La Storia di Massimo: Capitoli 21 – 25

 

 

 

Capitolo 21 - La verità

Il giorno dopo, mentre i raggi del sole nascente filtravano obliqui tra gli alberi, la legione si radunò di nuovo per accogliere gli imperatori.

Come centurione, a Massimo era ora permesso partecipare agli incontri con i due imperatori, un onore che egli accettò prontamente. L'ampia tenda nel pretorio era gremita di ufficiali autorizzati di ogni grado. C'era anche Commodo, ma scontrosamente evitava di incontrare lo sguardo di Massimo anche se il centurione, che stava in piedi tranquillo vicino alla porta, in silenzio lo sfidava a farlo, con un bagliore omicida negli occhi blu. Quando Marco Aurelio vide il giovane, il riconoscimento si fece strada sul suo volto nella forma di un lento sorriso e di un lieve cenno di saluto. Stupito, Massimo restituì dapprima incerto il sorriso dell'imperatore, poi si aprì in un largo sorriso che cercò di nascondere chinando improvvisamente il capo. Marco Aurelio ridacchiò. Gli piaceva davvero, questo giovane.

L'imperatore poi aprì l'incontro, che includeva le ultime notizie da Roma sullo stato della peste; questa, infine, aveva cominciato a placarsi, dopo aver ucciso migliaia di cittadini di una morte veloce e brutale. Come spesso faceva, Massimo pensò al suo giovane amico Lucio e si chiese come gli era andata. Massimo venne anche a sapere che la pace in corso era alquanto labile, nella migliore delle ipotesi. Il fronte orientale era sicuro, ma ora nel Nord stava brontolando lo scontento e tutte le legioni lungo il Danubio dovevano intensificare i loro preparativi per la guerra. Il giovane centurione sentì lo stomaco stringersi di eccitamento misto a timore. Sarebbe stato all'altezza del compito di guidare i suoi uomini in una vera guerra? I suoi pensieri furono interrotti da Lucio Vero, il quale annunciò che entro pochi giorni i due imperatori ed un selezionato gruppo di uomini avrebbero organizzato un veloce attacco punitivo contro la tribù germanica accampata proprio oltre il fiume, ma come nuovo ufficiale, il giovane centurione non si aspettava di essere incluso in quel gruppo scelto.

Dopo l'incontro, entrambi gli imperatori si mescolarono liberamente agli ufficiali e Marco Aurelio si fece scrupolo di andare in cerca di Massimo, che non si era mosso dal suo posto vicino alla porta.
- Mi sembrava che fossi tu, Massimo. Eri solo un ragazzo l'ultima volta che ti vidi, ed essere centurione alla tua età... be', è quasi senza precedenti. Le mie più vive congratulazioni. - Marco Aurelio strinse una spalla del giovane e alzò la coppa di vino in segno di augurio.

- Grazie, Cesare. - Mentre si inchinava, Massimo vide che Commodo li fissava, il giovane viso pallido e tirato alla vista del contatto familiare tra il centurione e suo padre.

- Mi pare di capire che parteciperai all'esibizione di domani? - chiese Marco Aurelio.

- Sì, Cesare.

- Bene, non hai certo bisogno di dimostrare il tuo valore dopo la tua avventura di poche notti fa, ma non vedo l'ora di vederti in azione.

- Grazie, Cesare.

Ciò detto, Marco Aurelio gli diede una pacca sulla spalla e si diresse verso il successivo ufficiale e Massimo si trovò per la prima volta di fronte a Lucio Vero. Era più giovane di Marco Aurelio di circa dieci anni, suppose Massimo, sembrava sui trentacinque anni, per lo meno. Imperatore, ma anche comandante, indossava l'armatura completa per la maggior parte del tempo, rendendo la sua presenza piuttosto imponente. Uomo basso e tarchiato, con capelli prematuramente grigi, la sommità della sua testa arrivava solo al naso di Massimo, ma nessuno confondeva la sua scarsità di statura per scarsità di coraggio. Insieme al generale Cassio aveva guidato l'attacco sulle tribù orientali con grande successo. Non sposato, era stato raggiunto all'accampamento dalla sua anziana madre e dalla sorella minore, che aveva circa trent'anni, ma Massimo non riusciva a ricordare di aver visto nessuna delle due donne da quando erano arrivate lì. Anche le famiglie dei senatori si erano tenute in disparte.

- Massimo, vero?

- Sì, Cesare. - Massimo si inchinò.

- Che fortuna che ti sia accaduto di essere fuori dalle mura quando i barbari hanno attaccato.

- Non hanno esattamente attaccato, Cesare...

- Solo perché tu li hai fermati, soldato. Ah, sì, Roma è fortunata ad avere uomini come te, Massimo. E' precisamente per merito di uomini come te che l'impero rimane forte e indiviso.

- Grazie, Cesare. - Il giovane centurione era completamente sopraffatto dall'attenzione suscitata nei due uomini più potenti dell'impero.

- E... ti devo una nota di ringraziamenti personali per aver rischiato la vita per proteggere le persone dentro l'accampamento, specialmente la mia famiglia... e la mia promessa sposa.

- La tua promessa sposa, Cesare? - chiese Massimo educatamente.

- Sì, - Lucio Vero rise sommessamente. - Lucilla. Ci sposeremo tra breve. Non sono un uomo fortunato?

Una violenta emozione lacerò il corpo di Massimo dalla testa ai piedi, afferrandogli il cuore in una morsa nel petto, e lo soffocò. Riuscì solo ad annuire debolmente mentre boccheggiava, la mano alla gola.

- Stai bene, soldato? Sembri sul punto di svenire. - Lucio Vero si accigliò, sinceramente preoccupato.

- Sto bene, Cesare, - sussurrò Massimo. - Mi scuso, Cesare, ho bisogno di un po' d'aria. - Senza aspettare di essere congedato barcollò fino all'uscita, ignaro degli sguardi curiosi dei suoi compagni ufficiali e dei due imperatori, e non vide il lento ghigno di trionfo che spuntò sinistramente sui lineamenti del quattordicenne erede dell'impero.

