La Storia di Massimo: Capitoli 41 – 45

 

 

 

Capitolo 41 - Voci

Eppure un'altra battaglia era finita... la più recente in un flusso apparentemente senza fine. Massimo disfece con attenzione le strisce di cuoio destinate a proteggergli le mani e i polsi, per permettere al sangue di scorrere liberamente sulle nocche, e gocce cremisi stillarono dalla punta del suo indice destro.

- Qui, generale, - disse Cicero preparandosi a pulire il profondo taglio sul braccio di Massimo, - lascia che te lo curi.

Massimo era troppo stanco per rispondere.

- Dovrebbe dargli un'occhiata un medico. Ne chiamo uno.

- I medici sono impegnati con i soldati che hanno ferite molto più gravi di questa, Cicero. Non distogliamoli.

Cicero annuì, ma Massimo intuì dalle sue labbra serrate che non era soddisfatto. Massimo si sedette sulla sua sedia e posò sul tavolo il braccio ferito, con sotto un panno spesso per assorbire il sangue. Cicero avvicinò il lume e s'incupì mentre esaminava il taglio profondo che si allungava sull'avambraccio del generale, da sotto il gomito fin sopra il polso.
- Com'è accaduto? - chiese.

-Sono stato incauto.

Cicero incontrò brevemente lo sguardo di Massimo, poi tornò al suo compito.
- Ne dubito.

Massimo sospirò.
- Mi hanno attaccato in due contemporaneamente. Uno ha incrociato di lato la mia spada e l'altro si è precipitato verso di me. Sono riuscito a schivare il colpo alla meno peggio, ma mi ha preso al braccio. - Massimo restò in silenzio per un attimo, mentre piegava la testa all'indietro e chiudeva gli occhi. - Almeno, io ho ancora un braccio, - aggiunse con calma.

- Le ferite ai soldati sono così gravi?

- Terribili. I barbari erano ben armati e preparati contro di noi.

- Ma noi abbiamo vinto.

- Sì... abbiamo vinto, ma ad un costo elevato.

- I barbari sono tutti morti? - chiese Cicero, poi aggiunse. - Mi dispiace, signore, - quando Massimo trasalì leggermente.

- Il fiume scorre rosso del loro sangue. I pochi sopravvissuti rimasti sono stati catturati e vengono tenuti appena fuori le mura dell'accampamento.

- Che ne sarà di loro?

- Schiavi. Saranno inviati a Roma come schiavi. Poveracci. Sarebbe stato meglio che fossero morti. - Massimo fletté il braccio per saggiare il bendaggio e fece un cenno di ringraziamento a Cicero, alzandosi dal suo seggio. - Sono stato lontano per qualche tempo. Che cos'è accaduto nei giorni scorsi di cui io debba sapere?

- Perché adesso non riposi, generale?

- Cicero... che cosa necessita della mia attenzione?

Riluttante, Cicero porse a Massimo un pacchetto.
- Questo è giunto per te qualche giorno fa. Il corriere disse che era importante.

Massimo osservò il suo servitore con un sopracciglio alzato.

Cicero si strinse nelle spalle.
- Eri occupato, generale.

Cicero seppe di esser stato congedato quando Massimo gli girò le spalle per aprire il pacchetto, così raccolse gli arnesi per la medicazione e si diresse verso lo stipo sul lato opposto della tenda. Quando tornò a voltarsi trovò un Massimo dal viso di cenere che stringeva forte la lettera e fissava il vuoto.
- Generale, stai bene? - Massimo non rispose. - Signore? Generale, stai bene? - Cicero si avvicinò a Massimo, incerto sul da farsi. - Devo chiamare il medico?

Massimo rivolse uno sguardo vitreo al suo servitore e mormorò:
- Trova Quinto in fretta e portalo da me.

Senza una parola Cicero girò sui talloni e lasciò la tenda. Il movimento del servitore fece uscire Massimo dal suo stordimento ed egli rilesse la lettera. Vagamente udì dei passi affrettati un attimo prima che Quinto irrompesse dalla porta, seguito da vicino da Cicero. Massimo incontrò lo sguardo dell'uno, poi dell'altro, e si rivolse per primo al suo servo.
- Cicero, imballa tutte le mie armi e armature, e provviste sufficienti per almeno due settimane, poi prepara Scarto e Argento per un viaggio.

- Massimo, dove hai intenzione di andare? - chiese un Quinto ansioso e perplesso. - Che cos'è accaduto?

Massimo trasse un profondo respiro.
- Ricordi il generale Avidio Cassio, comandante delle legioni orientali?

Quinto annuì.

- Si è autoproclamato imperatore.

- Che cosa? - Quinto era visibilmente sconvolto. - Marco Aurelio...

- E' vivo, a quanto pare. E' da qualche parte nel sud, forse in Egitto, ma sembra che Cassio abbia dato retta ad una voce che diceva fosse morto e si è autoproclamato imperatore pur trovandosi lontano da Roma, dove le cose sono in scompiglio. Cassio è un uomo potente, Quinto, e potrebbe cercare di prendere il controllo dell'impero anche quando venisse a sapere la verità su Marco Aurelio. Potrebbe perfino aver dato inizio egli stesso alla voce, come scusa per fare ciò che ha fatto. Marco ha bisogno di sostegno e io devo aiutarlo.

- Chi ti ha inviato la lettera?

Massimo ebbe una breve esitazione.
- Sua figlia.

- Lei sa dov'è?

- No, non con esattezza, ma sa che è vivo. Non so in che modo. La lettera scarseggia in dettagli, Quinto. Lucilla richiede che io consolidi l'esercito e dia a Marco il sostegno morale e militare di cui ha bisogno per mantenere il controllo dell'impero.

- Vengo con te, Massimo. Non puoi farlo da solo.

- No, Quinto. Tu sei il mio secondo in comando e ho bisogno che tu stia qui a mandare avanti le cose mentre io sono via. Ti lascio con la mia piena autorità di occuparti di qualunque situazione e invierò lettere ai generali sotto il mio comando, avvisandoli. Cerca di diffondere il conflitto fino al mio ritorno e accertati che le tribù non scoprano la mia partenza, ma prendi ulteriori provvedimenti se la situazione lo richiedesse. Hai la mia piena autorità sulle legioni settentrionali, capito? Ora. Voglio che tu faccia preparare la cavalleria in armatura completa. Ho bisogno che mi accompagnino. Non dire dove stiamo andando o perché. Glielo dirò io quando saremo per strada.

- Indubbiamente, se Marco Aurelio è in urgente necessità di aiuto, ci sarà qualcuno fisicamente più vicino di te che può assisterlo. Ti ci vorranno settimane per arrivare là...

- Si fida di me, Quinto. In un momento in cui egli non sa su chi poter contare, sa di potersi fidare di me.

Quinto annuì e posò la mano sulla spalla dell'amico.
- Mi dispiace che questo sia accaduto proprio ora, Massimo. So che stavi progettando un viaggio a casa per vedere la tua famiglia.

Massimo guardò il pavimento e annuì.

- Quanto tempo ha adesso il piccolo Marco?

- Ha due anni. - Un breve sorriso attraversò velocemente il viso di Massimo. - Olivia mi racconta che cammina e chiacchiera molto. - Il sorriso scomparve. - Non lo vedo da quando era in fasce. - Massimo fece scorrere le dita tra i corti capelli. - Marco Aurelio e l'impero vengono prima di qualunque altra cosa.

Quinto non era sicuro di aver udito una nota di amarezza in quelle parole.

