loro, e sentì un'ondata di compassione per Massimo, che poteva essere strappato a loro in qualsiasi momento. Finché non era venuto in Ispania, egli non aveva capito quanto il generale fosse devoto alla sua famiglia.

Dalla sua posizione vantaggiosa, Cicero osservava la gente che si fermava a guardare l'uomo attraente con il bimbo appollaiato sulle ampie spalle dritte. Gli abitanti dei villaggi e delle fattorie, in egual misura, additavano Massimo, riconoscendolo, e sussurravano l'uno con l'altro, sorpresi ed eccitati di trovarlo in mezzo a loro. Egli aveva raggiunto uno status conseguito da pochissimi ispanici ed essi erano affascinati da questo grand'uomo. Massimo non se ne rendeva conto, ma Cicero si fece cupo e si avvicinò di più al suo generale, determinato a non lasciare che spettatori indiscreti gli sciupassero quella giornata. Con irritazione di Cicero, un piccolo gruppo di curiosi si mise dietro di loro, gli occhi fissi su Massimo. Alla fine, alcuni cittadini più coraggiosi fermarono il generale per salutarlo ed esprimergli la loro stima. Alcuni di essi avevano conosciuto Massimo da bambini ed egli fu genuinamente felice di rivedere i suoi amici. Concesse un po' di tempo a ciascuno, sorridendo, stringendo mani e scambiando ricordi. Olivia irradiava orgoglio, ma Marco fece dondolare con impazienza le gambe sul petto del suo papà.

In breve tempo una folla si raccolse intorno a loro, pressando Massimo con domande sull'imperatore e chiedendo informazioni sulla guerra in Germania, ma anche sulla sua recente incursione in Oriente. Massimo sviò abilmente le domande con umorismo, dal momento che non aveva alcuna intenzione di discutere problemi di stato con dei civili.

Marco si agitò e fu sul punto di protestare quando Olivia lo prese e se lo mise in grembo. Ella disse qualche parola al marito, poi si diresse verso il più vicino spettacolo di burattini, nascosto sotto una piccola tenda a strisce, lanciando occhiate indietro per assicurarsi che Cicero rimanesse con Massimo. Olivia si mise in piedi dietro i bambini che sedevano per terra, ma il suo sguardo restò sulla folla attorno al marito, che stava allargandosi e divenendo più rumorosa. Donne e bambini venivano spinti da parte da giovani turbolenti che volevano avvicinarsi al famoso guerriero. Olivia ansimò vedendo un bambinetto incespicare e gridare di terrore prima che la madre riuscisse a strapparlo via da piedi pesanti. Ben presto Massimo e Cicero furono completamente persi di vista nel mezzo di una ressa che cresceva rapidamente.

Al centro della folla in tumulto, Cicero spinse da parte a gomitate un po' di persone, aprendo un varco per la ritirata, che però si richiuse rapidamente. Mentre la gente dal di fuori spingeva per avvicinarsi di più a Massimo, quelli all'interno venivano pigiati contro di lui. Quando Massimo vide cadere un altro bimbo spaventato, trasse un respiro profondo e ruggì nel suo tono militare migliore:
- Adesso basta! Spostatevi e lasciatemi passare. - L'autorevolezza in quelle parole ebbe l'effetto desiderato e quelli che si trovavano sul perimetro della folla si sparpagliarono, permettendo alle persone di disperdersi un po' e a Massimo di emergere dalla calca. Andò verso la moglie con aria maestosa, a lunghi passi sicuri, le braccia oscillanti con fermezza, a testa bassa e con lo sguardo fisso davanti a sé. Sembrava furibondo, ma anche da quella distanza Olivia riuscì a vederlo ammiccare. All'improvviso Massimo roteò su se stesso e fronteggiò la folla ormai doma. - Grazie, signore e signori. Sono qui, oggi, con mia moglie e mio figlio e mi piacerebbe trascorrere il resto della giornata con loro, in pace. Confido che capiate. - S'inchinò leggermente alla moltitudine, poi prese Marco da Olivia e se lo rimise sulle spalle, voltando il viso verso i burattini e la schiena ai suoi ammiratori. Tra uno scoppiare di applausi, la gente cominciò a disperdersi lentamente. Gli intrattenitori gareggiarono per attrarre di nuovo i loro spettatori e le grida dei venditori ambulanti riempirono di nuovo l'aria.

Massimo lanciò alla moglie un'occhiata obliqua.
- Dunque, come facevano a sapere di Cassio e degli eventi nell'Est?

- Non lo so. Non ho mai detto una parola ad alcuno di loro su quello che fai.