Una volta fuori, Massimo si piegò in due e inspirò profondamente raschianti boccate d'aria fresca nei polmoni in fiamme. Sentì una mano toccargli la schiena e qualcuno chiamare il suo nome, ma si liberò e corse finché arrivò al cancello posteriore dell'accampamento, piombando oltre le guardie e dirigendosi nell'oscurità della notte. Non smise di correre finché non raggiunse la spiaggia dove appena pochi giorni prima aveva condiviso momenti intimi con Lucilla, la quale per tutto quel tempo aveva saputo che stava per sposare un imperatore. Lei lo aveva ingannato fin dall'inizio... si era trastullata con lui... ed egli era stato troppo accecato dall'amore per capirlo.

Il dolore nel petto lo fece cadere in ginocchio, si piegò di nuovo in due finché la testa toccò la sabbia fresca e bagnata. Il suo dolore era come una palla ardente di catrame infuocato che gli consumava il cuore bruciandolo e riducendolo in cenere. Massimo rotolò sulla schiena, aspri singhiozzi gli scuotevano il corpo, finché la sua rabbia esplose in un grido di sofferenza che frantumò la tranquillità intorno a lui, scacciando dal suo ramo un gufo stridente per lo spavento, mentre le loro grida si confondevano nell'aria della notte.

 

Capitolo 22 - L'esibizione

Massimo sedeva fermo come una statua in sella al suo magnifico stallone sauro, gli uomini della sua centuria raccolti intorno a lui vicino al bordo dell'intervallum. Le pecore erano state mandate via ed erano state costruite tribune di legno generosamente drappeggiate di seta per ospitare gli imperatori, i senatori e le loro famiglie.

Massimo non guardò mai nella loro direzione.

Lucilla sedeva nelle tribune tra suo padre e il suo promesso sposo, immobile e rigida come l'uomo a cavallo che teneva avvinto il suo sguardo come una maledizione. Gli occhi di lei lo seguivano ovunque... mentre schierava in parata i suoi uomini sotto le tribune, poi quando smontò da cavallo e brandì la spada e lo scudo camminando fino al centro del campo erboso, mentre un altro soldato si avvicinava dalla parte opposta.

- Quinto, - disse Massimo in segno di saluto.

- Massimo, non ti vedo da molto tempo. Congratulazioni per la promozione, - rispose Quinto con sincerità. - Nessuno la merita più di te. - Da molto tempo Quinto era giunto alla conclusione che non poteva avere la meglio sul suo amico in nessuna categoria, ma si era ripromesso di cercare almeno di stare al passo con lui. Tuttavia la promozione di Massimo a centurione aveva posto il giovane un gigantesco passo più avanti di Quinto.

Massimo riuscì a fare un sorriso tirato. - Grazie, amico mio. E' passato troppo tempo.

- Che ne dici di un po' di vino dopo aver intrattenuto gli imperatori? Possiamo aggiornarci su certe cose...

Massimo fece un cenno di assenso, quindi i due uomini si strinsero le mani, prima di separarsi e incedere solennemente qualche passo lontano l'uno dall'altro, per mostrare la loro maestria con spada e scudo ai dignitari radunati.

Nonostante Massimo apparisse tranquillo, c'era qualcosa nella sua espressione che disorientava Quinto... una durezza nei suoi occhi che non c'era stata prima. Una cosa snervante.

Il segnale d'inizio fece balzare Massimo con elasticità. Quinto ebbe a mala pena il tempo di alzare il suo scudo prima che Massimo abbattesse la sua spada con un colpo violento che mozzò il respiro agli spettatori. Quinto barcollò sotto il colpo, ma si riprese in tempo per scansare un'altra crudele esplosione che lo costrinse a cadere sulle ginocchia. Il terrore si mescolò all'eccitazione quando Quinto si rese conto che non sarebbe stato uno scontro di ordinaria amministrazione, e sollevò la spada appena in tempo per frenare il colpo successivo e deviarlo. Volarono scintille mentre l'acciaio incontrava l'acciaio e la folla acclamò, specialmente gli uomini della sesta centuria, in totale timore reverenziale per il loro giovane comandante.

I combattenti si respingevano e si attaccavano attraverso il campo con colpi che intorpidivano le braccia e ruggiti feroci. Nelle tribune Commodo stava in piedi, le mani strette per l'eccitazione, gli occhi inchiodati su Massimo. L'uomo era veramente magnifico, nella sua armatura scintillante, le braccia nude e le gambe dai lucidi muscoli guizzanti sotto una semplice tunica, mentre colpiva con forza e deviava, caricava e danzava. Ora che l'uomo non era più un contendente per l'affetto di sua sorella, Commodo poteva di nuovo ammirarlo come guerriero.

Il combattimento era molto più violento di quanto la folla si fosse aspettata e ancora Massimo non ne diminuiva l'intensità. Sulle linee laterali, Dario cominciò a preoccuparsi in maniera crescente. Massimo aveva perduto ogni senso delle proporzioni, sembrava, e aveva l'aria di prepararsi a combattere fino alla morte. La sua rabbia andava alimentando la sua energia e Quinto stava resistendo sorprendentemente bene, ma si stava evidentemente stancando sotto quell'assalto. Dario si spostò sul campo, ignorando le grida di starsene fuori.
- Massimo, - urlò. - Massimo, basta! Basta! Calmati!

Massimo o non lo sentì o lo ignorò e mandò un altro feroce colpo a fracassarsi sullo scudo di Quinto. Adesso era evidente a tutti che Quinto era in difficoltà.

Nelle tribune, Lucilla si torceva le mani, conoscendo fin troppo bene il motivo per il quale Massimo stava combattendo come un demone. Di fronte a lei Commodo saltava su e giù con gioia. Dietro Commodo sua madre sedeva con gli occhi che seguivano Massimo in un modo che fece serrare lo stomaco di Lucilla. La giovane trasse un respiro di raccapriccio e cercò di far conciliare il guerriero che combatteva sul campo con l'uomo gentile che l'aveva tenuta tra le braccia e l'aveva baciata tanto dolcemente.

All'improvviso tutti nelle tribune saltarono in piedi all'unisono, oscurandole la vista del combattimento. Nonostante le sue paure, si alzò in tempo per vedere Massimo lasciar cadere la spada e correre verso Quinto che si contorceva sul terreno afferrandosi la faccia.

- L'hai visto? L'hai visto, madre? Massimo l'ha preso proprio sul viso. Probabilmente l'ha ucciso. - Annia fece un sorriso raggiante.