All'alba, Massimo cavalcava alla testa dell'intera cavalleria della Felix III, impostando un'andatura veloce verso sud-est. Secondo Lucilla, Cassio stava raccogliendo le sue forze in Moesia, vicino al Mar Nero, e Massimo avrebbe dovuto affrontarlo là, sperando di far guadagnare a Marco il tempo necessario per tornare a Roma e organizzare i suoi Pretoriani.

Il tempo fu favorevole e le strade nel sud-est larghe e solide, cosicché in meno di due settimane Massimo e la sua cavalleria furono vicini all'accampamento del generale Cassio, sventolando il vessillo della Felix III e portando lo stendardo dell'aquila dorata di Roma. Nonostante il caldo, Massimo indossava la sua alta uniforme di generale, con le due pellicce di lupo sulle spalle e la corazza scolpita con la testa di lupo. Si avvicinò alle guardie all'entrata e intimò con la sua voce più profonda e autoritaria:
- Dite al generale Cassio che il generale Massimo, comandante delle legioni settentrionali, è qui per vederlo. - Una guardia immediatamente scattò per fare ciò che le era stato ordinato, mentre le altre si limitarono a fissare sconvolti Massimo e la cavalleria completamente armata dietro di lui. Pochi soldati curiosi si radunarono all'interno delle mura dell'accampamento e Massimo udì ripetere il suo nome. Scarto sbuffò e raspò il terreno come in risposta.

La guardia tornò e si rivolse a Massimo.
- Puoi entrare, generale, ma i tuoi uomini devono restare fuori.

- I miei uomini restano con me.

- L'imperatore non lo permetterà, signore.

- L'imperatore? - Le parole di Massimo erano cariche di sarcasmo. - Dite al generale Cassio di venire fuori, allora, e di incontrarsi con me qui.

- Non lo farà, generale.

- Bene... sembra che abbiamo un problema, allora... è così? - replicò Massimo appoggiandosi col gomito al ginocchio e chinandosi verso la guardia, guardandolo in faccia furioso. La sua voce si abbassò ad un cupo ringhio. - Chiedi al tuo generale se vuole scatenare una guerra civile. Le mie legioni superano in numero le sue di gran lunga, e posso farle arrivare qui in poche settimane.

La guardia inghiottì a vuoto e scomparve di nuovo senza una parola. Massimo si raddrizzò nella sella e tenne lo sguardo dritto davanti a sé, le redini nella mano sinistra, il braccio bendato disteso sul ginocchio. Parlò sommessamente a Scarto e lo stallone rimase fermo come una statua. Alcune teste sbucarono da sopra il muro dell'accampamento per guardarlo con aria inebetita, ma egli le ignorò.

La guardia ricomparve.
- Tu ed i tuoi uomini potete entrare, generale.

Massimo annuì una volta e avanzò attraverso l'entrata, con la cavalleria dietro di sé. Un rapido sguardo intorno gli disse che l'accampamento era fortificato in modo poderoso. Cassio si era preparato ad affrontare, e forse stava perfino aspettando, dei guai.

E i guai erano appena arrivati, sul dorso di un lucido stallone nero.

 

Capitolo 42 - Cassio

Cassio tentò di assumere un'aria casuale.
- Entra, generale, - disse, tendendo la mano a indicare l'accesso alla sua dimora.

Sebbene guardingo, Massimo non si sentiva in immediato pericolo e attraversò la porta davanti a Cassio, dopo averlo valutato in fretta. Erano circa della stessa altezza, ma Cassio era sorprendentemente magro, per essere un soldato. Massimo giudicò la sua età essere di circa quarantacinque anni, dal momento che i suoi capelli castani erano abbondantemente striati di grigio ed il suo viso era solcato da rughe dovute ad anni trascorsi sotto il sole. Era rasato, e i suoi occhi castani erano guardinghi sotto sopracciglia cespugliose che sembravano fuori posto sul suo viso magro. Non aveva avuto il tempo di prepararsi alla visita di Massimo e si era frettolosamente infilato una corazza di cuoio coperto da un sottile strato d'oro, sopra quella che sembrava una tunica di seta, una strana combinazione, a dir poco. Le sue gambe magre erano nude e ai piedi calzava dei sandali.

Cassio rise.
- E' evidente che proveniamo da parti diverse del mondo, generale. Qui fa dannatamente caldo d'estate, e umido. Molto sole, ma lo si paga con il caldo. Deve fare più fresco dove...

Massimo tagliò corto.
- Non sono venuto qui per discutere del clima... generale.

- No, no, certo che no. Ho sentito molto parlare di te, Massimo... Spero che non ti dispiaccia se ti chiamo così.

- Preferirei che non lo facessi.

- Oh... bene... Generale... vuoi sederti? - Cassio era piuttosto nervoso ora, il che sorprese Massimo. Era la sgradita emozione dell'improvvisa visita o l'atteggiamento molto freddo di Massimo, a confonderlo?

- Prima di farlo, generale Cassio, voglio chiarire bene una cosa. Io servo Marco Aurelio, imperatore di Roma.

- Marco Aurelio è morto, generale.

- Non è vero.

- Oh? E tu lo hai veduto recentemente? - Cassio aveva riguadagnato la sua baldanza.

- No, non con i miei occhi, ma ho avuto assicurazioni che egli è vivo e sta bene.

- Io ho udito esattamente il contrario, generale, e qualcuno deve prendere il controllo per evitare il caos, in tempi come questi. Dal momento che io sono il comandante più anziano dell'esercito, pensavo fosse appropriato...

- Pensavi sbagliato. E' del tutto inappropriato.

La baldanza di Cassio si trasformò in collera.
- Pensavo che un soldato come te avrebbe capito una tal mossa, generale. La guida di Roma non può ricadere sul figlio di Marco, Commodo.

- Sono d'accordo, generale, - disse Massimo. - Ma ci sono modi appropriati e modi inappropriati di agire, nel trasferire il potere, e la prima cosa che uno deve fare è avere la prova assoluta che il capo precedente sia morto... non fare assegnamento su delle voci.

- E per allora qualche pazzo a Roma avrà preso il controllo...

- Se questo accadesse allora l'esercito dovrebbe reagire in quel momento. Non prima.

Cassio squadrò Massimo dalla testa ai piedi con deliberata lentezza, un sogghigno beffardo sul viso.
- Sei piuttosto giovane, vero? - Girò attorno a Massimo e toccò col dito le sontuose pellicce. - Queste dovrebbero impressionarmi?

Massimo non rispose.

Cassio tornò di fronte a lui.
- Un dono di Marco Aurelio? - I due uomini si fronteggiavano, gli occhi negli occhi. - Tu sei il prescelto, vero, Massimo? Un ispanico promosso ben oltre il suo ceto nella vita.

Massimo sorrise lievemente.
- Hai paura di me, generale?

- Per nulla.

Massimo gli andò così vicino che i loro nasi praticamente si toccavano e ringhiò lentamente:
- Be', dovresti averne.

- E' una minaccia?

- Prendila come vuoi.

- Sei un pazzo, generale, se credi di poter venire nel mio accampamento a minacciarmi. Chi credi che ti proteggerà? La tua cavalleria? Sono in netta inferiorità numerica. Direi che questo rende precaria la tua posizione, davvero molto precaria.

- Se mi fai del male, generale, le legioni del nord si precipiteranno qui e scanneranno come agnelli te e i tuoi sostenitori. Pensaci, prima di fare qualcosa di avventato.

- E come verranno a sapere che sei morto? Chi andrà a raccontarglielo, se anche tutti i tuoi uomini saranno morti?

