La Storia di Massimo: Capitoli 26 – 30

 

 

 

Capitolo 26 - 172 d.C.

La stanchezza era impressa sul volto del ventiseienne tribuno che sedeva a cavalcioni del suo stallone fissando attraverso il fiume l'accampamento nemico nei pressi di Vindobona(*). La guerra in Germania durava da cinque lunghi anni senza che qualcuno potesse prevederne la fine, e le legioni Felix avevano perduto molti uomini. Era così stanco che notò a malapena la bellezza del luogo. I suoi uomini erano stanchi; il nemico era stanco, tuttavia la guerra si trascinava ancora e ancora.

Dario mise il suo cavallo accanto a Massimo e si schermò gli occhi mentre anche lui osservava i Germanici. Si rivolse al suo amico e ufficiale superiore senza guardarlo.
- Pensi che attaccheranno?

- Probabilmente. - La voce di Massimo era severa.

- Presto?

- Presto.

- Allora perché non ci muoviamo per primi?

Massimo sospirò pesantemente.
- Claudio non vuole.

Dario si girò verso Massimo, la voce serrata dal senso di frustrazione.
- Dovrebbe ascoltarti, Massimo. Tutti sanno chi detiene in realtà le redini del potere in questa legione.

- L'ho incoraggiato a prendere l'iniziativa, ma non vuole saperne. Crede stupidamente che la calma durerà e non riesco a convincerlo del contrario.

- Se tu ordinassi di attaccare, gli uomini ti seguirebbero. Lo sai, questo.

Massimo guardò l'amico.
- Dario, ce ne sono molti che non lo farebbero.

- Dimmene uno.

- Quinto. E' un centurione e per lui gli ordini del generale hanno la precedenza su tutti gli altri ad eccezione di quelli dell'imperatore. Anche se Quinto capisse appieno la stupidità delle idee di quell'uomo, non disobbedirebbe al comandante. E' nel suo carattere.

- Per fortuna ce ne sono pochi come lui.

- Sono sufficienti.

- E' stato fatto in altre legioni, Massimo. Un comandante incompetente è stato rovesciato da un capo che aveva la sincera lealtà degli uomini.

Massimo riuscì a fare un breve, dolente sorriso.
- Grazie per il tuo sostegno, amico mio. Proverò ancora stasera a persuadere il generale Claudio che è il momento giusto per entrare in azione. Non so perché esita, ma non ho intenzione di mettere uno contro l'altro i soldati della Felix VII.

- E' un vigliacco, ecco perché. E non sa un bel nulla di tattiche di combattimento. Sai bene quanto me che quando lui impartisce un ordine, gli uomini lanciano un'occhiata a te per sapere se approvi, prima di ubbidire.

- Sì, e questo talvolta mi causa grandi difficoltà. Claudio non è un vigliacco. Semplicemente non capisce. E' più preoccupato della sua futura carriera politica a Roma che delle sorti di questa legione, sebbene le due cose possano essere in relazione più di quanto si renda conto.

- Se Claudio desse un ordine e noi capissimo che tu non sei d'accordo, nessuno gli obbedirebbe, - insistette Dario.

- Di nuovo, Quinto lo farebbe. Quinto esegue gli ordini anche se ne capisce l'assurdità, Dario, lo sai. Vuole disperatamente essere promosso e sa di dover compiacere il comandante. E ce ne sono altri come lui. Obbedire è facile. Prendere decisioni da soli non lo è. - Massimo si strofinò le tempie come se cercasse di allontanare il tormento con il massaggio.

Dario emise uno sbuffo di disgusto.
- Quando hanno intenzione di tornare, gli imperatori, per vedere l'errore che hanno fatto nominando Claudio generale?

- Non lo so. - Massimo sospirò e cambiò argomento. - E' bello, qui. Guarda le montagne, Dario. - Massimo sollevò lo sguardo per fissare le vette lontane coperte di neve, lambite dalla luce dorata del sole che non riscaldava la loro posizione nella fredda valle ombrosa.

- Sì, ma sarebbero molto più belle se non nascondessero feroci barbari decisi a staccarci le teste!

Massimo rise e fece voltare il suo stallone.
- D'accordo, Dario, ti darò un'altra possibilità.

 

Massimo entrò nella tenda del generale senza preavviso e, come il solito, interruppe una conversazione sulla situazione politica a Roma. Claudio alzò lo sguardo, irritato per l'intrusione, e così fecero anche gli altri due tribuni.
- Che cosa c'è, Massimo?

- Generale, sento più vivamente che mai che la tribù si sta preparando ad attaccare. Non so dirti quanto sia importante che siamo noi i primi a prendere l'offensiva. Se noi non...

- Massimo, quando vorrò il tuo parere, te lo chiederò.

Massimo sentì la collera ribollirgli nello stomaco.
- Come mai, generale, mi guardi per avere la mia approvazione su quasi tutti gli ordini che impartisci, ma non vuoi darmi ascolto su questo?

Claudio divenne rosso di rabbia e saltò in piedi ad affrontare Massimo, rovesciando la coppa di vino.
- Non è vero. Io prendo da solo le mie decisioni!

- Signori... - un altro tribuno cercò di intervenire.

Massimo lo ignorò.
- Fai pure a modo tuo, generale, ma se un solo legionario perderà la vita a causa del tuo rifiuto ad agire dovrò fare un rapporto completo agli imperatori sulla tua incapacità di prendere decisioni avvedute. - Lanciò un'occhiata furiosa agli altri due tribuni, anch'essi uomini che desideravano riposare i loro piedi sul marmo levigato del pavimento del senato piuttosto che sugli stracci grezzi di una tenda al fronte.