Dario raggiunse Quinto prima di Massimo e spostò le mani dell'uomo per vedere il sangue sgorgargli da un taglio frastagliato in mezzo agli occhi. Dario strappò un pezzo della propria tunica e lo premette con forza sulla ferita, poi guardò in su Massimo che stava in piedi immobile e pallido.
- Non è brutta come sembra. Le ferite alla testa sanguinano molto. - Il suo tono poi divenne collerico. - Non gli hai dato alcuna possibilità, Massimo. Avresti potuto ucciderlo. E' questo che volevi?

Massimo ammutolito scosse la testa.

Dall'erba Quinto disse:
- Sto bene, Massimo. Aiutami ad alzarmi, d'accordo?

Massimo s'inginocchiò e si mise un braccio di Quinto sulla spalla, mentre Dario prendeva l'altro. Tornarono lentamente indietro fuori del campo, tra le acclamazioni degli uomini sotto il comando di Massimo, ma lui si vergognava troppo per accettarle.
- Quinto, sono così dispiaciuto, - mormorò.

- Ah, la cicatrice mi renderà perfino più carino di adesso. Quelle ragazze del villaggio vorranno tutte me invece che te.

Mentre i tre uomini lasciavano il campo Marco Aurelio si voltò verso un aiutante di campo e disse:
- Di' a Massimo di venire a trovarmi dopo i giochi. Ho qualcosa da discutere con lui.

Osservò per un momento sua figlia, che era silenziosa e pallida e guardava i tre uomini lontani, poi tornò a volgere la sua attenzione al gruppo successivo di combattenti che erano già sul campo.

 

Più tardi quella sera Massimo raggiunse Marco Aurelio nella tenda dell'imperatore. Marco Aurelio lo salutò con calore dicendo:
- Non ho udito altro che il tuo nome da quando sono arrivato, Massimo, dal generale e dai senatori, da mio figlio e da mia figlia. Sembra che tu abbia fatto una buona impressione a molte persone. Di sicuro hai impressionato me questo pomeriggio.

Massimo si mosse a disagio.
- Devo chiedere scusa per quello, Cesare.

- Davvero? Perché?

- Io... ho lasciato che il combattimento mi prendesse la mano. Era inteso come un'esibizione e non si supponeva che qualcuno restasse ferito.

- E' facile che il sangue bolla in battaglia, Massimo, perfino se la battaglia non è reale. Indubbiamente mi hai dato un'idea di ciò che quei barbari hanno affrontato l'altra notte. - L'imperatore rise. - Quasi mi dispiace per loro.

Massimo si rifiutò di accettare così facilmente gli elogi.
- Quinto è mio amico, Cesare, e io l'ho ferito senza alcuna necessità.

- Vieni, siediti con me, Massimo. - Marco Aurelio tese la mano verso una sedia di cuoio e il giovane accettò con gratitudine.

- Lo spirito di combattimento è dentro di te, figliolo. Ciò è più raro di quanto tu possa pensare e molto prezioso in un soldato di Roma. - Marco Aurelio sorrise. - Sei molto giovane per avere queste capacità. Tutto ciò che devi fare è imparare a controllarle e dirigere il tuo scontento sulla persona appropriata, nel modo appropriato. Ovviamente non era Quinto l'oggetto della tua collera, ma è accaduto, fortunatamente, che fosse lui a tiro della tua spada.

Massimo annuì, gli occhi sul pavimento.

- Se io avessi passato quel che tu hai sopportato pochi giorni fa, sarei stato anch'io pronto a decapitare chiunque mi fosse capitato a tiro.

Massimo alzò lo sguardo con una domanda negli occhi.

- Mia figlia è venuta a parlarmi appena sono arrivato. Era molto sconvolta e mi ha confessato di essersi innamorata di te... non che io sia sicuro che ella capisca la differenza tra amore e infatuazione. Mi ha anche raccontato del cane e qualche altra cosa. - Marco Aurelio sospirò profondamente. - Posso certamente capire perché ti vuole bene, Massimo. In qualunque altra circostanza avrei incoraggiato il vostro amore e sarei stato orgoglioso di averti come figlio. Niente mi avrebbe fatto più piacere, te lo assicuro. Tuttavia, Lucilla è la figlia di un imperatore e ha un dovere verso Roma, proprio come lo hai tu. Il suo dovere è di sposarsi e generare un futuro Cesare che abbia in sé il sangue di due imperatori e, a quel fine, ella fu promessa all'imperatore Lucio Vero due anni fa. Lei mi supplicò di non farla sposare fino ai diciott'anni e io mi lasciai commuovere, ma ora ha diciott'anni e le nozze avverranno tra breve. Potrebbero essere celebrate addirittura qui in Germania piuttosto che a Roma, dal momento che non potremo tornare là per un po' di tempo. L'imperatore Lucio Vero è ansioso di renderle ufficiali.

Marco Aurelio si piegò in avanti sulla sedia e guardò Massimo direttamente negli occhi.
- Mi ha confessato che ti ha rivelato il suo amore senza menzionare il fidanzamento, inducendoti a credere che ci fosse per voi la possibilità di stare insieme. Non credo che volesse manipolare le tue emozioni, Massimo. Sperava sinceramente che io potessi commuovermi e permetterle di sposare un uomo di sua scelta, ma non è possibile. Capisci?

- Sì, Cesare. Capisco.

- Ma, anche così, il tuo cuore non comprende ciò che la tua mente capisce. Ah, mi ricordo com'ero io alla tua età, Massimo. Ricordo l'intensità dell'amore... e delle delusioni d'amore. Tutti ne abbiamo sofferto. Sono veramente molto turbato che sia stata proprio mia figlia a spezzare il cuore di un giovane che ammiro e del quale m'importa moltissimo.

Massimo deglutì a fatica.
- Grazie, Cesare, - mormorò.

- Lucilla ha ragione, sai. Saresti un buon modello da imitare per Commodo. Egli ha certamente bisogno dell'influenza di un uomo intelligente, onorevole e coraggioso come te. Ancora una volta, è colpa mia. - Marco Aurelio lasciò la sedia e prese a camminare su e giù. - Sento che la mia famiglia non ti ha trattato bene in numerosi modi, e farò quel che posso per riparare. Prima di tutto mio figlio, mia figlia e mia moglie partiranno domani per rimanere con un'altra legione situata non troppo lontano da qui. Lucio Vero li accompagnerà, poi tornerà qui da solo.

Massimo sentì la bile salirgli alla gola e deglutì a fatica.