Un lento sogghigno increspò il viso di Massimo.
- Lo sapranno, generale. Lo sapranno. - Massimo gettò la testa all'indietro e guardò dall'alto Cassio, le mani sui fianchi, le vigorose gambe divaricate.
- Se stai anche lontanamente contemplando l'idea di condurre le tue legioni a Roma per prendere il controllo della città, ci ripenserei. Le mie legioni ti fermeranno, e i miei uomini sono molto più numerosi dei tuoi.

Cassio scoppiò a ridere.
- Hai una gran fiducia nella lealtà dei tuoi uomini, generale. E' mia esperienza che i soldati trasferiranno come un lampo la loro lealtà dalla parte del potere. Vogliono solo essere pagati e non si curano di quale imperatore li paga.

- Credo che tu sottovaluti gravemente l'integrità degli uomini dell'esercito romano, generale.

Il viso di Cassio fu inondato dall'ira.
- Come osi parlarmi dell'esercito, Ispanico! Io sono nato e cresciuto a Roma... un vero cittadino romano. Ho servito Roma sin da prima che tu nascessi! - Lottò per ritrovare il controllo. - Oh, ho sentito dei tuoi metodi di procurarti la lealtà, Ispanico. Tutte quelle... migliorie... apportate ai tuoi accampamenti. Be', lascia che te lo dica, Ispanico, i tuoi uomini ti gireranno le spalle senza pensarci due volte, se qualcuno farà loro un'offerta migliore. C'è un unico modo per conservare la lealtà di un esercito.

- Vorresti illuminarmi, generale?

- La paura! La paura! - stridette Cassio, il viso distorto da un'espressione cattiva. - Le punizioni!

- E chi somministra le punizioni, Cassio? - Massimo sputò il nome come fosse una bestemmia.

- I miei sostenitori, naturalmente! - Cassio era momentaneamente confuso.

- E come mantieni il sostegno dei tuoi sostenitori, Cassio?

Cassio restò in silenzio.

- Li compri, naturalmente, con il denaro o con il potere. - Il sorriso di Massimo non raggiungeva il suo sguardo. - Un sistema difettoso, in verità, Cassio. Perché, per usare le tue parole, basta un'offerta migliore e se ne vanno. I miei uomini mi sostengono perché sono equo e perché mi curo di loro. Io comando attraverso l'esempio e sono leale a Roma ed al suo vero imperatore, Marco Aurelio, non ad un qualunque generale assetato di potere. I miei uomini provano le stesse cose. Puoi offrire loro tutte le ricchezze e il potere di Roma e non riusciresti a influenzarli.

- Che nobiltà, da parte loro. Che nobiltà, davvero. - Cassio sedette in una sedia elaboratamente intagliata e appoggiò i piedi sul tavolo, nello sforzo di apparire indifferente. - E che mi dici di te, Ispanico? Tu hai ambizione, diversamente un uomo delle tue umili origini non sarebbe mai arrivato dove sei tu adesso. Puoi guardarmi negli occhi e dirmi che non hai pensato ad un futuro da capo politico, se se ne presentasse l'opportunità? - Lo schernì Cassio. - Sei solo indispettito perché ti ho battuto sul tempo.

- L'unica mia ambizione, Cassio, è di ritornare in Ispania da mia moglie, mio figlio e la mia fattoria. Prima di quel momento, userò tutte le mie capacità per servire Roma al meglio delle mie possibilità.

Cassio si versò una coppa di vino, ma non ne offrì a Massimo, che rimaneva in piedi.
- Che umiltà da parte tua, Ispanico. - Cassio tracannò il vino e se ne versò ancora. - E' per questo che i tuoi uomini ti amano tanto? Per la tua umiltà?

- Amano? Rispettano sarebbe più esatto, Cassio, ed è un rispetto reciproco. Io riconosco in loro gli stessi desideri e le stesse paure che ho io. Io sono uno di loro. Marco Aurelio sa chi sono io... che cosa sono io. Egli fu abbastanza intelligente da vedere in me cose di cui io non ero nemmeno consapevole.

- Oh... e che cosa vide in te il defunto imperatore, Ispanico?

- Tutte le peculiarità che egli ammira di più negli uomini. Onestà, perseveranza, temperanza, giustizia, lealtà; egli non vide ambizione in me, Cassio, perché non ve n'è. - Massimo poggiò il fianco contro il tavolo, vicino ai piedi di Cassio, e incrociò le braccia sul petto. - Al contrario, tutto quello che io vedo in te è ambizione. Nient'altro. Marco Aurelio non ti sceglierebbe mai come suo successore, Cassio. - Massimo sciolse le braccia e si chinò in avanti sul tavolo, guardando direttamente negli occhi di Cassio. - Io non ho mai avuto alcun interesse ad essere un capo politico, generale, ma intendo assicurarmi che un uomo come te, che non ha nessuna delle caratteristiche tanto ammirate dall'imperatore, non si aggiudichi il controllo del potere. Preferirei vedere nominato imperatore Commodo, piuttosto che te.

Il volto di Cassio era pallido per la collera, le labbra contratte in una linea orizzontale.
- Potrei farti uccidere seduta stante.

- Potresti, ma non lo farai. Sei troppo intelligente per farlo. - Massimo si raddrizzò e rise. - Dimmi, Cassio, quale lealtà pensi sia più forte? La lealtà vinta da rispetto e ammirazione reciproci o dalla promessa di ricchezze? - La sua voce tornò ad essere mortalmente seria. - Ti avverto, generale. Non sottovalutarmi mai. - Massimo si stiracchiò e sbadigliò.
- Ora, generale, sono molto stanco e vorrei che mi mostrassi i miei quartieri. Voglio che i miei uomini e i miei cavalli siano accuditi. E... - Massimo accennò col capo ad una parete di tendaggi. - Puoi ordinare alle tue guardie di mostrarsi, adesso. Sei al sicuro, per il momento.

 

Capitolo 43 - Claudio

- Psst... Generale?

Massimo rotolò sulla sua branda, chiedendosi quale rumore l'avesse svegliato. Si alzò a sedere e guardò fisso nell'oscurità, ascoltando con attenzione.

Le parole sommesse, pressanti, raggiunsero di nuovo le sue orecchie.
- Generale Massimo. Svegliati, generale.

Massimo guardò in direzione della parete nera della sua tenda, poi lanciò un'occhiata all'entrata, dove riuscì a vedere la sagoma di quattro guardie armate nella luce della luna. Scivolò dalla brandina e strisciò lungo il pavimento, poi si sedette a gambe incrociate vicino alla parete nera e aspettò di udire di nuovo la voce.

- Psst. Generale, per favore...

- Sono qui, - sussurrò Massimo in risposta. - Chi sei?

- Oh. - La voce sembrò sollevata. - Sono Claudio Silvano, signore. Ho servito con la Felix VI per otto anni e so chi sei tu.

- E?

- Signore, Marco Aurelio è davvero morto?

- No... E' vivo, - rispose Massimo con cautela. Quest'uomo era stato mandato a tendergli una trappola?

- Sei qui per fermare Cassio, generale?

Massimo restò zitto.

- Signore?

- Come faccio a sapere se posso fidarmi di te? Come faccio a sapere se sei quello che dici di essere?

- Mi aspettavo che fossi scettico, generale, così ho portato delle prove. Fui premiato con una medaglia per il mio coraggio nella battaglia contro i germanici a Castra Regina. La spingerò sotto la parete della tenda.

Massimo sentì tirare la grossa tela di canapa e cercò a tentoni nel buio fino ad afferrare il rotondo, freddo pezzo di metallo. Non aveva bisogno di vederlo. Le sue dita seguirono i familiari contorni e capì che era autentica. Sussurrò:
- Congratulazioni, Claudio. Che cos'hai fatto per meritartela?