Uno di loro parlò ad alta voce.
- Massimo potrebbe avere ragione, Claudio. Perché non raddoppiamo la guardia e mettiamo qualche centurione a pattugliare il perimetro dell'accampamento, giusto per sicurezza?

- Nessuno dovrebbe stare fuori delle mura, di notte, - dichiarò Massimo.

- Questa sarà una decisione mia, Massimo, non tua, - fremette Claudio, - e io credo che sarebbe una cosa molto appropriata. Mi aspetto che tu ne impartisca l'ordine immediatamente!

- Impartiscilo da te, - ringhiò Massimo e si precipitò fuori dalla tenda.

 

(*)        L’attuale Vienna (N.d.T.)

 

Capitolo 27 - Perdite

Come aveva fatto a ritornare lì, si chiese? Era primavera ed un arbusto di rose rampicanti color rosa corallo incorniciava la porta, con i folti rami dai fiori vellutati in piena fioritura, e la sua fragranza profumava dolcemente l'aria. Gli alti pioppi vicini al cancello ondeggiavano nella brezza gentile, le loro forme aggraziate si stagliavano contro le soffici nuvole bianche che vagabondavano per il cielo di un blu profondo.

Era un giorno perfetto. Aveva un aspetto perfetto e aveva un odore perfetto.

Massimo si guardò le mani. Erano mani giovani, non segnate da cicatrici di anni di battaglie. Osservò le unghie rosicchiate. Sua madre aveva sempre cercato di persuaderlo a smettere di mordersi le unghie. Anche il suo corpo era giovane e snello... il corpo di un ragazzo. Indossava la sua tunica marrone preferita e i suoi piedi erano nudi e coperti di polvere nell'erba verde lussureggiante.

Udì suo fratello ridere nella cucina e la voce sommessa di sua madre che rideva con lui.

Si guardò intorno con meraviglia. Gli alberi da frutto erano appesantiti da frutti perfetti, senza macchie. Gli uccelli volteggiavano di ramo in ramo e i loro canti si mescolavano in armonia. Massimo era stordito dall'assoluta perfezione del tutto.

Il suo sguardo fu attratto verso la finestra della cucina. Suo padre stava fermo là e gli faceva cenno di avvicinarsi, con un sorriso sul nobile viso. Massimo cercò di muoversi, ma non ci riuscì. Suo padre fece un altro cenno. Massimo si guardò in basso i piedi, che ora erano seppelliti fino alle caviglie nel fango nero appiccicoso. Da dove era venuto il fango? Tornò a guardare suo padre, quasi sul punto di chiedergli aiuto, quando la finestra improvvisamente esplose in un globo di fuoco furioso che guizzò subito fino al tetto e si precipitò intorno ai lati della casa come se fosse cosa viva. Massimo urlò, ma nessun suono affiorò dalla sua bocca spalancata.

Fissava la finestra della cucina. Suo padre gli stava facendo sempre cenno di avvicinarsi, con un sorriso sul viso ma con il corpo ora consumato da fiamme arancioni. Massimo si allungò disperatamente verso d lui. Di colpo il volto di suo padre si liquefece come se fosse fatto di cera, il sorriso svanito, la carne sgocciolante, gli occhi divenuti cenere nera. La casa era totalmente distrutta, ma la figura stava sempre alla finestra, una cosa orribile adesso, non più suo padre... tuttavia ancora riconoscibile. Ancora familiare. Ma... diverso. Era Dario. Era Dario in piedi alla finestra, il viso con gli occhi sbarrati dall'orrore, la bocca spalancata in un grido silenzioso, le mani tese verso Massimo... e implorava... supplicava il suo aiuto. Massimo urlò il suo nome senza emettere suono alcuno. Si tese verso il suo amico, ma le sue gambe non volevano muoversi... e Dario si liquefece insieme alla casa.

Le mani del ragazzo ricaddero lungo i fianchi. Lui era inutile. Era impotente. Non poteva essere d'aiuto. Non poteva salvare nessuno. Nessuno.

Massimo scattò a sedere nel letto, dritto come un fuso, gli occhi dilatati fissi nell'oscurità. Non c'era il fuoco, non c'era la casa, non c'era il padre. Era da solo nel suo letto nella sua tenda in Germania. Massimo rabbrividì di raccapriccio al realismo del suo sogno.

Dario. Dario era stato là. Perché Dario era stato in Ispania?

All'improvviso Massimo saltò giù dal letto e s'infilò in fretta la tunica e gli stivali. Attraversò di corsa l'accampamento, scivolando in ginocchio sull'erba bagnata di rugiada che scintillava alla luce della luna.
- Dario! - urlò quando vide la tenda. - Dario!

- Massimo! Che succede? Qualcosa non va? - Quinto lo afferrò per una spalla facendolo girare su se stesso.

- Dov'è Dario? - Massimo strappò la presa e piombò nella tenda solo per uscirne un attimo dopo. - Dov'è Dario?! - chiese in preda al panico.

- Sta probabilmente pattugliando fuori le...

Massimo non aspettò di udire l'ultima parola... si voltò e corse al cancello, con Quinto alle calcagna. Spingendo via le guardie, corsero lungo l'alto terrapieno di fango, Massimo come un invasato e Quinto preoccupato della sanità mentale del suo amico. Ma la grande paura che provava Massimo lo faceva correre più velocemente ed egli svoltò l'angolo seguente molto prima del centurione.

Quinto non avrebbe mai dimenticato l'orribile grido di angoscia finché fosse vissuto.