- In secondo luogo, ti concedo il permesso di sposarti, Massimo, quando avrai trovato una donna adatta che amerai... e tu amerai di nuovo, anche se ora puoi non crederci. Tu sei uno dei pochi uomini nell'esercito di Roma ad avere questo privilegio. Da ultimo e molto più importante, c'è un senatore che ha presentato una supplica per adottarti come figlio e io ho firmato i documenti rendendoti a tutti gli effetti membro della classe senatoriale e soggetto a tutti i suoi privilegi.

Le cose stavano accadendo così in fretta che Massimo riusciva a stento ad afferrarne il significato.
- Come si chiama, Cesare?

- Marco Licinio Marcello, ma mi è già stato detto che tu desideri mantenere il tuo nome e così farai. Lo incontrerai più tardi stasera, ma non c'è bisogno che tu abbia ulteriori rapporti con lui o con la sua famiglia se non lo desideri. L'adozione è davvero solo una formalità.

- Non so che cosa dire, Cesare.

Marco Aurelio si fermò di fronte a lui e Massimo si alzò in piedi. Il sorriso dell'uomo più anziano era così gentile e colmo di preoccupazione che Massimo affondò le unghie nei palmi delle mani per non scoppiare in lacrime. Marco Aurelio afferrò le spalle del giovane con entrambe le mani e disse gentilmente:
- E' meglio che tu non riveda mia figlia, Massimo. E' confinata nella sua stanza fino alla sua partenza, domani. Dimenticala, figliolo.

Massimo annuì avvilito.

- Quando l'imperatore Lucio Vero tornerà tra pochi giorni prepareremo una spedizione punitiva attraverso il fiume per far capire ai barbari che l'insurrezione non sarà tollerata. Voglio che tu faccia parte della spedizione, Massimo.

Il centurione rimase a bocca aperta.
- Sarà un onore, Cesare.

Marco Aurelio rise.
- Voglio vedere l'energia e la maestria di cui oggi sono stato testimone dirette contro i germanici. - Massimo sorrise in risposta. - Bene, ora andiamo a conoscere il tuo padre adottivo e poi avrai bisogno di dormire un po'. Tutti e due ne abbiamo bisogno.

Quando Massimo infine lasciò la tenda dell'imperatore, quella sera, non guardò né a destra né a sinistra mentre si dirigeva verso il cancello del pretorio. Grazie a Marco Aurelio adesso vedeva più chiaramente nel suo futuro, sapeva ciò che era capace di fare e ciò che voleva realizzare. Niente lo avrebbe ostacolato... e nessuno.

Occhi verdi pieni di lacrime osservavano la sua schiena eretta e le sue spalle vigorose scomparire oltre il cancello. Lucilla era rimasta appostata tutta la sera nel vano dell'entrata della propria tenda, sperando in uno sguardo di Massimo e in qualche cenno di perdono, ma ora sapeva che lui non l'aveva perdonata. Crollò sul letto e pianse amaramente per ciò che la sua vita sarebbe diventata adesso, e per ciò che avrebbe potuto essere.

 

Capitolo 23 - L'assalto

Massimo rabbrividì mentre la fredda pioggia di primavera gli batteva sulla testa e mutava la linea costiera in fango nero profondo fino alla caviglia. Il suo stallone scosse la testa con insofferenza per essere obbligato a restare sotto l'acquazzone completamente bardato per la battaglia, e Massimo gli batté piccoli colpi sul collo, comprensivo. Il movimento tuttavia mise a nudo proprio il suo collo sotto il temporale, e gelidi rivoletti d'acqua gli gocciolarono all'interno della corazza, dove bagnarono i suoi sottabiti rendendoli aderenti e pruriginosi.

Massimo era uno dei cento uomini scelti che avrebbero attraversato il fiume Danubio alle prime luci dell'alba e organizzato un attacco punitivo a sorpresa sull'esercito barbaro situato sulla riva opposta. I romani erano in schiacciante inferiorità numerica, ma il loro rapido assalto sarebbe stato sostenuto da un attacco in piena regola dell'intera legione, se necessario. Le altre legioni Felix erano in alto stato di all'erta nel caso fosse necessario il loro appoggio.

Era ancora scuro, forse le cinque del mattino, e l'alba sarebbe sorta tardi, quel giorno, a causa del tempo cupo, ma sarebbe stato proprio quel tempo, probabilmente, a proteggere le loro vite. Il vento freddo del nord assicurava che i suoni provenienti dal lato romano non sarebbero passati attraverso il fiume; le nuvole basse e grigie e la nebbia che si alzava dall'acqua li avrebbero nascosti alle sentinelle appostate sulla sponda opposta.

Dario montava ad un lato di Massimo e Quinto all'altro lato. Di fronte a loro c'erano l'imperatore Lucio Vero ed il generale Patroclo. Dietro di loro c'erano approssimativamente altri novanta legionari, tutti appositamente scelti per le loro eccellenti capacità di combattimento. Tutti gli uomini erano avviliti e nervosi quanto lui, ma non si udiva un suono, tranne l'impaziente sbuffare e scalpitare dei cavalli.

Massimo guardò verso oriente e notò un lieve illuminarsi del cielo. Presto sarebbe arrivato il segnale di trascinare le pesanti zattere nell'acqua dal loro nascondiglio nella foresta. Mentalmente ispezionò le proprie armi: le spade e lo scudo che erano fissati con una cinghia saldamente al suo fianco. Più di metà degli uomini erano arcieri e avrebbero guidato l'attacco a piedi, uccidendo più barbari possibili, gettando l'accampamento nemico nello scompiglio prima che la cavalleria caricasse.

Le spie avevano fatto bene il loro lavoro e i romani conoscevano a fondo la disposizione dell'accampamento, come pure il numero di nemici. Gli ordini erano chiari... attaccare, uccidere e tornare alla sicurezza del fiume, dove gli arcieri avrebbero aspettato sotto il comando di Marco Aurelio per scagliare centinaia di frecce attraverso l'acqua, scoraggiando dall'inseguimento eventuali germanici rimasti in vita.

C'era abbastanza luce ora perché Massimo distinguesse l'acqua dalla terraferma e rimase in ascolto del comando a procedere. Esso giunse nel giro di pochi minuti. Le pesanti zattere furono varate e Lucio Vero ed il generale Patroclo si imbarcarono sulla prima, i loro cavalli immersi nell'acqua per nuotare più indietro. Massimo, Quinto e Dario seguirono sulla seconda zattera con altri quattro soldati. Massimo rabbrividì quando l'acqua gelida inondò i suoi stivali. Immediatamente prese una pagaia e cominciò a far muovere la zattera nel largo fiume. Anche Quinto remava e Dario teneva le redini dei loro cavalli che nuotavano al seguito, i loro schizzi mascherati dalla pioggia torrenziale.