- Salvai il generale Avito ricevendo un colpo di spada a lui destinato. Dopo essere guarito, il freddo mi dava terribilmente fastidio, mi faceva dolere le ossa, così fui trasferito qui. Non è lo stesso, qui, signore. Odio questo posto. Il generale Cassio non tratta i suoi uomini come facevi tu. Per lui, noi facciamo solo parte dell'equipaggiamento. Non si cura di noi come facevi tu, generale.

Massimo lanciò ancora un'occhiata all'entrata. Le guardie non si erano mosse.
- Sei di altezza e corporature medie, hai capelli biondi e una cicatrice sulla guancia sinistra. Giusto?

Claudio restò senza fiato.
- Ti ricordi di me, generale? Mi hai visto solo una volta e per un periodo molto breve.

- Shhh, Claudio, abbassa la voce. Ho memoria per i dettagli. A volte è un vantaggio, a volte no. Perché rischi la vita per parlare con me, soldato?

- Sono qui a offrirti i miei servigi, signore. Non riuscivo a crederci quando ti ho visto entrare a cavallo oggi, e sapevo che eri stato inviato dagli déi per salvarci. Farò tutto ciò che posso per aiutarti.

- Salvarvi? Salvarvi da che cosa?

- Cassio. La vita non è mai stata bella qui, signore. Non come lo era con te. Ma da quando si è autoproclamato imperatore, è divenuta di gran lunga molto, molto più brutta.

- Che cosa vuoi dire?

- Non si cura più della legione e nemmeno dell'esercito. Tutto ciò che sta facendo è raccogliere sostenitori e uccidere coloro che gli si oppongono. Se sei qui per cercare di fermarlo, generale, la tua vita è in grande pericolo. Dozzine di soldati sono scomparsi e tre settimane fa fece crocifiggere due dei nostri centurioni migliori, perché avevano osato esprimere apertamente il loro disaccordo con lui. Lasciò i loro corpi sulle croci finché marcirono al sole, come monito per il resto di noi. La maggior parte di noi, qui, appoggia Marco Aurelio, se egli è ancora vivo, ma eravamo troppo impauriti per fare qualunque cosa, fino al tuo arrivo.

- In quanti siete, Claudio?

- Parecchi, generale. Sanno già tutto di te, perché ho raccontato loro quanto era migliore la mia vita con te nel Nord. Ti appoggeremo, generale Massimo, in qualunque cosa tu deciderai di fare.

- C'è qualche alto ufficiale che la pensa come voi? Qualcuno nel suo circolo ristretto? Qualcuno di cui pensa di potersi fidare? Come puoi vedere, ogni mossa che faccio è sorvegliata.

- So di uno... forse.

- Ho bisogno di comunicare con lui senza sollevare sospetti. Pensi di potermi aiutare a farlo?

- Posso provarci, generale.

- Claudio, ascoltami. Se ti prendono c'è la morte per te, per me e per tutti i miei uomini. Capisci?

- Sì, signore. Perfettamente.

- Adesso ascoltami con attenzione. Devo unirmi a Cassio e ai suoi ufficiali per cena, questa sera. Quest'uomo probabilmente sarà là e deve darmi un segno, se è pronto ad aiutarmi a sconvolgere i piani di Cassio.

- Che tipo di segno, signore?

Massimo rifletté per un momento.
- Digli di incrociare il medio della sua mano destra sopra l'indice, e di non farlo troppo manifestamente. Io lo vedrò. Claudio, non avvicinare nessuno di cui non sei completamente sicuro. Cassio non deve venirne a conoscenza.

- Capisco, signore.

- Fai di nuovo rapporto a me, stasera dopo il crepuscolo. E, Claudio...

- Signore?

- Grazie.

- L'onore è mio, generale. Credimi. Spiacente di aver interrotto il tuo sonno.

Massimo sorrise nell'oscurità e ritornò strisciando alla sua branda, distendendosi appena prima che una guardia mettesse dentro la testa per indagare sul leggero rumore cigolante. Soddisfatto che tutto fosse a posto, la guardia ritornò alla sua posizione fuori dalla tenda. Massimo respirò a fondo e piegò il braccio sotto la testa progettando la sua mossa successiva.

 

Capitolo 44 - Giulia

L'odore di cibo e i rumori di musica e baldoria sommersero Massimo ed i suoi guardiani ancor prima che entrassero nel pretorio. Egli aveva accettato l'invito alla cena nella speranza di avere un primo contatto con un uomo del circolo ristretto di Cassio, che lo avrebbe appoggiato nella sua missione di contrastare le ambizioni di Cassio, passibili di alto tradimento. Appena Massimo aprì l'entrata, consistente in una serie di cortine, della tenda di Cassio, si fermò bruscamente, facendo sì che i quattro uomini distratti dietro di lui inciampassero l'uno nell'altro, bofonchiando imprecazioni su talloni e dita pestate. Esasperato, Massimo si girò verso di loro.
- Non sono ancora riuscito a capire chi stiate proteggendo, ma vi assicuro che stanotte non corro pericoli da parte di Cassio e lui non corre pericoli da parte mia. Rimanete fuori!

Massimo entrò e lasciò cadere la pesante cortina dietro di sé. Fu immediatamente inghiottito da una cacofonia di suoni ed una combinazione di odori, diversi da qualunque cosa avesse mai sperimentato nell'accampamento di un esercito. Tutti i suoi sensi scattarono all'erta. Gli odori furono registrati per primi. L'aria umida e densa era colma degli aromi di cibo ricco e vino speziato, così come dell'inebriante profumo di gelsomino e acqua di rose. Attraverso la foschia, alla sua sinistra vide tavoli sovraccarichi di cibo e bevande. Dietro di essi, separati dal resto della stanza da un tendaggio opaco, alcuni musici suonavano strumenti di legno, creando una dolce melodia di sfondo alla vivace conversazione, punteggiata da risate, rutti e gridolini striduli. Attraverso una cortina semitrasparente alla sua destra, Massimo riuscì a scorgere indistinte forme umane e chiaramente non erano tutte di uomini. Fece un passo avanti e scostò la tenda leggera, che fluttuò per un attimo, prima di tornare a posto dietro di lui. Egli si fermò ancora una volta per permettere alla sua mente di assorbire ciò che gli occhi stavano vedendo. Era così, dunque, pensò. Era così che Cassio comprava la lealtà.

Ovunque egli guardasse, uomini e donne variamente svestiti erano impegnati in atti sessuali di tutti i tipi, completamente disinibiti e indifferenti alla mancanza d'intimità. I corpi si dimenavano su morbidi tappeti e comodi cuscini, ma anche su divani senza schienali disegnati per agevoli rapporti sessuali. Egli guardò mentre una donna si metteva in ginocchio e procedeva a dar piacere ad un tribuno, che continuava a conversare con un uomo disteso su un divano vicino, mangiando cibo che gli veniva imboccato un boccone alla volta da una donna completamente nuda. Tra bocconcini e frammenti di conversazione la coppia condivideva baci umidi e untuosi. Alcuni uomini fingevano di non vedere le attività carnali, preferendo assaggiare il cibo o semplicemente conversare con i loro compagni ufficiali. Servi con cibo e bevande si muovevano liberamente tra gli ospiti, all'apparenza dimentichi degli atti sessuali attorno a loro.

Massimo stimò che c'erano circa quindici uomini nella stanza e almeno venti donne. E che donne! Erano splendide, ognuna di esse, ovviamente non prostitute provenienti dai villaggi locali. Tutte erano alte e snelle, ma floride, con lunghi capelli setosi che ricadevano liberamente sulle loro schiene e fino ai fianchi.