Trovò Massimo in ginocchio, la faccia seppellita nelle mani, l'orlo della tunica inzuppato di sangue. Dario fissava la luna con occhi ciechi, la gola squarciata da un orecchio all'altro.

 

Massimo non ricordava il giorno dopo la morte di Dario. Gli fu detto che le sue grida avevano condotto la legione al suo fianco; che con calma aveva organizzato e guidato un attacco brutale sull'accampamento germanico dal quale nessun barbaro era sopravvissuto; che lui personalmente aveva massacrato più di un centinaio di nemici. Ma forse quella era solo una parte della leggenda di Massimo il guerriero, nata quella notte, enfatizzata poi, mentre si spargeva come fuoco da legione a legione lungo i confini settentrionali dell'impero.

 

Capitolo 28 - Casa

Massimo sedeva in cima al muro sbriciolato di pietra rosa... uno dei pochi segni rimasti di ciò che era stata una volta la sua casa. I suoi capelli erano cresciuti durante il lungo viaggio verso casa, come pure la barba, ed ora il gentile vento caldo alzava le folte onde dalla sua fronte, permettendo al calore del sole di sfiorare il suo viso rivolto al cielo e abbronzare i suoi lineamenti contratti.

A stento aveva dormito durante il viaggio e tuttora si svegliava molte volte ogni notte, sogni orrendi tormentavano il suo riposo. Si sarebbe mai ripreso da ciò che era successo? Si sarebbe mai attenuata la pena terribile dovuta alla morte di Dario? Aveva supplicato Claudio di lasciarlo partire, per poter piangere il suo amico e ritemprare il suo spirito annientato, ma il generale, turbato, aveva respinto la sua richiesta, a tal punto timoroso di perdere il consiglio di questo tribuno... un uomo che adesso aveva l'aperta lealtà della legione. Alla fine, Massimo semplicemente partì dopo aver detto a Claudio dove stesse andando e perché. Spiegò le sue azioni a Quinto, il quale promise di far capire ai soldati che Massimo avrebbe in effetti fatto ritorno, e spedì anche una lunga lettera a Marco Aurelio sul perché avesse preso misure così drastiche. Sapeva che Marco Aurelio avrebbe capito.

Tuttavia, il conforto che pensava avrebbe provato dopo il suo primo viaggio alla sua terra natia non si materializzò. Invece si sentiva come inebetito e non sembrava in grado di ristabilire una connessione con il suo passato. Questo cumulo di pietre era semplicemente un cumulo di pietre, non i resti della sua casa, e le colline circostanti sembravano estranee anziché familiari, come lo era la città di Emerita Augusta, a malapena visibile in una valle in lontananza.

Massimo si sentiva come se non appartenesse a quel luogo; si sentiva come se non appartenesse ad alcun luogo.

Si alzò in piedi e guardò i declivi coperti di vegetazione. Dava per scontato di possedere quella proprietà, in qualità di unico figlio sopravvissuto, ed era chiaro che nessun altro l'aveva rivendicata nel frattempo. La terra era ricoperta di cespugli, gli alberi erano grovigli di viticci. Ben poco era rimasto dell'ordinata fattoria che aveva conosciuto da ragazzo.

Con le mani sui fianchi camminò intorno al perimetro di muro sbriciolato, fino al lato sud e i suoi occhi furono immediatamente attratti dal glorioso grappolo di fiori rosa... l'arbusto di rosa rampicante che nel suo sogno era stato così vivido. In qualche modo era sopravvissuto all'incendio e si era rigenerato, per essere più vibrante di quanto mai ricordasse. Poteva accadere anche a lui, quel genere di rigenerazione, dopo tutto ciò che aveva passato?

Raccolse un fiore nella mano e ne annusò il profumo. Qualcosa scattò nella sua mente... qualche ricordo. La sua stanza da letto era stata sopra l'ingresso principale ed egli ricordò la fragranza delle rose alla sera. Odori. Qualcosa gli stava gradualmente tornando in mente. Si mise in ginocchio e avanzò carponi lungo il ciglio del muro. Sua madre aveva piantato la menta a fianco della casa. Era sopravvissuta anch'essa all'incendio? Quando la trovò le sue mani si erano scorticate, ma strofinò le foglie verde scuro tra le dita e le avvicinò al naso. Sì, l'odore fresco che associava a sua madre. Menta. Qualcosa gli stava tornando in mente ora.

Ma... dov'era suo padre? Massimo si mise in piedi e si guardò intorno. Che odori associava a suo padre? Vagabondò per quello che era stato l'orto di casa sua, dove suo padre aveva coltivato gran parte del cibo che onorava la loro tavola. Accovacciatosi, Massimo raccolse un pugno di terriccio e lo strofinò tra i palmi delle mani prima di portarselo al naso. Sì, era là, il pungente odore che emanava da suo padre dopo un giorno nei campi. Le lacrime sgorgarono dai suoi occhi e Massimo batté le palpebre con difficoltà. Stava cominciando a sentirsi ricongiunto al suo passato, alla sua famiglia... alla terra.

Superando il muro con un salto armonioso, entrò in quello che una volta era stato l'interno della sua casa. Da bambino gli era sembrato tanto più grande. Sapeva che lì non era rimasto niente, tranne che pezzi del pavimento di pietra, perché aveva perlustrato quel luogo subito dopo la perdita della sua famiglia, raccogliendo qualunque piccolo resto delle loro vite. Mentre si voltava per andarsene, qualcosa di bianco catturò il suo sguardo. Accovacciandosi, raccolse un lungo dente curvo che doveva essere là da un po' di tempo e che adesso era imbianchito dal sole. Di colpo il suo cuore ebbe un sussulto ed egli estrasse dall'interno della sua camicia il dente di lupo che teneva tuttora appeso ad un laccio di cuoio intorno al collo. Era il suo compagno. Suo fratello ne aveva posseduti due e Massimo ne aveva trovato solo uno dopo l'incendio. Anni di sole e pioggia gli avevano restituito l'altro. Massimo sedette tra le macerie girando e rigirando il dente tra le dita, poi abbassò il mento e strizzò gli occhi. Ben presto le sue spalle furono scosse dai singhiozzi che salivano senza impedimenti dal petto.