Sbarcarono a monte dell'accampamento barbaro e là si radunarono per l'attacco. Tutti gli uomini erano completamente intirizziti e rabbrividivano, tanto per i nervi tesi quanto per la gelida traversata. Massimo inspirò a fondo per calmare il suo respiro e guardò Dario e Quinto che erano montati a cavallo vicino a lui.
- Forza e onore, - disse con calma convinzione ed essi lo guardarono sorpresi.

Dario sorrise.
- Forza e onore, Massimo. - Si piegò in avanti per stringere la mano dell'amico.

- Sì. Forza e onore, - rispose Quinto con molta serietà e fece lo stesso.

Tutti gli occhi si volsero a Lucio Vero per attendere il segnale. Il fumo proveniente dai fuochi all'aperto del primo mattino vagava sopra gli alberi: un odore invitante in circostanze normali, ora indizio che i germanici si stavano risvegliando. Lucio Vero sollevò il braccio in aria. Quando lo abbassò, cinquanta arcieri caricarono a piedi nella foresta verso l'accampamento. Furono presto perduti di vista dalla cavalleria, ma urla sorprese, poi grida di uomini assonnati indicarono il successo del compito degli arcieri. Lucio Vero alzò di nuovo il braccio e Massimo sentì i muscoli tendersi. La spada si abbassò ed il generale Patroclo e la cavalleria caricarono nell'oscura foresta verso l'accampamento, le spade sguainate e sollevate.

Massimo emerse nella radura proprio dietro il generale e abbassò la spada con un violento arco oscillante, mandando la testa di uno sfortunato barbaro a ruotare nell'aria prima che colpisse il terreno rotolando nel fango. Di nuovo sollevò in alto la spada, facendo cadere spruzzi del sangue dell'uomo ucciso sulla propria armatura e sul viso. Massimo liquidò rapidamente altri due uomini che stavano fuggendo in preda al panico. L'abbattere la spada su un uomo che non aveva altre difese che le mani sollevate, in qualche modo sgomentava Massimo. Il suo braccio potente e la spada affilata potevano tagliare di netto il collo di un uomo, come un coltello attraverso il pane.

Il giovane centurione era quasi sollevato di vedere molti germanici che finalmente si armavano e tentavano di organizzare un contrattacco. Massimo spronò il suo cavallo nella loro direzione proprio dietro il generale. Con un ruggito, Patroclo uccise due uomini con potenti fendenti della sua spada. Massimo lo eguagliò colpo per colpo e i due guerrieri romani costrinsero i barbari a indietreggiare in fretta al coperto degli alberi.

- Massimo! - Il generale urlò e puntò con la spada dietro il giovane. Massimo fece girare il suo cavallo appena in tempo per far fronte ad un contrattacco dai boschi e si fece strada a colpi di taglio attraverso i germanici. La pioggia continuava torrenziale e il terreno si trasformò in breve in un pantano di fango e sangue. I cavalli cominciavano a slittare e gli uomini a piedi scivolavano cadendo in ginocchio nella poltiglia vischiosa. Massimo usò l'avambraccio per scacciare le gocce dagli occhi e lanciò un rapido sguardo intorno per cercar di capire la situazione. C'erano cadaveri ovunque, la maggior parte dei quali erano germanici dai lunghi capelli, ma c'erano anche almeno una dozzina di romani. Massimo non riuscì a distinguere chi fossero.

Il suono della lotta alla fine si spense e in distanza Massimo udì Lucio Vero urlare il comando di ritirarsi verso la spiaggia. Massimo ed il generale erano i più lontani dal punto di incontro e Massimo si girò sulla sella per vedere se Patroclo aveva udito il comando. Quel che vide gli mandò una scossa elettrica attraverso il corpo. Il generale era a terra, intrappolato sotto il suo cavallo, che era scivolato nel fango. Vedendo che il comandante dei romani era al suolo, alcuni barbari che erano scappati nei boschi stavano furtivamente tornando indietro verso di lui. Quando il cavallo si dimenò per alzarsi, una freccia trafisse il collo dell'animale e la testa ricadde nel fango con un tonfo. Massimo spronò con furia il suo stallone per mettersi tra il suo generale intrappolato ed i germanici, usando lo scudo per assorbire l'impatto di mezza dozzina di frecce. Gridò per avere appoggio, ma non riuscì a vedere nessuno, e la solida cortina di pioggia affogò le sue parole.

 

Capitolo 24 - L'assalto continua

Massimo guardò furtivamente, cercando di stimare il numero di uomini che doveva affrontare. Almeno una dozzina, rifletté, davvero troppi anche solo per prendere in considerazione l'idea di attaccare, così avrebbe dovuto semplicemente cercare di restare vivo e proteggere il suo generale come meglio poteva, finché qualcuno nella legione si fosse accorto che loro erano dispersi.

Un suono proveniente dall'alto fece scattare in alto il mento di Massimo prima che una freccia gli colpisse la corazza con un colpo potente, facendolo barcollare all'indietro e spaventando il suo stallone, che s'impennò. Massimo afferrò la groppa del cavallo, ma le sue mani slittarono sulla criniera resa scivolosa dalla pioggia ed egli ruzzolò all'indietro nel fango, tenendo spada e scudo ancora saldamente nei pugni. Rotolò quando colpì la fanghiglia e ritrovò l'equilibrio proprio mentre veniva scagliata la successiva raffica di frecce. Esse si abbatterono innocue sul suo scudo sollevato. Mentre i barbari si preparavano a lanciare un'altra scarica Massimo indietreggiò a fatica, inciampando nel cavallo morto del generale poi cadendo addosso all'uomo intrappolato, mentre le frecce colpivano con violenza il suo scudo. Massimo si chiese quante ancora esso ne potesse fermare.

- Sei ferito, generale? - chiese ansiosamente.

- Più che altro nel mio orgoglio, Massimo, - Patroclo fece una smorfia, - ma non riesco a sentire la gamba o a spostarla da sotto il cavallo.

- Dov'è il tuo scudo, generale?