Nonostante le travolgenti distrazioni, Massimo era determinato a completare la sua missione di quella sera: trovare un ufficiale con le dita incrociate. Si diresse verso la salvezza del cibo, dove poteva attardarsi senza sollevare sospetti mentre scrutava la stanza. Tre larghi tavoli cigolavano sotto il peso di portate di carni, verdure, frutta, formaggi, pani, pesci... un banchetto quale non aveva visto dal giorno del suo matrimonio. Dozzine di bottiglie di vino erano state aperte e consumate e altre dozzine aspettavano il loro turno. Un servo offrì un piatto mentre si avvicinava al tavolo e Massimo lo ringraziò con un sorriso. Poi fece finta di ispezionare lentamente il cibo, selezionando con cura tra i piatti attraenti e salutando con un cenno ogni uomo nelle vicinanze, abbassando nel frattempo lo sguardo con un'occhiata furtiva alle sue mani. Girò attorno ad ogni tavolo almeno due volte e si rese conto di essersi attardato troppo quando il cibo cominciò a scivolare fuori dal suo piatto sovraccarico.

- Affamato, generale? - Era Cassio.

Massimo alzò lo sguardo così in fretta che il piatto s'inclinò nella sua mano e la carne e le verdure precipitarono sul pavimento, atterrando in un mucchietto molle e umido sulla punta del suo piede calzato da stivale. La bella donna bionda che si teneva stretta al braccio di Cassio fece un rapido passo avanti e afferrò il bordo del suo piatto finché Massimo ne riguadagnò l'equilibrio. Egli fece un cenno di ringraziamento e lei mostrò tutti i suoi denti perfettamente bianchi in un sorriso abbagliante, prima di ritornare alla sua posizione originale.

- Generale, - il tono di Massimo era alquanto sarcastico, - non mi avevi detto che ero tenuto a fissare un appuntamento.

Cassio rise.
- Oh, qui non ce n'è bisogno. Io mi prendo cura dei miei amici. Mi prendo cura di tutti i loro bisogni, - disse Cassio versando del vino in un calice riccamente ornato e mettendolo nella mano libera di Massimo.

- Vedo. - Massimo lanciò di nuovo un'occhiata alle coppie, ma fu immediatamente distratto da due donne che lo avvicinarono ondeggiando i fianchi, le lunghe gambe completamente rivelate tra le pieghe sciolte delle loro diafane tuniche, i loro seni pieni spinti contro il tessuto per esporre la profonda scollatura e i capezzoli imbellettati. Una gli afferrò entrambe le braccia, facendo rovesciare il vino sulla sua mano e cadere la coscia di pollo sul pavimento.

- Ohhh... Generale! - strillò una mentre gli stringeva i bicipiti. - Sei la cosa più bella che abbia visto da molto tempo! - Abbassò la testa e lo guardò da sotto in su sbattendo le lunghe ciglia. - Ma hai addosso troppi vestiti. - Le mani di lei si allungarono verso le fibbie ai lati della sua corazza di cuoio.

Il viso di Massimo fu immediatamente tirato nella direzione opposta da una mano sulla sua guancia e una voce bisbigliante che diceva:
- Affamato, generale... di qualunque cosa?
Egli abbassò lo sguardo su due occhi verdi sottolineati da una riga scura.
- Grazie, gentili signore, ma posso arrangiarmi da solo. Voltò loro le larghe spalle, rovesciando ancor più cibo e vino mentre si liberava dalle loro prese.

- Non ti interessano le donne, generale? - Con uno scatto della testa Cassio ordinò alle donne deluse di andarsene. - Ciò mi sorprende alquanto.

- In questo momento sono solo affamato di cibo, - replicò Massimo in quello che sperava fosse un tono convincente. - Che donne, comunque. Sono del luogo?

- Perbacco, no. Sono schiave. Le più belle dell'impero, ognuna personalmente selezionata o allevata da me.

- Allevata? - Massimo dominò i tratti del viso per nascondere lo shock.

- Sì. E' veramente una scienza... un po' come allevare i cavalli. Se fossi in te, generale, approfitterei della situazione. Sono addestrate per dar piacere agli uomini e faranno qualunque cosa tu voglia... qualunque cosa. - Cassio fece un passo indietro e diede a Massimo una pacca sulle spalle, mandando ancora un po' di cibo a raggiungere il mucchietto molle e untuoso già sul pavimento e strappando una risatina sciocca alla sua compagna. - Finisci di mangiare, generale, poi unisciti alla festa. Prenditi quella che vuoi, anche se sta con un altro uomo. Sei l'ospite d'onore qui! - Ciò detto, Cassio aprì a forza la bocca della donna al suo fianco e le cacciò la propria lingua in gola. Massimo vide contrarsi i muscoli della gola di lei, mentre quasi soffocava, prima di riguadagnare il controllo e rispondere adeguatamente. Le mani di Cassio vagarono sulle natiche di lei, strizzando la pallida carne mentre schiacciava la donna contro i propri fianchi.

Quando Cassio ruppe l'abbraccio Massimo era già tornato al tavolo, dove porse il suo piatto ad un servo, l'appetito completamente rovinato. Abbassando la testa, lanciò un'occhiata a Cassio da sotto le sopracciglia e fu soddisfatto di vedere la faccia dell'uomo distorta dall'irritazione perché il suo ospite non era rimasto ad assistere per intero alla sua impresa.

Massimo inghiottì una sorsata di vino e rifletté su ciò che aveva appena appreso. Cassio comprava e allevava queste bellezze per una vita di schiavitù sessuale. Da qualche parte a Roma egli aveva probabilmente una riserva di bambine già addestrate per prendere il posto di queste donne, quando fossero diventate troppo vecchie o gravide o malate. Nonostante il caldo, Massimo rabbrividì di disgusto. Egli guardò fisso davanti a sé, lo sguardo vago che cercava di non vedere i corpi che si contorcevano alle estremità del suo campo visivo. Pieno di ripugnanza e ribrezzo, spinse la sua coppa di vino nelle mani di un servo e si diresse verso la porta. Se ne stava andando.

Aveva quasi raggiunto la tenda trasparente all'entrata, quando una voce femminile lo chiamò da dietro.
- Generale? Non ti piace la festa?

Massimo si voltò e si trovò di fronte ad una deliziosa rossa che poco prima era stata serrata nell'abbraccio di un tribuno dai capelli grigi.
- No, - disse schiettamente, cominciando ad andarsene.

Lei gli afferrò il braccio e lo tirò indietro con forza sorprendente, poi premette i seni contro la sua corazza, mentre la mano gli cingeva la nuca e le sue labbra gli sfioravano l'orecchio.
- Ho un messaggio per te, generale. - Ella si tirò indietro e sorrise alla sua espressione stupita, le morbide labbra color corallo e i vivaci occhi blu dalle folte ciglia. La sua pelle perfetta era pura come panna
e i suoi capelli erano come una cascata di oro rosso che le ricadeva in folte onde sui fianchi. La sua tunica era di seta bianca intessuta con fili d'oro che luccicavano alla luce del lume. Essa rivelava le sommità dei suoi seni pieni e aderiva alla sua vita sottile grazie ad una cintura dorata lavorata a treccia. Il morbido tessuto le avvolgeva i fianchi rotondi, aprendosi sul davanti per scoprire le lunghe gambe armoniose. Massimo non poté far altro che fissarla.

La donna era di appena pochi centimetri più bassa di Massimo e sostenne il suo sguardo senza difficoltà. La voce di lei era leggermente roca quando sussurrò:
- Vieni a sederti, generale. Ho notato che non hai mangiato nulla. - Sorrise. - Più tardi potremo rimanere più appartati.

Egli rifiutò di muoversi.
- Come ti chiami?