Era a casa.

 

Capitolo 29 - Olivia

Con la schiena nuda al sole ed il sudore che gli stillava dal petto, Massimo diede uno strattone al rovo caparbio, strappando quel che poté dalle radici e gettandolo su un mucchio sempre più in crescita di ciarpame. Il laccio di cuoio con due denti ciondolava al suo collo.

Raddrizzandosi, poggiò una mano dietro la schiena e si arcuò all'indietro ascoltando lo schiocco della sua spina dorsale, poi intrecciò le mani e si stiracchiò verso il cielo per attenuare la rigidità. Con le mani sui fianchi girò il tronco a sinistra, poi a destra, poi ancora a sinistra.

Si raggelò.

Grandi occhi neri lo scrutavano da dietro l'enorme pioppo che stava maestosamente ritto vicino all'entrata. Mentre lentamente lasciava cadere le mani lungo i fianchi, gli occhi scomparvero ed egli udì il suono smorzato di passi che correvano sul terriccio.
- Fermati! - urlò Massimo, ma tutto ciò che riuscì a vedere fu una massa di lunghi capelli neri ondulati che fluttuavano selvaggiamente mentre la fanciulla correva giù per il sentiero e scompariva nei boschi.

Quanto tempo era stata là? si chiese. E chi era? Massimo cercò di rammentare i suoi vicini, ma aveva pochi ricordi di loro. Inoltre, anche se egli non ne aveva veduto il volto, era in grado di dire che la ragazza che lo aveva osservato doveva essere molto giovane l'ultima volta che lui era stato lì. Rimase fermo per un po' fissando i boschi, ma lei non tornò. Era un po' snervante scoprire di essere stato attentamente esaminato, quando aveva presupposto di essere solo. Si pettinò i capelli con le mani, poi tornò all'incombenza di ripulire il terreno intorno alla casa.

Quella notte Massimo dormì sotto le stelle e si godette il suo primo sonno senza sogni da mesi.

Il mattino dopo si alzò all'alba e si diresse al torrente per farsi il bagno. Quando cominciò a slacciarsi le corte brache esitò e si guardò intorno. C'era la possibilità che lei fosse nei dintorni? Massimo ridacchiò al pensiero e diede uno strattone alle brache scalciandole via prima di immergersi nell'acqua, e restando senza fiato quand'essa gli gelò la pelle calda. Se la strofinò sul viso e sui capelli, poi tornò a riva e si scrollò via l'acqua di dosso come fanno i cani. Mentre si allacciava le brache, si guardò intorno con circospezione. Era solo.

Ritornò al lavoro manuale rinfrescato ma affamato. Per i pochi giorni trascorsi aveva avuto poco da mangiare salvo stentati vegetali che aveva trovato. Abituato alle sostanziose razioni da soldato, la sua dieta ne stava senza dubbio soffrendo e già sentiva le sue brache più larghe. Doveva raddoppiare i suoi sforzi per dissodare la terra, in modo da poter piantare dei cereali, ma ci sarebbe voluto del tempo prima che fossero pronti per il consumo. Fino ad allora, doveva recarsi ad Emerita Augusta per acquistare qualche approvvigionamento di viveri.

Ritornando al muro sbriciolato, si sedette e cominciò a infilarsi gli stivali. Erano troppo pesanti per quel clima e aveva anche bisogno di comprarsi dei sandali. Se li tirò via di nuovo e li gettò da una parte. Un viaggio in città era decisamente imperativo. Alzandosi in piedi, i suoi occhi furono attratti verso l'alto pioppo ma non c'erano occhi neri a ricambiare il suo sguardo attento.

Lei era stata lì, nondimeno, e gli era venuta molto vicino. Sul muro opposto c'era un pacchetto avvolto in lacci e dietro di esso un fiasco di vino. Sentì l'odore del pane ancora prima di vederlo e le sue mani tirarono via la copertura di stoffa. Formaggio. C'era anche del formaggio... e olive e frutta. Affamato, strappò un largo pezzo di pane e si riempì la bocca guardandosi intorno mentre masticava. Sollevò il fiasco di vino in un silenzioso grazie alla timida ragazza con i fluenti capelli neri. Ogni mattina successiva a quella, lo attendeva un involto al suo ritorno dal ruscello.

Nel giro di una settimana Massimo aveva costruito una struttura di legno, sicura ma temporanea, come riparo. Era stato fortunato con il tempo, ma sapeva che le piogge sarebbero presto arrivate e bisognava che fosse preparato. Finché avesse avuto un riparo e fosse continuata la fonte regolare di cibo, poteva concentrarsi sul suo compito principale... ricostruire la casa di pietra rosa.

Fino ad ora aveva lasciato che il suo stallone conducesse una vita comoda masticando felicemente l'alta erba dolce che germogliava attorno ai muri di pietra, ma adesso era giunto il momento di mettere Argo al lavoro. Massimo sellò il cavallo e lo fece riscaldare trottando giù dal sentiero coperto di vegetazione. In fondo al viottolo la vide. Stava camminando sulla strada a un po' di distanza da lui, con un cestino in mano. Quando lei lo vide si fermò, incerta sul da farsi. Non volendo spaventarla, Massimo trattenne le redini di Argo, con gran dispiacere dell'animale che sbuffò per la frustrazione. Massimo gli batté dei colpetti sul collo, ma non distolse gli occhi dalla ragazza.