- Sotto il cavallo. Non so dove sia la mia spada. L'ho persa quando sono caduto. - La voce del generale era affaticata.

Massimo scivolò più in basso nel fango usando il corpo del cavallo per assorbire l'impatto delle frecce, ma sapeva che i barbari presto avrebbero provato un altro modo per avvicinarsi. Patroclo era sprofondato fino ai fianchi sotto l'animale morto ed era spinto in profondità nella fanghiglia; Massimo capì che non avrebbe potuto liberare l'uomo senza aiuto. Si contorse, facendo in modo che la sua schiena fosse contro il cavallo, e il suo piede calciò qualcosa di duro. Era la spada del generale coperta di fango. Massimo l'afferrò e pulì via più sudiciume che poté, poi la tenne sollevata per permettere alla pioggia di lavar via il resto. Così facendo notò che dei germanici armati di rozze spade correvano di albero in albero. Frecce da una parte e spade dall'altra. In nome degli dèi, che cosa doveva fare?

Massimo protesse il generale con il proprio scudo, ignorando l'ammonimento dell'uomo dell'insensatezza di quell'atto.
- Massimo, io sono spacciato. Tu hai ancora la possibilità di salvarti. Salvati.

- Nossignore.

- Massimo, io sono ancora al comando!

- Senza dubbio, generale, ma non nella posizione di prendere decisioni. Per favore, lascia che sia io a farlo adesso.

Patroclo guardò a lungo l'aria determinata sul viso del giovane... un'aria che spaventava, a dire il vero. La sua mascella era irrigidita in una linea dura e i suoi occhi socchiusi erano blu come l'acciaio. Il generale si limitò ad annuire. In quella situazione disperata, Patroclo non riusciva a pensare ad un altro soldato con cui avrebbe preferito essere se non con Massimo.

Il giovane centurione sapeva che Patroclo sarebbe stato attaccato nel momento in cui lui l'avesse lasciato, così aspettò che i germanici con le spade caricassero, chiedendosi di quante frecce gli uomini dietro di lui potevano disporre ancora. Non aveva lo scudo e da molto aveva perduto il suo elmo nel fango, rendendolo, in effetti, molto vulnerabile, ma gli arcieri ora stavano avendo problemi a trovare le loro tracce nella pioggia scrosciante. La successiva raffica di frecce affondò nel cavallo morto, ma volò anche tra gli alberi e andò a seppellirsi in profondità nel fango ai lati dei due soldati romani. A causa dell'imprecisione dei loro tiri, Massimo capì che avrebbero cessato di tirare non appena gli uomini armati di spada avessero attaccato, per paura di colpire i loro stessi compagni. Era solo questione di tempo.

Un acuto urlo primitivo lanciato dai boschi fece rizzare la peluria sul collo di Massimo ed egli balzò in piedi, una spada in ciascuna mano. Sei barbari emersero di corsa dal folto sottobosco e lo caricarono. Mentre uno cadeva a faccia in giù nel fango, Massimo sentì un forte colpo dietro la coscia sinistra che quasi lo fece cadere per terra; lanciò uno sguardo in basso, vide la punta di una freccia che affiorava dalla parte anteriore della sua gamba e per un attimo si meravigliò di non sentire alcun dolore.

Sollevò lo sguardo appena in tempo per vedere una spada sopra la sua testa discendere velocemente in direzione del suo collo. Roteò in aria con forza il braccio sinistro e le due armi cozzarono scagliando nell'aria la lama del barbaro che finì per atterrare nella fanghiglia. Con una spietata stoccata del suo braccio destro egli sventrò l'uomo ora disarmato e gli diede un calcio, facendolo scontrare con un altro germanico e mandandoli entrambi a terra. Con un guizzo veloce Massimo fu sull'uomo che stava ancora respirando e lo decapitò con un colpo netto.

Adesso la gamba stava cominciando a pulsare, ma Massimo non aveva il tempo di autocompatirsi, poiché i quattro barbari rimanenti si stavano disponendo ad arco intorno a lui. Un acuto sibilo dal dietro indusse Massimo a tuffarsi e la freccia a lui diretta si seppellì in profondità nel petto del barbaro più vicino. L'uomo cadde come una pietra e Massimo ora si trovò a fronteggiare tre uomini molto guardinghi. Uno gridò un ordine agli arcieri, un ordine che Massimo sperava avrebbe fermato le frecce.

Il suo sguardo rapido guizzò avanti e indietro da un uomo all'altro mentre i suoi nemici cercavano evidentemente di decidere come prendere quel demone romano coperto di fango e col sangue che gli sgorgava da una brutta ferita nella gamba. Massimo storse il labbro e parlò in tono iroso, gridando delle oscenità. Sapeva che non era probabile che capissero le sue parole, ma certamente avrebbero riconosciuto la minaccia nella sua voce profonda e ringhiante. Egli vide ciò che aveva sperato: un lampo di incertezza negli occhi dell'uomo alla sua sinistra. Con la velocità di un lampo Massimo tirò indietro il braccio destro e lanciò la sua spada nell'aria. Un istante dopo essa trapassò il collo del nemico e l'uomo crollò a terra, gli occhi spalancati e fissi.

Massimo si lanciò l'altra spada nella mano destra proprio mentre un capogiro lo sommergeva come un'ondata. Un rapido sguardo in basso rivelò una gamba completamente rossa di sangue. Anche il dolore pulsante si stava diffondendo, dalla coscia giù fino al polpaccio e su fino al fianco. I restanti due germanici lo osservarono soddisfatti rendendosi conto che tutto ciò che dovevano fare era aspettare finché il romano fosse caduto, cosa che ovviamente avrebbe fatto presto, poi attaccare e uccidere lui e l'uomo sotto il cavallo.

- Massimo, Massimo, aspetta. Aspetta, - lo esortò Patroclo dal terreno, la voce molto debole.

- Sissignore, - rispose Massimo, ora nemmeno la sua voce era ferma.

Massimo fece un passo avanti e annaspò quando un dolore incandescente aumentò d'intensità nel suo corpo. Udì debolmente le risate dei due barbari e stirò le labbra in un altro ringhio mentre di nuovo li guardava con occhi furiosi. Fu stupito di vedere i loro sguardi compiaciuti diventare inorriditi mentre lentamente indietreggiavano, poi girarono su se stessi e fuggirono nei boschi. In preda alle vertigini, Massimo cadde in ginocchio e mentre sprofondava nel terreno dozzine di frecce si abbatterono sui due barbari in fuga, uccidendoli. Disorientato, Massimo si contorse e fissò sopra di lui il volto pallido e segnato dalla preoccupazione di Dario.
- Perché ci hai messo tanto? - chiese l'esausto centurione mentre lentamente crollava nel fango e nel dolce oblio.