- A nessuno?

- Certo che no! - disse Olivia, un po' irritata che dubitasse di lei. - Nessuno al di fuori della famiglia lo sa. - Chiuse gli occhi. - Oh, no. Tito. Mio fratello lo sa. Gliel'hai detto tu stesso a cena la settimana scorsa, e credo che anch'io ho menzionato qualcosa. Non pensavo che l'avrebbe raccontato a tutti, Massimo. - Olivia sembrava affranta. - Mi dispiace tanto.

- Non è stato arrecato alcun danno. E' meglio, comunque, lasciare che sia Marco Aurelio a decidere ciò che vuole che la gente sappia.

- Sì, capisco. Ne parlerò con Tito.

- Non ce n'è bisogno. Ne farò menzione a... - Massimo all'improvviso sussultò perché Marco gli strattonava i capelli, strillando di gioia.

- Guarda, papà, guarda! I burattini ballano. Guarda!

Massimo rise alla gioia di suo figlio.
- Li vedo, Marco, - disse, facendolo roteare in una danza da lui stesso improvvisata. All'improvviso la sua espressione cambiò ed egli si arrestò di colpo, fissando un carro che veniva pesantemente e rumorosamente
verso di loro, lungo la strada principale, mettendo in fuga la gente, che si teneva lontana dal suo percorso. Marco continuava a ridere e a girarsi per vedere lo spettacolo, inconsapevole del cambiamento nell'atteggiamento del padre.

- Che cosa c'è, signore? - chiese Cicero, seguendo il carro con lo sguardo.

- Prigionieri.

Osservarono finché il carro si fermò a non più di trenta metri da loro. Era completamente chiuso da una gabbia di legno robusto. Mani sporche e callose si tenevano con indifferenza alle sbarre, rivelando la disperazione degli uomini all'interno.

- Chi porta dei prigionieri ad una fiera? - domandò Cicero.

- C'è una grande arena in questa città, come ve ne sono nella maggior parte delle città romane, - disse Massimo in tono glaciale. - Sospetto che quegli uomini siano schiavi portati qui per intrattenere la folla, morendo di morti orribili mentre i loro proprietari raccolgono i profitti.

- Gladiatori? Qui? - chiese Olivia con un brivido.

- Ce ne sono in tutto l'impero; ovunque le folle si raccolgano per divertirsi. - Massimo si rivolse a sua moglie. - Prendi Marco, d'accordo? Non voglio che veda questo.

Non più gravato del figlio, il generale si avvicinò al carro, seguito dal suo servitore. La pesante porta di ferro stridette miserabilmente quando fu spalancata da una guardia armata, e gli uomini emersero lentamente, incatenati insieme a polsi e caviglie. Inciamparono quando i loro piedi toccarono il terreno; tutti erano sudici e indossavano stracci. Lunghi capelli e barbe aggrovigliati quasi oscuravano i loro volti, senza però riuscire a nascondere la paura e l'odio nei loro occhi. Ancora una volta si stava raccogliendo una folla, questa volta per schernire gli schiavi, e qualche giovane lanciò delle pietre contro di loro. Solo un prigioniero, un uomo enorme, rimase eretto e spavaldamente fissò con aria feroce i suoi tormentatori. Non indietreggiò quando le pietre taglienti lo colpirono. Rimase immobile, muovendo solo gli occhi mentre osservava la folla eccitata.

Massimo imprecò sottovoce, il viso torvo.

- Che cosa c'è che non va? - chiese Cicero preoccupato.

- Conosco quell'uomo. Era il capo di una tribù che fu sconfitta vicino a Vindobona ed egli fu preso prigioniero. - Massimo lanciò brevemente un'occhiata al suo compagno, prima di rivolgere di nuovo la sua attenzione al barbaro. - E' un uomo coraggioso, Cicero, e ha combattuto con onore, - Massimo imprecò di nuovo. - Non merita questo. Non merita di morire per divertire la gente. Sarebbe stato più umano se l'avessimo ucciso sul campo di battaglia.

- Non puoi fermare tutto questo? - domandò Cicero.

- No, - disse Massimo con amarezza. - E' tutto legale. L'uomo è uno schiavo e il suo proprietario può fare di lui qualunque cosa gli piaccia. Ascolta questa folla. Non vede l'ora di veder scorrere il sangue. Per queste persone la morte è spettacolo. Non vedono quello che vedono i soldati. - Nonostante la calura del giorno Massimo rabbrividì. - Vieni, Cicero. Allontaniamoci da questo luogo di morte.