- Giulia.

- Giulia, - Massimo ripeté, ma senza sapere perché.

- Sì, - disse Giulia spingendosi di nuovo vicina a lui. Gli tenne fermo il volto con una mano, lambendogli l'orecchio e mordicchiandogli il lobo, prima di sussurrare. - Generale Massimo, per favore, collabora. E' pericoloso per tutt'e due. Ho un messaggio dal tribuno Marcello.

Massimo le circondò la vita con il braccio e le posò la mano destra sul fianco, stringendola a sé. Le strofinò il viso sul collo e chiese:
- Qual è?

- Alto, magro, capelli e barba grigi, vicino al tavolo di cibo nel mezzo.

Massimo scrutò il tavolo attraverso i fili dorati dei capelli profumati di lei. L'uomo che corrispondeva alla descrizione stropicciò il medio della mano destra sopra l'indice come per dare una grattatina ad un pizzicore, poi si voltò. Era sufficiente.

- Va bene, Giulia, ascolterò quel che hai da dire.

Ella fece scivolare le labbra lungo il collo e la guancia barbuta di lui, per catturargli la bocca in un rapido bacio, prima di mordicchiargli il labbro inferiore e farvi scorrere sopra la lingua.
- Non possiamo mostrarci impegnati in una conversazione, generale, o tutti e due verremo esposti all'aria inchiodati a delle croci, - alitò nella sua bocca. Lo prese per mano per condurlo via dalla porta, ma Massimo la fece roteare indietro nelle proprie braccia e la baciò con ardore sulla bocca, poi sussurrò:
- Come si chiama l'uomo che ha preso contatto con Marcello?

La voce di Giulia era leggermente ansimante.
- Claudio.

Massimo infilò le dita tra i capelli di lei e le baciò la fronte, poi gli occhi, le guance e le labbra.
- Fai strada, Giulia. Tutt'a un tratto mi sento di nuovo affamato. - La sua grande mano racchiuse il viso di lei mentre le sorrideva, occhi blu che incontravano altri occhi blu.
Le mani di lei afferrarono i suoi robusti avambracci.
Giulia era troppo affascinata per riuscire a muoversi. Marcello non le aveva detto che il generale Massimo sarebbe stato così. Era molto più giovane e di gran lunga più attraente di quanto si fosse aspettata. Le sue paure circa il proprio ruolo in questo complotto diminuirono considerevolmente. Si sentiva al sicuro con quest'uomo. Il sorriso che restituì a Massimo era autentico.

Mano nella mano si avvicinarono ai tavoli.
- Non è rimasto molto cibo, adesso, generale, ma io so che cosa è buono e che cosa non lo è. Ti dispiace se ti preparo un piatto?

- No davvero. Grazie. - Massimo fece un passo indietro e urtò contro Marcello. - Scusami, dovrei guardare dove vado.

- Di niente, generale. - Marcello tese la mano e Massimo la strinse. - Sono Marcello, tribuno anziano dell'imperatore Cassio.

- E uno molto leale, vedo. Io sono convinto che Marco Aurelio sia vivo e stia bene e che rimanga lui il vero imperatore di Roma. - Massimo vedeva che Cassio, dall'altra parte della sala, osservava con interesse la loro conversazione. Era anche ben consapevole che un altro ufficiale si era furtivamente avvicinato al loro fianco e fingeva di passare in rassegna il cibo sul tavolo.

- Be', spero di poterti persuadere a cambiare idea, generale. Un uomo delle tue leggendarie capacità sarebbe molto utile ad un imperatore che veramente ti apprezzasse. - Marcello lo squadrò dalla testa ai piedi. - Forse addirittura generale dei Pretoriani, a Roma... che te ne pare? Basta accampamenti di eserciti in squallidi avamposti...

- Io servo Roma nel modo che il mio imperatore ritiene più adeguato, tribuno Marcello, e lo farò sempre.

- Bene... Comprendo che stasera non riuscirò ad indurti a pensarla come me, generale. Ah... vedo che Giulia si sta prendendo cura di te. Hai buon gusto, generale. Ti ho visto rifiutare altre donne... in attesa che la migliore diventasse disponibile. - Marcello rise. - Buona serata, generale. Oh... a proposito... se preferisci un po' d’intimità, sul retro ci sono stanze separate da tendaggi, con divani e cuscini... molto confortevoli. - Massimo seguì lo sguardo di Marcello e vide un certo numero di piccole aree, separate dal resto della stanza da pesanti tessuti drappeggiati. - Non sono certo isolate acusticamente, capisci, ma alcuni uomini preferiscono non dar spettacolo per il resto di noi. - Marcello rise e Massimo fece un cenno di comprensione.

- Eccoti, generale, un piccolo assaggio di tutte le cose più buone. Il cuoco personale dell'imperatore è eccellente, - disse Giulia.

- Divertiti, generale. - Marcello fece un lieve inchino, poi Giulia prese la mano di Massimo e lo guidò verso un lato della sala principale, dove lei aveva avvistato un divano libero. Posò il piatto sul tavolino, a fianco di un lume ad olio leggermente fumoso e sprimacciò alcuni cuscini, accatastandoli in un alto mucchio perché Massimo vi si appoggiasse per riposare. Egli fece per sedersi, ma lei lo fermò.

- Generale, quella corazza sembra così calda e rigida. Perché non lasci che ti aiuti a toglierla? - Egli obbedientemente sollevò le braccia e lei, svelta, slacciò le fibbie. La corazza fu subito posata sul pavimento, vicino al tavolo. - Così va meglio. - Giulia fece un passo indietro per ammirarlo. Massimo ora indossava una semplice tunica rosso-vino di lana leggera che gli copriva a stento le ampie spalle e arrivava a metà coscia, stretta in vita da una larga cintura di pelle. Le sue gambe muscolose erano nude, tranne che per gli stivali con stringhe che gli coprivano i polpacci. - Fa molto caldo qui, generale. Non saresti più comodo con i sandali? Posso trovarne...

- Sono abituato agli stivali. Vanno benissimo.

- Come desideri. - Giulia era ben conscia che molte donne nella stanza la stavano osservando con invidia, anche se stavano servendo altri uomini. Lei non aveva intenzione di far loro mettere le mani su questo, e spostò il corpo per bloccare loro la vista di Massimo una volta che si fu seduto.

Massimo si sentiva molto ridicolo disteso sul divano, con una donna che lo imboccava, ma era determinato a non rischiare la sicurezza di lei, comportandosi in modo poco collaborativo. Giocò con i capelli di lei, mentre ella sceglieva piccoli bocconi di cibo e li portava alla bocca di lui. Egli baciò le sue dita prima che lei le tirasse indietro. Fece scorrere le mani lungo la pelle di seta delle braccia di lei, facendola rabbrividire e sorridere.

Massimo inghiottì un boccone di cibo e chiese:
- Da dove vieni, Giulia?

Ella si soffermò con la mano a mezz’aria tra il piatto e la bocca di lui.
- Sono nata a Roma.

- Sei una schiava?

Ella annuì.

- Com'è accaduto?

- Sono nata schiava, signore. Non so chi siano i miei genitori. - Si chinò in avanti e lo baciò, un lungo bacio indugiante. Prima di tornare a sedersi, sussurrò: - Fai troppe domande.

Egli insisté.
- Quanti anni hai?

- Non ne sono certa. Circa diciassette, credo.

Massimo sorseggiò il vino e la studiò. Era semplicemente la donna più bella che avesse mai visto o immaginato, e si sentiva male al solo pensiero che lei dovesse essere il trastullo di Cassio o di qualunque ufficiale che la desiderasse. Sospirò gravemente pensando alle cose che era stata probabilmente obbligata a fare nella sua giovane vita.