Lei lo guardò, poi guardò dietro di sé, evidentemente prendendo in considerazione le sue alternative. Massimo vide che era sola e non aveva idea di quanto fosse venuta da lontano per consegnargli il cibo. Le sorrise, ma lei non restituì il cenno di saluto. Perfino a quella distanza egli riuscì a vedere che gli occhi di lei erano spalancati per l'apprensione e non la biasimò. Sapeva molto bene ciò che certi soldati facevano alle donne indifese e lei era saggia ad avere paura. Ma Massimo non voleva che lei avesse paura di lui.

Sciolse un po' le redini e lasciò camminare il cavallo lentamente nella sua direzione. Quando lei cominciò a deviare egli trattenne di nuovo il cavallo.
- Salve, - disse, alzando la voce abbastanza da essere udito senza gridare. Sapeva fin troppo bene che la sua voce profonda di gola poteva spaventare le persone. Sorrise di nuovo. Lei si morsicò il labbro inferiore.

All'improvviso egli si rese conto di una possibile ragione della sua apprensione... era quasi nudo. Il suo petto era scoperto e abbronzato dal sole, come le sue gambe dalle brache in giù e perfino i suoi piedi. Anche Argo era spoglio... la sua sella essendo rimasta abbandonata nel riparo. Decise di non avvicinarsi ulteriormente.
- Hai lasciato del cibo per me.

Lei annuì.

- Te ne sono grato. E' la sola cosa che mi ha impedito di deperire, nei giorni scorsi.

Lei lo percorse con lo sguardo in modo alquanto sfacciato, pensò lui, con gli occhi ridenti che rivelavano come non credesse affatto che lui stesse deperendo.

Massimo rise. Forse lui l'aveva fraintesa, dopo tutto.

- Quello è per me? - Indicò il cestino.

- Sì, - rispose lei, la voce ricca come velluto.

- Devo venire a prenderlo o preferisci darmelo tu?

- Lo lascerò in strada.

- Non ti farò del male. Non devi aver paura di me.

Lei lo guardò come se fosse un sempliciotto.
- Io non ho paura di te. E' il tuo cavallo che non mi piace.

- Oh. Be', credo che sia piuttosto grosso. - Massimo smontò e Argo immediatamente si mosse sul lato del viottolo per strappare lunghi steli d'erba con i suoi denti gialli. Con lentezza Massimo camminò verso di lei, parlando dolcemente mentre lo faceva.
- Devi essere una mia vicina. Dove abiti?

- Passata quella grande collina in lontananza. - Accennò con la testa alla collina che doveva essere ad una distanza di almeno due ore di cammino. - Massimo.

Lui inarcò le sopracciglia.
- Conosci il mio nome?

- Naturalmente. Eri solito giocare con mio fratello, da ragazzo. Tutti si chiedevano che cosa ti fosse successo.

- Chi è tuo fratello?

- Io ho quattro fratelli, in realtà, ma quello di cui vuoi sapere è Tito.

- Tito... sì, mi ricordo di lui. Come ti chiami?

- Olivia.

- E' un bel nome. Ti si addice.

Lei si gettò sulle spalle la lunga criniera nera e drizzò la testa.
- Grazie.

Massimo ora riusciva a vedere con chiarezza lo scintillio dei suoi luminosi occhi neri ed il leggero tic alle sue labbra piene. Continuò a camminare fino a trovarsi ad una distanza di poco superiore alla lunghezza di un braccio, quindi si fermò e la fissò. Era bella.
- Perché sei stata così gentile da portarmi del cibo?

- Perché saresti stato molto affamato, senza. - Rise... un suono ricco che mandò dei brividi lungo la spina dorsale di Massimo. - La mia famiglia ne ha in abbondanza in questo periodo dell'anno e non sopportiamo che un nostro vicino non ne abbia.

- Ringrazio te e tuo... marito.

- Faresti meglio a ringraziare mio padre, invece. Io non sono sposata.

Lui si limitò a fissarla.

- So che cosa stai pensando.

- Non credo.

- Stai pensando che sono molto vecchia per non avere un marito. Che ci deve essere qualcosa di sbagliato in me. - Il tono di lei era leggermente sulla difensiva.

- Credimi, non lo stavo pensando.

- Ho avuto un mucchio di offerte...

- Ne sono certo...

- Ma mio padre è benestante e abbastanza comprensivo da non costringermi a sposare qualcuno. Tu sei un soldato, perciò anche tu non sei sposato.

- Come sai che sono un soldato? - Massimo si sentì sciocco nel momento stesso in cui pronunciò quelle parole. Annuì mentre lei recitava i motivi.

- Il tatuaggio sul tuo braccio per prima cosa, e il cavallo. Chi possiede un cavallo come quello, se non un soldato? Gli stivali che ti ho visto indossare e la tunica. L'armatura che hai riposto in quella piccola cavità tra le rocce vicino al ruscello, le...

- Era una domanda stupida.

Lei inarcò le sopracciglia ad indicare che era d'accordo con lui.
- E naturalmente ci sono le armi... quelle spade dall'aria pericolosa e lo scudo.

Massimo sorrise.
- Vorresti tornare indietro e dividerlo con me? - Massimo accennò al cestino.

- No.

- Oh. - Inconsciamente lui fece un passo indietro, il suo sorriso svanito.