Mentre tornava verso lo spettacolo di burattini, un fugace sorriso increspò i suoi lineamenti severi, quando udì Marco strillare:
- Papà, papà, vieni subito. Guarda!

Olivia si voltò per accogliere il marito e Massimo restituì il sorriso, fermandosi bruscamente quando vide la felicità e il colore defluirle dal volto, lo sguardo di lei focalizzato su qualcosa al di là delle sue spalle. I suoi istinti di combattente di colpo scatenatisi, Massimo si portò la mano al fianco in cerca della spada, ma non afferrò altro che stoffa mentre si girava di scatto acquattandosi, pronto a fronteggiare qualunque avversario, un ringhio sulle labbra. Si aspettava come minimo di trovarsi ad affrontare il guerriero germanico che fosse in qualche modo sfuggito ai suoi carcerieri, deciso a vendicarsi. Invece, i suoi occhi incrociarono una nera corazza di cuoio decorato e punteggiato d'oro, del tipo indossato dai pretoriani dell'imperatore. Lentamente si raddrizzò e inspirò a fondo, sforzandosi di tenere indietro le spalle, mostrando un'indifferenza che non provava.

- Generale Massimo, ti stavamo cercando. Abbiamo una lettera urgente da parte dell'imperatore.

- Guarda, guarda, papà! - Dietro di lui Marco strillava e rideva e Massimo riuscì a fare un sorriso tirato per farlo felice, per far felice un bimbetto che non avrebbe più rivisto per anni.

 

Capitolo 55 -- L'assedio

Massimo sedeva sul dorso di Scarto, rilassato malgrado la moltitudine di frecce rimaste conficcate come gli aculei di un porcospino nel terreno mezzo ghiacciato, a non più di sei metri di fronte a lui. I suoi occhi scrutavano costantemente il panorama, vigili ad ogni cambiamento della situazione. Rabbrividì leggermente mentre il vento gelido sollevava l'erba secca sotto gli zoccoli del suo cavallo in giocose spirali marroni, facendole poi vorticare sotto il suo mantello di lana.
- Neve, - pensò. Poteva mettersi a nevicare da un momento all'altro, e le cose non erano ancora pronte. Non ci sarebbe stato alcun riposo per gli uomini.

Massimo si trovava sulla cresta di una collina, sorvegliando una zona della foresta germanica diboscata da poco. All'estremità settentrionale della radura si profilava in lontananza un'imponente struttura di pietra... una fortezza costruita in segreto dai barbari, nelle profondità della fitta foresta, mentre Massimo si trovava in oriente e in Ispania. Per mesi la fortezza era cresciuta costantemente in altezza, pietra dopo pietra, senza essere notata dall'esercito romano situato dall'altra parte del Reno, concentrato a riparare strade e a rafforzare le proprie fortificazioni.

Il panico ne era seguito quando una pattuglia romana si era imbattuta nella fortezza ben occultata e Quinto aveva reagito trasferendo rapidamente un certo numero di legioni a Colonia. Ma là esse avevano atteso, mentre Quinto decideva come affrontare la situazione. Settimane dopo egli ancora si dibatteva nell'indecisione, mentre le legioni facevano pratica con le manovre e davano voce al desiderio che il loro generale ritornasse. Massimo avrebbe saputo che cosa fare, convenivano tutti.

Il generale Massimo aveva infine raggiunto Colonia quando le notti erano divenute lunghe e fredde. Il suo arrivo non fu annunziato, ma la voce si diffuse rapidamente negli accampamenti ed i soldati quella notte dormirono tranquilli, con la sensazione che ogni cosa ora sarebbe stata come doveva essere. Il giorno dopo, di buon mattino, Massimo attraversò il fiume ed esaminò la fortezza dalla protezione della foresta. Emanò ordini decisivi immediatamente dopo il suo ritorno all'accampamento e i soldati, grati, scattarono in azione. Nel giro di una settimana un solido ponte di legno attraversava il Reno e le legioni avevano diboscato le foreste a sud della fortezza, lasciando il terreno accidentato costellato di ceppi.

Velocemente così come cadevano, gli alberi venivano spogliati di rami e corteccia e tagliati in lunghezze appropriate per le massicce catapulte, baliste e balestre che i soldati stavano costruendo. Gli uomini lavoravano sotto capannoni costruiti in fretta con gli alberi abbattuti, per proteggersi da frecce e giavellotti nemici lanciati dalla suddetta fortezza. Nella foresta, circondate dai folti sempreverdi e lontano dagli sguardi dei barbari, si stavano ponendo le basi di tre grandi torri d'assalto. Sarebbero state spostate su enormi ruote di legno, trainate da squadre di cavalli, fino alla radura, dove la loro costruzione sarebbe continuata finché fossero divenute alte come la fortezza. Un sentiero sarebbe stato sgombrato dai ceppi appena prima di trarre le torri fuori dal loro nascondiglio.