 

Capitolo 25 - Gli encomi

- Massimo, bevi questo, - ordinò Dario mentre sorreggeva le spalle del ferito.

Massimo con gratitudine ingoiò il vino, poi accettò una seconda fiaschetta e fece lo stesso. I suoi occhi appannati gli dissero che era nella sua tenda, ma non aveva idea di come ci fosse arrivato.
- Come...?

- Non parlare, - ordinò Dario. - I chirurghi saranno qui tra un minuto, non appena ti avrò fatto ubriacare abbastanza da rimuovere quella freccia.

- Il generale...

- Ho detto: non parlare! - Dario cercò di sembrare arrabbiato, ma non ci riuscì. - Gamba schiacciata e anca fratturata. Sarà rimandato a Roma per curarsi. - Dario guardò Massimo pensieroso. - Ci ha detto quello che hai fatto. Piuttosto impressionante, mio giovane amico. Piuttosto impressionante.

- Dove erav...?

- Dove eravamo? - lo interruppe Dario. - Su. Bevine un'altra. Eravamo tornati indietro a metà attraverso il Danubio, con i nostri arcieri che scacciavano i restanti barbari, quando ci siamo resi conto che voi due non eravate su alcuna zattera. Il tuo cavallo ci aveva raggiunti per il tragitto di ritorno, ma tu no. Il generale e il suo cavallo non si vedevano da nessuna parte. Ci abbiamo messo un po' per fermare i tiri e voltare le zattere per scoprire che cosa vi era accaduto. - La voce di Dario divenne alquanto rauca. - Sapevo che eri vivo. Sei troppo dannatamente ostinato per morire. Continua a bere.

Massimo scolò la quarta fiaschetta di dolce liquido rosso e fu sollevato di sentire che finalmente il pulsare doloroso nella parte inferiore del suo corpo si affievoliva considerevolmente.

- Hai perso molto sangue, amico mio. Se quella freccia fosse andata appena un po' più a destra, be'... Avrai bisogno di riposare per un po' dopo che ti avranno sistemato. - La voce di Dario si affievolì mentre la testa di Massimo ciondolava da un lato sulla spalla del centurione più anziano. Dario gentilmente lo riadagiò sul letto e fece cenno ai medici di entrare. Essi avevano con sé una serie spaventosa di strumenti e Dario capì che la rimozione della freccia sarebbe stata più dura per lui che per l'uomo addormentato.

 

Massimo lentamente riprese conoscenza e immediatamente il suo corpo mandò segnali al cervello per far tornare il dolore pulsante, che adesso, almeno, era concentrato nella gamba e non torturava più l'intero suo corpo. Doveva avere borbottato qualcosa di inintelligibile, perché Dario fu immediatamente al suo fianco e gli posò una mano fresca sulla fronte.

- Non cercare di muoverti, Massimo. La freccia è stata rimossa e la ferita pulita, ma i chirurghi ci hanno messo molto tempo. La freccia ti si era spezzata nella gamba ed era coperta di sudiciume. Hai la febbre, ma i medici sono sicuri che se ne andrà presto. Hanno ordinato completo riposo e nessun visitatore tranne me. Nemmeno gli imperatori possono entrare e sono entrambi ansiosi di parlarti.

Massimo fece cenno di aver capito e chiuse gli occhi scivolando di nuovo nell'oblio.

 

Il giorno seguente si svegliò tardi, assetato e affamato: buon segno, secondo i chirurghi. Il giorno dopo stava seduto e si lamentava per la noia. Dario lo distrasse per un po' con giochi da tavola, ma Massimo non era abituato all'inattività e il confinamento lo metteva di cattivo umore. Dario alla fine gli parlò con asprezza:
- Sembri un pezzo di merda, sai. - Arricciò il naso in modo drammatico. - E ne hai anche la puzza.

- Grazie, Dario. Voglio fare un bagno.

- Non puoi bagnare quella gamba.

- Il resto di me sì, però.

- Si presume che tu non lasci questa tenda.

- Allora porta qui il bagno. E mi piacerebbe bollente, se non ti spiace. - Massimo guardò Dario inarcando le sopracciglia. Quando Dario non si mosse Massimo gli assestò una gomitata.

- Stai diventando odioso, sai. - Dario ammorbidì le sue parole arruffando i capelli di Massimo. Tirò via la mano con finto disgusto. - Bleah! - esclamò. - Hai ancora del fango secco nei capelli e chissà cos'altro. Andrò a prendere la vasca da bagno.

 

Ore dopo Massimo emerse dalla sua tenda; si era appena fatto il bagno e indossava vestiti puliti, aveva una gruccia sotto il braccio e Dario al suo fianco. Zoppicava pesantemente mentre attraversava l'accampamento, procedendo molto lentamente, poiché tutti volevano fermarlo e congratularsi con lui, specialmente gli uomini della sua centuria, più che mai in reverente timore per il loro giovane comandante.

Finalmente raggiunse la zona delle stalle e trovò il suo cavallo che, con soddisfazione, masticava rumorosamente del fieno.
- Traditore, - disse strofinando il naso dell'animale con affetto. - Hai deciso che preferivi il conforto della tua stalla piuttosto che aiutarmi, eh? - Lo stallone sauro gli strofinò il muso contro la mano, in risposta.

- Signore?

Massimo si girò a guardare il giovane soldato dietro di lui, un ragazzo non più grande di lui quando per la prima volta si era unito alla legione.

- Sì, Flavio?

- Gli imperatori vorrebbero che li raggiungessi nella loro tenda, centurione.

Massimo scrutò attraverso l'accampamento alla ricerca della tenda dall'alta punta.
- Proprio adesso?

- Sissignore.

- Di' loro che sto arrivando, ma che potrebbe volerci un po' di tempo.

Flavio fece un largo sorriso e corse via.