- No, è soltanto per te. Però, ti invito ad unirti per cena alla mia famiglia, questa sera.

- Grazie. Mi piacerebbe molto, - disse con serietà e s'inchinò leggermente.

Lei sorrise e trasferì il cestino nelle mani di lui, poi si voltò e cominciò a ridiscendere per la strada. Lui fissò l'alta e snella figura di lei ed i suoi fianchi che ondeggiavano dolcemente.
- Oh, e, Massimo... - disse lei al disopra della spalla.

- Sì?

- Mettiti dei vestiti stasera, d'accordo?

Lui rise e lei pure. Restò in piedi in silenzio e la guardò finché scomparve alla vista oltre una collina.

 

Capitolo 30 - La cena

Massimo rovesciò il suo zaino tirando fuori tutti i suoi vestiti e sparpagliandoli attorno a sé sul terreno. Che misero mucchietto, concluse. Nient'altro che vestiti da soldato: tuniche di lana color vino rosso con brache spaiate e larghe cinture di pelle, brache corte, una corazza di metallo, una corazza di cuoio con decorazioni, stivali... il tutto alquanto inadatto ad una cena con i suoi civili vicini. Si mise una tunica e delle brache, poi allacciò con una cintura la tunica per portarne la lunghezza a metà coscia... la lunghezza propria dei soldati. Troppo caldo. Si tolse le brache. Ora l'abbigliamento sembrava troppo disadorno. Osservò la corazza di cuoio decorata con lacci dorati ai fianchi ed alle spalle. Sapeva che con quella aveva un bell'aspetto... all'improvviso Massimo scoppiò a ridere. Mai nella sua vita aveva dovuto pensare a che cosa indossare. Era sempre così semplice... si trattava solo di trovare biancheria pulita, poi mettersi una tunica, brache se faceva freddo, un mantello se pioveva, la corazza di metallo se si andava in battaglia, altrimenti la corazza di cuoio. Alla fine si decise per una tunica corta con corazza di cuoio e stivali, lasciando scoperte braccia e gambe. Poteva andare.

I suoi capelli dovevano essere un caos. Per settimane non aveva fatto niente, eccetto che lavarli e infilarci le dita in mezzo. Poteva dire, percorrendosi il viso con la mano, di avere una barba incolta invece di quella accuratamente spuntata che sfoggiava di solito. Cercò brevemente qualcosa per specchiarsi, poi rinunciò e con passo svelto scese al ruscello. Lì, il suo riflesso increspato confermò le sue peggiori paure. Sembrava un orso. Nessuna meraviglia che Olivia era stata così guardinga con lui, in un primo tempo... stava cominciando a rassomigliare ad un barbaro germanico! Doveva trovare un barbiere ad Emerita Augusta, ma adesso non ne aveva il tempo. Affondando le mani nell'acqua fresca, le fece scorrere tra i suoi folti capelli ondulati, sperando di domarli un pochino.

Poco tempo dopo Massimo cavalcava il suo stallone lungo il viottolo, poi giù dalla strada polverosa dove aveva incontrato Olivia, quindi verso le colline lontane. Dopo una cavalcata di un'ora buona finalmente trovò un largo cancello di legno con enormi cardini di ferro, circondato da un alto recinto di pietra che bloccava la vista di qualunque cosa fosse al di là. Massimo fece tornare indietro Argo al trotto su per la strada, lo fece voltare, poi lo spronò al galoppo e superò il cancello con un salto armonioso. Il sentiero davanti a lui curvava dietro un'altra collina e scompariva. Olivia doveva aver evidentemente camminato a lungo, ogni giorno, per portargli il cibo. Galoppò per un po', poi fece rallentare l'animale al trotto mentre si avvicinava ad un'area con alberi folti; un tetto di tegole rosse spiccava proprio sopra le foglie. Smontò e legò il cavallo ad un ramo ad una certa distanza dalla casa, non volendo allarmare ancora Olivia. Massimo era stupito dalle dimensioni di quell'abitazione... così diversa dalla sua piccola casetta. Alta tre piani, era piuttosto imponente e austera dal lato esterno e somigliava ad una fortezza. La sua severità era mitigata da rose rampicanti e arbusti in fiore piantati in enormi vasi. Qualunque cosa facesse il padre di lei per vivere, era evidente che lo faceva molto bene. C'erano molte altre costruzioni in lontananza che sembravano abitazioni, tutte fatte della stessa pietra rosa come la sua casa.

Mentre camminava, Massimo annusava l'aria. Cavalli. Il familiare odore di cavalli era nell'aria. Distolse lo sguardo dalla casa e si guardò intorno. Da uno dei due lati del sentiero alcuni recinti di pietre serpeggiavano in distanza sopra le colline e cavalli magnifici di tutte le tinte pascolavano nei campi verdi. Gli animali erano grandi e poderosi, proprio come il suo stallone. Lasciò la strada cambiando direzione e si avvicinò ad un recinto, appoggiandosi con le braccia incrociate alla pietra fresca e ammirando la maestosa bellezza di quegli animali... perfetti come quelli che aveva visto in cavalleria. Massimo tese la mano e schioccò la lingua sperando di attirare uno stallone nero particolarmente bello. Il cavallo lo osservò freddamente e scosse la testa, la lunga criniera fluttuante nella brezza.

- Vieni qua, Argento¹, - chiamò la voce di velluto da dietro Massimo. Olivia si avvicinò al recinto con un po' di fieno nel palmo disteso e il cavallo trottò verso di lei, raccogliendo attentamente il fieno con le sue labbra morbide. Lei sorrise e accarezzò il naso vellutato.