I soldati romani erano contenti di prepararsi alla guerra dopo mesi di pace. Questi uomini altamente addestrati prosperavano in quelle condizioni e ridevano, perfino, e scherzavano mentre i loro muscoli si tendevano sotto lo sforzo del costruire ininterrotto. Ogniqualvolta si sentivano stanchi, guardavano sulla collina la figura sempre presente, sullo stallone nero, seduta ferma e dritta come una statua, e trovavano nuova forza ed energia. Massimo stava osservando. Massimo stava emanando ordini. Tutto sarebbe andato bene.

Scarto caracollò più volte di lato, impaziente per l'inattività, e Massimo lo tranquillizzò con poche parole. Tuttavia fu tollerante con il suo cavallo, dal momento che il suo stesso corpo si stava stancando dopo che da giorni e giorni stava seduto, osservava e distribuiva ordini. Sarebbe stato meglio per tutti quando finalmente fosse giunto il momento della battaglia.

All'improvviso le redini furono strappate dalle mani di Massimo quando Scarto, spaventato, reagì alle grida atterrite provenienti dal basso. Una freccia incendiaria scagliata dalla fortezza aveva trovato il tetto di uno dei capannoni, mandandolo in fiamme. I soldati lanciavano grida acute mentre i loro vestiti andavano a fuoco e incespicando si scagliarono all'aperto, dove i loro compagni li fecero rotolare in fretta sul terreno per soffocare le fiamme. Massimo gridò un avvertimento mentre una massa di frecce lanciate dalle mura della fortezza stava per colpire i soldati, che adesso non erano più protetti dal rifugio di legno. Due caddero morti all'istante e gli altri fuggirono al riparo, trascinando con sé i feriti, le frecce conficcate nelle loro membra.

Massimo parlò a Quinto a denti stretti.
- Ricorda agli uomini di mantenere quei capannoni zuppi d'acqua. Il meno che si possa fare è di non lasciarli mai asciugare. - Quinto annuì e trasmise gli ordini di Massimo ai suoi subordinati, che li trasferirono ai ranghi. Quinto poi lanciò un'occhiata a Massimo, ma egli era perso nei suoi pensieri e chiaramente non aveva nient'altro da dire. Dal ritorno di Massimo, i rapporti tra i due amici di lunga data si erano fatti tesi. Il generale non aveva bisogno di usare parole per manifestare la sua delusione per il rendimento del suo legato. Ma i pensieri di Massimo non erano più per i soldati al suo comando. Le urla lo avevano riportato in Ispania, a pochi mesi prima, quando le grida di un bambino gli avevano trafitto il cuore e inaridito l'anima.

 

Marco aveva capito che qualcosa non andava. Sua madre stava piangendo, i lavoranti erano tristi. Qualcosa di brutto stava accadendo... lo sapeva. Ma egli era ancora sconvolto da quel mattino in cui il suo papà lo aveva svegliato per dirgli addio. Aveva avvolto le braccine attorno al collo del suo papà e singhiozzato malgrado le parole e le carezze confortanti, poi aveva urlato di sgomento quando le sue dita erano state infine forzate ad aprirsi ed il suo papà si era allontanato da lui.

 

Le grida di suo figlio gli erano echeggiate nelle orecchie per tutto il viaggio di ritorno in Germania, e ancora lo tormentavano. Un improvviso umidore velò gli occhi di Massimo ed egli guardò il cielo, battendo rapidamente le palpebre per liberarsene. Non era il momento di cedere alle debolezze.

Inspirò a fondo e raddrizzò la schiena, concentrando la sua attenzione ancora una volta sulle attività dei suoi uomini, dopo una rapida occhiata a Quinto. Quando Massimo aveva lasciato Quinto al comando delle sue legioni era stata una sorta di prova, per determinare la capacità di comando del legato... ed egli aveva fallito miseramente. Quinto voleva disperatamente una promozione a generale di una delle legioni, ma Massimo, in tutta coscienza, non poteva raccomandarlo a Marco Aurelio. Quinto non poteva avanzare ulteriormente nell'esercito romano, e la prossima volta che avrebbe chiesto una promozione a Massimo, questi avrebbe dovuto negargliela.

Non era un giorno che Massimo attendeva con impazienza.