 

- Entra, entra, Massimo. - Marco Aurelio fece un gesto dall'interno dei confortevoli quartieri che divideva con Lucio Vero. Osservò la pesante andatura zoppicante del giovane e gli offrì incoraggiamento con un sorriso, qualcosa che accadeva con molta facilità al volto dell'imperatore, quando guardava questo giovane, divenuto il suo preferito.
- No, no, non tentare nemmeno di inchinarti. Dovremmo essere noi a inchinarci a te. Siediti. Siediti proprio qui, così possiamo parlare.

Massimo si sedette su una sedia imbottita e ricambiò timidamente il sorriso dell'imperatore.
- Grazie, Cesare.

Lucio Vero emerse dalle ombre e si avvicinò alla sedia del giovane centurione. Massimo stava per alzarsi in piedi, ma fu fermato da una mano sulla spalla.
- Massimo, per favore, resta seduto. Ti devo delle scuse.

Delle scuse?

Lucio Vero continuò.
- Vedi, avrei dovuto notare che Patroclo non era con noi, e invece sei stato tu a farlo; poi sei rimasto a difenderlo anche se eri in assoluta inferiorità numerica e per di più ferito. Non so dirti che meraviglioso atto di altruismo sia stato, il tuo.

- Chiunque l'avrebbe fatto, Cesare. E' solo successo che fossi io il più vicino a lui.

- No, Massimo, ti sbagli. Poiché tu non esiti a compiere simili atti di valore parti dal presupposto che tutti li farebbero, ma ti sbagli. Ho guidato eserciti per tutto l'impero e visto molti uomini valorosi. Non ne ho mai visto uno come te... un uomo così giovane con la combinazione che hai tu di coraggio e intelligenza. Hai solo vent'anni, vero?

- Sì, Cesare, ma presto ne avrò ventuno.

Lucio Vero sorrise a quella precisazione.
- Sono comunque venti. Dunque, Massimo, hai salvato la vita di uno dei miei generali più amati e quest'atto non resterà non compensato.

Massimo non sapeva che cosa dire. Guardò Marco Aurelio, che continuò l'elogio.
- Tu incarni tutte le caratteristiche che io ammiro di più in un soldato: disciplina, perseveranza, uno straordinario senso di responsabilità, la capacità di sopportare la sofferenza fisica ed emotiva...
l'altruismo... è tutto così naturale per te.

- Massimo. - Il giovane volse la sua attenzione di nuovo a Lucio Vero. - E' insolito per un uomo della tua età essere promosso così rapidamente, ma Marco ed io non vediamo il motivo di farti aspettare anni mentre passi da un grado di centurione all'altro. In questa sede, noi ti promuoviamo al più alto livello e la tua paga aumenterà di conseguenza. Il prossimo grado per te sarà di tribuno. Non abbiamo mai avuto un tribuno sotto i ventidue anni, credo, così potresti dover aspettare un anno o due... ma dubito che dovrai aspettare più a lungo.

Massimo era sinceramente sbalordito. Guardava da un imperatore all'altro, la bocca aperta ma senza parole che si formassero nella sua mente.

Marco Aurelio gettò la testa all'indietro e rise.
- Non c'è bisogno che tu dica "grazie", Massimo. Ti meriti questo onore. Non è un regalo... te lo sei meritato. Il legato sarà promosso temporaneamente generale finché Patroclo potrà riassumere il posto... se mai potrà. - Marco Aurelio si chinò più vicino a Massimo e abbassò la voce. - Come sai, essere un legato non necessariamente significa che un uomo sia bravo in battaglia, Massimo, come te. Il compito principale di un legato, dopo tutto, è di salvaguardare l'autorità di Roma nell'esercito. - Marco Aurelio lanciò un'occhiata a Lucio Vero poi tornò a guardare Massimo. - Conteremo moltissimo su di te per fungere da consigliere del nuovo generale ed egli riceverà istruzioni di darti ascolto.

Massimo si limitò a fissare il suo mentore cercando di assorbire l'impatto delle sue parole. La gamba gli doleva in modo insopportabile.

- Hai l'aria molto stanca, - disse Lucio Vero. - Sono certo che la tua ferita ti sta causando molto dolore, perciò non ti tratterremo più a lungo, stasera. Ma prima che tu vada, il generale Patroclo vuole vederti. Manderemo un contingente ben armato a Roma, domani, e il generale tornerà là per riprendersi. Mia moglie, mia madre e mia sorella lo accompagneranno, così come la moglie e il figlio di Marco.

- Tua moglie? - Massimo rimpianse di aver parlato non appena pronunciate le parole.

- Sì. Ricordi che ti dissi che stavo per sposare Lucilla? Bene, l'ho fatto molto sobriamente quando l'ho accompagnata alla Felix III. Non proprio le nozze che speravo, ma Marco pensava che fosse meglio non attendere oltre.

Improvvisamente Massimo si sentì davvero stanchissimo.
- Congratulazioni, Cesare.

- Grazie, Massimo. Un giorno spero che troverai una moglie altrettanto bella e affascinante.

Massimo fissò il pavimento e non rispose.

Lucio Vero tese la mano all'uomo ferito e dopo un attimo di esitazione Massimo si fece aiutare ad essere tirato in piedi. Anche Marco Aurelio si alzò e gli diede una pacca sulla spalla.

Per compassione, senza dubbio, pensò Massimo.

Lucio Vero continuò a parlare mentre camminavano.
- Rimarrò con la Felix III per preparare gli uomini all'invasione dell'argine settentrionale. Avevo avuto intenzione di farlo qui con la Felix VII, ma con un generale nuovo ed il suo miglior soldato ferito penso che sia saggio darvi più tempo.

Massimo era conscio del fatto che Marco Aurelio fosse proprio dietro di lui, con la mano ancora posata sulla sua spalla. Zoppicò fino alla stanza da letto dei quartieri del generale, dove un Patroclo pesantemente sedato giaceva sdraiato sul letto, la gamba schiacciata bendata dalla coscia al piede e sostenuta da cuscini. Egli aprì gli occhi quando Massimo si avvicinò, e tese la mano. La sua presa era debole e strinse le dita di Massimo senza dire una parola.

- E' stato un onore, generale, - rispose Massimo alle tacite parole di ringraziamento di un uomo che ammirava molto. Il generale chiuse gli occhi e Marco Aurelio fece cenno al centurione di seguirlo fuori dalla stanza.

- Adesso vai a riposarti un po', - disse Marco Aurelio. - Abbiamo bisogno che tu ti riprenda appena possibile.

Quando Massimo zoppicò verso l'uscita si chiese che cosa gli dèi potessero avere in serbo per lui...