Massimo le si mise di fronte, con una domanda chiara sul viso.
- Così mi hai mentito sull'essere impaurita dai cavalli?

Olivia mantenne gli occhi su Argento.
- No... stavo scherzando. - Lanciò uno sguardo obliquo a Massimo e fece un largo sorriso. - La mia famiglia li alleva per le legioni. Questo qui è destinato a qualche grande generale e così suo fratello Scarto². Sono i migliori che abbiamo mai allevato.

Massimo accarezzò il collo muscoloso del cavallo e annuì in segno di consenso.

- E' molto meglio del tuo vecchio ronzino, - aggiunse Olivia con tono leggero.

Massimo rise.
- Be', non farti sentire dal mio vecchio ronzino. Devo ammettere che Argo è un po' avanti con gli anni, ma mi ha servito bene... la maggior parte delle volte.

Olivia si girò per mettersi di fronte a Massimo e valutò apertamente il suo abbigliamento.
- Buona scelta, soldato.

- Non è che ne avessi molta, di scelta.

- Così stai bene. Vieni alla casa. Tito è ansioso di rivederti ed il resto della mia famiglia vuole conoscerti.

- E qual è il resto della tua famiglia?

- La moglie di Tito, Augusta, ed i loro tre figli; il mio secondo fratello, Eusebio, e sua moglie Flora. Hanno due bambini ed un altro in arrivo. E il mio noioso fratello minore Persio di sedici anni. Il nome di mio padre è Marco. L'altro mio fratello si è trasferito con la sua famiglia.

Mentre camminavano verso la casa Olivia intrecciò le mani dietro la schiena e rallentò il passo per camminare leggermente dietro di lui. Massimo ormai sospettava che la giovane non si sarebbe mai fatta superare a quel modo da nessun uomo... stava probabilmente dando una generosa occhiata al suo... Egli si fermò all'improvviso e si allungò ad afferrarle un gomito tirandosela di fianco.

La risata di Olivia era profonda e di gola.
- Lo sai, quando si sta sulla sommità più alta del muro di casa si ha una vista completamente sgombra del ruscello.

Massimo diventò rosso e voltò il viso per ammirare di nuovo il cavallo.

Olivia abbassò la voce ad un bisbiglio cospiratorio.
- Non hai niente che io non abbia già visto. Ho quattro fratelli... ricordi? - Gli occhi di lei caddero sulla sua cintola, poi più in basso. - Anche se devo ammettere...

- Che cosa c'è per cena? - Era la sola domanda cui Massimo riuscì a pensare per guidare la conversazione in un'altra direzione.

Olivia avvolse la mano intorno al bicipite di lui.
- Mmm... pollo e agnello, credo.

- Non ne sei sicura?

Olivia continuò:
- Non presto molta attenzione a quel genere di cose. Suppongo di essere alquanto viziata, ma noi abbiamo degli schiavi che fanno tutto quel cucinare e pulire. Io aiuto nell'allevamento dei cavalli e tengo i registri.

- Oh. Sai leggere e scrivere?

- Mi ha insegnato mio padre.

Raggiunsero la casa e Olivia precedette Massimo attraverso la porta principale. Da fuori la casa poteva avere l'aspetto di una fortezza, ma all'interno era sfarzosa. Massimo rimase in piedi nell'immenso atrio, sul pavimento dall'elaborato mosaico di cavalli... cavalli che camminavano, ruzzavano, saltavano... La stanza era illuminata da un'apertura nel soffitto che permetteva anche alla pioggia di fluire in una vasca poco profonda nel mezzo del pavimento. Molte stanze con le porte di legno intagliato si aprivano dall'atrio, che sul retro dava su d'un cortile simmetrico con fontane, panche e statue di marmo sparse tra arbusti fioriti.

- Mio padre viaggiava fino a Roma molto spesso, quando mia madre era viva. Vedendo le ville che c'erano là giurò di averne una sua quando avesse potuto permettersela. I miei fratelli vivono con le loro famiglie in altre case sulla tenuta, ma sono qui stasera...

- Massimo! Massimo, pensavamo che fossi morto, amico mio. Guardati. Sei un soldato! - Tito afferrò Massimo per le braccia, con un'espressione di puro piacere sul viso. - Sei un po' più irsuto dall'ultima volta che ti vidi, ma so che sei tu.

- Tito, è un vero piacere rivederti. Anche tu sei cambiato un po', amico mio. - Massimo scherzosamente lo colpì sul ventre prominente.

- Ah, sì... i rischi di una vita generosa. Vieni a conoscere il resto della famiglia. - Tito presentò la sua famiglia, poi trascinò Massimo più in là nell'atrio, vicino al cortile, dove si accomodarono su sedie di legno intagliato in modo intricato, con sedili di cuoio. Una coppa di vino gli fu spinta in mano e nel giro di breve tempo i due uomini si persero nei ricordi della loro fanciullezza. I fratelli di Tito ascoltavano con attenzione, specialmente il sedicenne Persio. Olivia sorrise quando le sue due cognate lanciarono occhiate di apprezzamento in direzione di Massimo.

- Tito, non ricordo che vivessi in una casa come questa quando eravamo bambini.

- Avevamo una villetta molto simile a quella in cui vivevi tu, Massimo. Ora viene utilizzata come parte di una scuderia. - Tito ridacchiò. - Le guerre nel Nord e nell'Est possono essere dure per uomini come te, ma riempiono le tasche di uomini come noi. Alleviamo i migliori cavalli dell'impero per la cavalleria. Gli imperatori cavalcano i nostri stalloni e ogni anno ne spediamo via mare a Roma per i pretoriani. Forse perfino tu ne cavalchi uno.