Giulia si preoccupò.
- Non ti sto rendendo felice. - Fece scorrere la mano sulla sua coscia e sotto la sua tunica, prima che lui le afferrasse il polso per fermarla. - Per favore, generale. Capiranno che qualcosa non va, - sussurrò lei pressante. - Di solito sono molto brava a soddisfare gli uomini.

Egli allentò la presa sul polso di lei, ma non la lasciò andare.
- Sono sposato, - disse con calma.

- Come la metà degli uomini che si trovano qui. Cassio è sposato. - I suoi occhi lo imploravano.

Egli sospirò di nuovo.
- Vieni qui, - disse, tirandola sopra di sé, le gambe di lei a ciascun lato dei suoi fianchi, i seni premuti contro il suo petto. Una mano le carezzò la schiena, poi le natiche, mentre l'altra le girava il viso verso il proprio collo. Le sussurrò nell'orecchio: - Giulia, non intendo rischiare la tua vita. Ma devi capire questo: ho promesso a mia moglie di rimanerle fedele e manterrò quella promessa, non importa quanto possa essere difficile per me, non importa quanto io ti desideri. Adesso baciami, poi andremo in una di quelle stanze sul retro dove la conversazione non è così rischiosa. - Egli girò il viso di lato e le catturò la bocca in un bacio che spedì i sensi di lei a turbinare vorticosamente, con la lingua di lui che le esplorava la bocca socchiusa. Quando lui cercò di metter fine al bacio, lei non glielo permise e serrò la propria bocca sulla sua. Ella sapeva che lui era eccitato,
ma lo era anche lei... e ciò la sconvolse. Finalmente ritrasse la lingua dalla sua bocca e gli baciò con delicatezza gli occhi chiusi, mentre lui lottava per riprendere a respirare con regolarità.

- Massimo, - mormorò lei.

Gli occhi di lui si aprirono in fretta.
- Non chiamarmi così, - brontolò.

Le piacque la sua voce profonda.
- Perché no?

- E' troppo... troppo... familiare. Chiamami "Generale".

- Massimo, sono sdraiata sopra di te. Non c'è quasi nulla che separi i nostri corpi, e tu pensi che chiamarti per nome sia troppo familiare? - Ella rise e lo baciò ancora.

Egli non riuscì a pensare ad una replica a quel commento e lei approfittò del suo silenzio per rannicchiarsi contro il suo petto, soddisfatta nell'udire il suo cuore battere forte come il proprio. Le sue forti braccia si avvolsero intorno a lei e la tennero stretta.

- Massimo, - sospirò lei contro il suo petto. - Questo nome ti si adatta. Così forte. - Ella giacque ferma per qualche istante, poi si tirò su sorreggendosi per guardarlo in viso, e gli arruffò i folti capelli con le dita. - Ma così gentile. - Il suo tono era leggermente incredulo. - Gli uomini non sono gentili molto spesso con me, Massimo. Non ricordo di esser mai stata tenuta tra le braccia, prima.

Con sorpresa di Giulia, Massimo parlò in tono iroso.
- Tu sei una delle cose che intendo far pagare a caro prezzo a Cassio.
Detto questo, Massimo fece rotolare Giulia di lato e l'afferrò prima che cadesse dal divano, con un braccio sotto le ginocchia di lei e l'altro sotto le braccia. La sollevò come se fosse fatta d'aria e la strinse contro il petto, mentre si dirigeva verso una stanzetta provvista di tende, scavalcando o scalciando da parte qualsiasi cosa intralciasse il suo cammino.

 

Capitolo 45 - Il piano

All'interno della camera privata, Massimo depose Giulia e tirò i tendaggi, oscurando considerevolmente la stanzetta. Una lume solitario bruciava sul tavolo, ma la sua misera luce non raggiungeva nemmeno gli angoli lontani di quel piccolo spazio. Massimo attese per un attimo che i suoi occhi si adattassero, poi ispezionò l'area racchiusa da pesanti tende scure su tutti e quattro i lati. Massimo tastò il tessuto e scoprì che i pannelli erano cuciti insieme, rendendo efficacemente riservata la stanza rispetto ad occhi indiscreti, ma tutt'altro che isolata acusticamente, come l'aveva avvisato Marcello. Le altre camere si trovavano su entrambi i lati di questa e le cortine non raggiungevano nemmeno il soffitto della tenda.

- Massimo...

Egli zittì Giulia mettendosi un dito sulle labbra e rimase in piedi immobile, ascoltando, la testa leggermente inclinata di lato. Dopo qualche istante Massimo si rilassò visibilmente e prese la mano di Giulia per tirarsela vicina, i seni di lei che gli sfioravano leggermente il petto.
- Con molta calma, ora, dimmi quello che sai.

Giulia all'improvviso si sentì stranamente diffidente e con aria goffa lasciò le mani lungo i fianchi, timorosa di toccarlo.

Massimo la incitò di nuovo.
- Giulia, dimmi che cosa ti ha detto Marcello.

- Manda un avvertimento che Cassio... - All'improvviso Massimo spinse il viso di lei nella propria spalla, soffocando le sue parole e lei gli afferrò le braccia per sostenersi.

- Resta zitta, - le sussurrò all'orecchio.

Col cuore che le martellava, ella si chiese che cosa egli avesse udito, poi lo udì anche lei... il rumore di una cortina che veniva chiusa nella stanza a destra della loro. Poi tutto fu di nuovo silenzioso, eccetto per il suono del suo cuore martellante e dei suoi rapidi respiri ansimanti contro il collo di lui.

Massimo fissò a lungo il tendaggio in comune tra le due stanze, in cerca di qualsiasi segno di movimento. Il divisorio rimase fermo. Ma qualcuno era là. Qualcuno era nella stanza a fianco della loro, e in silenzio restava in ascolto della loro conversazione o dei suoni del loro amplesso.

Massimo lasciò uscire lentamente il respiro e le sussurrò di nuovo.
- Svelta. Dimmi che cosa ti ha detto Marcello.

- Massimo, sei in grande pericolo. Cassio progetta di farti uccidere e di farlo sembrare un incidente. Crede che tu sia troppo potente e che l'esercito ti appoggerebbe contro di lui... Che perfino i suoi uomini lo farebbero.

- Quando?

- Non lo so. Presto.

- Continua.

- Marcello crede che il solo modo per fermare Cassio sia di ucciderlo. E' disposto a farlo lui stesso, se tu lo proteggerai e gli offrirai l'immunità.

- Come pensa di ucciderlo?

-Cassio non sospetta che Marcello sia contro di lui. Permette a Marcello di avvicinarsi a lui fisicamente...

- Shhh... - Massimo aveva notato un lieve movimento della cortina e un piccolo raggio di luce entrò di traverso sul pavimento. Chiunque fosse nell'altra stanza stava diventando curioso o impaziente. La luce scomparve. - Giulia, dobbiamo fare rumore. Qualche... suono appassionato.

Nonostante la loro situazione pericolosa, Giulia non riuscì a resistere dal prenderlo un po' in giro.
- Allora dovrai fare l'amore con me, Massimo.

- No. Ti ho detto...

- Sì, sì, stavo solo scherzando. Non ti preoccupare, so fingere. E' qualcosa che faccio spesso, credimi. - Giulia posò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi permettendo al proprio respiro di farsi più grave.

- Puoi ascoltarmi mentre lo fai?

Ella annuì e sottolineò i suoi respiri con qualche ansito.

Massimo continuò.
- Di' a Marcello che avevo intenzione di arrestare Cassio fino all'arrivo di Marco Aurelio, ma non ho idea di quando questo avverrà, così il piano di uccidere Cassio è l'unico che abbia senso, adesso.