Massimo ridacchiò.
- Non credo.

- Be', dovresti.

La conversazione fu interrotta da un richiamo a tavola per la cena. La sala da pranzo era formata da un altro pavimento decorato a mosaico e muri dipinti con immagini della campagna circostante. Nel mezzo della sala stava un enorme tavolo quadrato e lunghi divani erano posti su tre lati. Massimo era perplesso su che cosa fare e fu grato di sentire che Olivia lo prendeva per un braccio e lo guidava al divano più vicino. Sedette all'estremità e fece cenno a Massimo di sedersi di fianco a lei. Il capofamiglia, Marco, sedette all'altro suo fianco. I restanti membri della famiglia presero posto su altri divani, alcuni distendendosi in totale rilassamento. Massimo sedette eretto come era abituato a fare nell'esercito. Fu riconoscente quando Olivia fece lo stesso al suo fianco.

Una volta seduto, Marco s'incaricò della conversazione mentre veniva ammannito il sontuoso pasto, la cui portata principale consisteva in un arrosto di pollo e agnello, una varietà di verdure cotte, olive, sottaceti, pane e formaggio. Molte brocche di vino furono servite.
- Persio, passa a Massimo il pane. Massimo, qual è il tuo grado? - chiese Marco.

- Tribuno, signore. Sono consigliere del generale della legione Felix VII.

- So una quantità di cose sull'esercito anche se ovviamente non sono mai stato un soldato. Come mai un ispanico è tribuno?

- Marco Aurelio accolse la mia adozione da parte di una famiglia senatoriale così che potessi essere promosso oltre il grado di centurione, poi...

- L'imperatore?

- Sì.

- Tu conosci Marco Aurelio?

- Sissignore. L'ho incontrato molte volte.

Marco annuì pensosamente, con gli occhi socchiusi che valutavano Massimo.
- Deve pensare un gran bene di te.

- E' un'ammirazione reciproca, credimi. E' l'uomo migliore che abbia mai conosciuto.

- Qui, Massimo, prendi ancora un po' d'agnello. Altri sottaceti? - offrì Tito.

- No, Tito, va bene così. Grazie. Non sono abituato a mangiare cibo come questo.

- Non vi nutrono bene nell'esercito? - chiese Flora.

- Ci nutrono molto bene, ma il cibo è abbastanza semplice. Non vedevo un pasto così da molto tempo e vi ringrazio per avermi invitato qui stasera.

Persio saltò su.
- Olivia non ha fatto altro che parlare di te per una settimana. Non vedeva l'ora che tu... uuf! - Tito gli conficcò un gomito nell'addome.

Massimo non riuscì a trattenersi dal lanciare un'occhiata a Olivia, che fulminò il fratello con gli occhi. Rifiutandosi di farsi intimidire, voltò la testa e sostenne lo sguardo di Massimo.

Marco riprese il controllo della conversazione.
- Dove siete stati stanziati, Massimo?

- In Germania. - Egli tornò a rivolgersi al capofamiglia. - Vi ho prestato servizio per molti anni.

- E' ovvio che ti manca molto al congedo per anzianità.

- Sì, devo riprendere servizio. Sono in licenza solo per breve tempo. - C'era una punta di sincero rammarico nella sua voce. - Spero di cominciare presto a ricostruire la mia casa e sto dissodando parte del terreno. Voglio tornare qui, un giorno, per...

Non piacendogli il cambiamento di argomento, Persio lo interruppe:
- Hai ucciso molti uomini, Massimo?

Massimo guardò il ragazzo ed esitò a lungo. Il suono delle posate sui piatti cessò mentre tutti aspettavano la sua risposta. Prima di rispondere lanciò di nuovo un'occhiata ad Olivia, che lo stava osservando con preoccupazione. Disse adagio:
- Sì, ho ucciso quando ho dovuto.

- Papà, Massimo ammira Scarto. - Olivia percepì l'improvviso cambiamento nell'umore di Massimo e volse in fretta la conversazione in una direzione diversa.

Marco fu molto lieto di sapere che un soldato così importante ammirasse i suoi cavalli.
- Ti piace?

- Sì, signore. E' forse il più bel cavallo che io abbia mai visto.

- Perfino Marco Aurelio cavalca uno dei miei stalloni.

La conversazione sui cavalli continuò mentre gli schiavi portavano a tavola ciotole cariche di frutta e di paste dolci e la coppa di vino di Massimo fu riempita di nuovo. Circa un'ora dopo Marco dichiarò che il pasto era finito.
- Olivia, perché non mostri a Massimo i dintorni della proprietà? E' buio fuori, ma la serata è splendida.

- Vengo anch'io! - disse Persio.

- Certo, figliolo. Ma sono sicuro che può occuparsene Olivia. - Marco lanciò un'occhiata eloquente al suo figlio più piccolo.

Persio non ne fu contento.
- Scommetto che non mostrerà a Massimo nemmeno il fienile, - disse indignato.

- Scommetto di sì, - disse sottovoce Flora ad Augusta e le due donne ridacchiarono.

Massimo tenne aperta la porta principale per Olivia e lei lo superò con un sorriso radioso. Lui alzò la mano e la lasciò scorrere tra i lunghi riccioli di lei, guardandoli ricadere con grazia contro la sua schiena morbidamente arcuata. Il dolce profumo di rose aleggiò vicino alle sue narici ed egli improvvisamente desiderò seppellire il viso in quei riccioli neri.

 

¹ Argento: in italiano anche nel testo. (N.d.T)
² Scarto: in italiano anche nel testo. (N.d.T)