Giulia annuì e produsse un roco gemito profondo di gola.

Il respiro dello stesso Massimo cominciò ad accelerare e Giulia sorrise soddisfatta quando se ne accorse.
- Oh, generale, - mormorò. - Oh, fallo ancora. - Ella mosse i fianchi contro di lui ed egli le afferrò le natiche, tenendole ferme, poi tirò via le mani come se avesse toccato il fuoco. Giulia baciò delicatamente la ruvida peluria sul collo di lui, prima di intensificare di nuovo il respiro. Ella era pienamente consapevole che la popria passione andava ben oltre la finzione. Appoggiandosi contro Massimo, fu facile immaginare che le sue forti braccia la sollevavano e la sistemavano sopra i suoi fianchi, mentre lui...

- Giulia, di' a Marcello di andare avanti col suo piano e che io gli darò l'appoggio di cui ha bisogno. Per farlo, tuttavia, dovrò essere nei paraggi quando entrerà in azione. E' molto importante che sia lui a farlo... uno degli uomini di Cassio... per dimostrare agli altri... Giulia? Giulia? Mi hai sentito? - sussurrò Massimo con insistenza.

- Sì... - La voce di lei suonava sognante e i suoi fianchi premettero di nuovo contro di lui, ma Massimo capì che le azioni di lei erano adesso al di là del suo controllo cosciente. Era profondamente eccitata e lui temeva che lei stesse perdendo la concentrazione. La scosse leggermente.

- Giulia, ascolta. Io vengo sorvegliato da vicino. Sarà difficile per me sfuggire ai miei guardiani, ma potrei tentare di scivolar fuori di notte, con l'aiuto di Claudio. - Massimo lanciò di nuovo un'occhiata alla cortina e la vide muoversi avanti e indietro ad un ritmo veloce, come se qualcuno stesse appoggiato contro di essa, respirando con una certa difficoltà. L'interpretazione di Giulia stava eccitando qualcun altro, oltre che lei stessa... e lui.

Massimo fece qualche respiro profondo, sforzandosi di controllare le proprie emozioni, poi in un unico rapido movimento sollevò Giulia e la depose sul divano, le cui gambe di legno scricchiolarono leggermente in segno di protesta. Massimo rimase in piedi a fianco del divano, di fronte a Giulia, bilanciando il peso su una gamba, poi con delicatezza mise l'altro ginocchio in alto tra le cosce divaricate di lei. Ella si allungò per attirarlo a sé, ma lui scosse la testa e le afferrò le mani, tirandole da parte. Un po' di pressione fu tutto quel che ci volle e lei arcuò la schiena quando venne, gridando il suo nome. Qualche attimo dopo, un gemito profondo fu esalato dall'altro lato della tenda. Massimo digrignò i denti per la frustrazione, l'unico del trio a restare insoddisfatto.

Sussultò leggermente mentre allontanava il ginocchio dal divano e si spostò in silenzio verso la porta cortinata della stanza, aprendola leggermente e alzandola appena in tempo per vedere un calvo tribuno allontanarsi in fretta, senza dubbio per riferire dettagliatamente a Cassio tutto ciò che aveva appena udito. Massimo sperò seriamente che la sua descrizione non andasse al di là degli ansiti e dei gemiti. Gettò un'occhiata alla piccola stanza sull'altro lato della loro e vide che anch'essa era vuota. Lasciò cadere il tendaggio e si voltò verso Giulia quando udì le sue tranquille parole.

- Sei uno strano uomo.

Massimo incrociò le braccia e permise al suo corpo di rilassarsi un po'. Era improvvisamente estremamente stanco.
- Sul serio? Come mai? - chiese con voce roca.

Giulia rotolò su di un fianco e si sistemò la veste per coprirsi le gambe, prima di spiegare:
- Sei l'unico uomo che abbia mai incontrato che non sia interessato unicamente al proprio piacere. - Sorrise con aria maliziosa. - La pagherai per questo, sai?

Egli si passò la mano sul viso, poi intorno alla nuca.
- Lo so. Spero soltanto di non dover salire a cavallo domani.

Giulia ridacchiò, poi il suo tono divenne molto serio.
- Invidio tua moglie. E' una donna molto fortunata.

Massimo sorrise.
- Mi piace pensarlo.

- Spero che ne sia degna.

- Lo è. Le ho promesso... - la voce gli mancò.

- Avete dei figli?

- Un maschietto di due anni. Si chiama Marco.

- In onore dell'imperatore?

- Sì.

Giulia si alzò dal divano e gli si avvicinò, fermandosi poco prima che lui fosse a distanza di contatto.
- Devi avere una grande ammirazione per l'imperatore.

- Sì. E' come un padre per me. Persi mio padre quando ero piccolo.

Giulia sospirò con gravità e Massimo vide le lacrime luccicarle negli occhi. La voce di lei era esitante.
- Quello che mi hai fatto... era solo perché dovevi?

Massimo non rispose, perché in tutta onestà non conosceva la risposta.
- Giulia, troverai qualcuno, un giorno. Qualcuno molto speciale, - disse.

- Massimo, io sono una schiava. - La voce di lei suonava leggermente strozzata, mentre lacrime non versate le serravano la gola.

- Quando Cassio sarà morto avrai la tua libertà. Te la sei guadagnata, e anche le altre donne.

- C'è un solo te, però. E tu sei impegnato.

- Giulia, non ho visto mia moglie una sola volta in due anni. Essere sposata ad un uomo nella mia posizione ha dei terribili inconvenienti. Olivia fa dei sacrifici incredibili...

- Olivia.

Massimo fissò la bellissima giovane in piedi di fronte a lui e ansiosamente riportò la conversazione sul piano in corso.
- Giulia... ricordi quello che ti ho detto di riferire a Marcello?

- Sì.

- Che cosa?

- Che tu lo appoggerai e che devi essere là quando... sarà fatto... ma tu sei attentamente sorvegliato. Presumo che tu voglia che lui ti dica quando, dove e come accadrà.

- Sì. E dev'essere molto presto.

- Deve mandare un messaggio tramite Claudio?

- Sarebbe il modo più sicuro.

- Massimo, per favore, sii prudente. La tua vita è in grande pericolo. Ricordatelo, - implorò Giulia, allungando per un attimo le mani verso di lui prima di lasciarle ricadere lungo i fianchi.

Egli annuì.
- Devo andare. Sei stata brava, Giulia. Marcello è stato saggio a sceglierti. - Ansioso di finire la loro difficile conversazione, egli tirò in fretta la cortina di lato e la lasciò ricadere dietro di sé, avanzando nella sala principale solo per scoprire che molti degli ufficiali erano già andati via e i pochi rimasti erano sdraiati scompostamente sui divani o svenuti o addormentati. Il loro russare si confondeva con il rumore di singhiozzi soffocati provenienti dalla stanza che aveva appena lasciato. Egli aveva adempiuto con successo alla sua missione di quella notte, ma si sentiva completamente scombussolato... svuotato.

Trovò la corazza dove l'aveva lasciata e se la fece scivolare addosso, ritornò ai tavoli di cibo e afferrò una forma di pane come scusa per spingere un coltello affilato sotto la corazza, prima di dirigersi verso l'uscita.

Uscì dalla tenda di Cassio e respirò a fondo l’aria fresca e pura, poi fu subito di nuovo affiancato dai suoi quattro guardiani. Li ignorò deliberatamente e si diresse verso la sua tenda, ma sentì accapponarsi la pelle dietro la nuca. Sarebbero stati questi uomini i suoi assassini?