Corriere della Sera, sabato 4 maggio
Lettere al Direttore

Caro signor ******, gli elettori della Casa della Libertà sono fuori discussione: hanno votato, hanno vinto ed è giusto che per un quinquennio il Paese abbia un governo scelto da loro, la maggioranza (relativa) degli italiani.

Ma per quel che concerne Silvio Berlusconi il discorso va completato e riguarda, ancorché in modo indiretto, il conflitto di interessi.

Conflitto che, a questo punto, non è più soltanto quello tra Berlusconi e Mediaset. Le faccio qualche esempio. Qualche giorno fa mi è capitato di leggere questa nota d’agenzia: "L’ex presidente e amministratore delegato di Telecom Italia, Roberto Colaninno, si è recato ieri a Palazzo Grazioli dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi". Perché a Palazzo Grazioli, sua residenza privata (o di partito, fa lo stesso)? Un presidente del Consiglio - è sempre stato così - dovrebbe accogliere i suoi ospiti nelle sedi istituzionali. E non è solo questione di forma.

Secondo esempio. Berlusconi ha fatto "scendere in campo" un numero davvero ragguardevole di suoi legali. In principio fu Cesare Previti. Previti, ma anche Vittorio Dotti che lo abbandonerà dopo essere entrato in urto con lo stesso Previti. Con loro Raffaele Della Valle che poi tornerà alla sua più tranquilla professione forense. Per un Della Valle che ha lasciato, Massimo Maria Berruti, Michele Saponara e Carlo Taormina hanno accettato di entrare in Parlamento. Così come il più giovane Niccolò Ghedini che talvolta rappresenta Berlusconi a "Sciuscià". Gaetano Pecorella ha ottenuto di più: la presidenza della Commissione giustizia di Montecitorio. E Donato Bruno (che pure non lo ha mai direttamente patrocinato in un tribunale) ha avuto la presidenza della Commissione affari costituzionali.

Carlo Mezzanotte e Romano Vaccarella hanno accettato una prestigiosa poltrona alla Corte costituzionale. Una decina di avvocati di Berlusconi promossi in questa maniera. Un bel numero, no?

Ancora. Quando Fi perde un pezzo, si tratti di Vittorio Dotti, Carlo Taormina (per un breve lasso di tempo), Amedeo Matacena, Saverio Vertone, Cristina Matranga, il sindaco di Verona Michela Sironi, Francesco Musotto, Filippo Mancuso, le accuse che escono dalle bocche dei fuorusciti sono atroci. Accade anche per altre formazioni politiche che chi rompe sia polemico nei confronti di quel mondo che si è lasciato alle spalle.

Ma da parte dei provenienti di Forza Italia c’è, diciamo, un di più di asprezza. Sempre. Gli addebiti sono infamanti; quelli che se ne vanno parlano come se avessero rotto con una gang di malviventi; in una frazione di secondo fanno propri tutti i giudizi degli avversari più inveleniti.

L’antiberlusconismo di Marco Travaglio, al confronto, è camomilla. Verrebbe da chiedere a ognuno di loro: possibile che, fino a un momento prima, non vi siete accorti di quel che adesso denunciate? Sarebbe però ingeneroso incolpare unicamente il loro carattere.

Quel che dicono, tutti, è infatti riconducibile all’aria che hanno respirato fino al giorno precedente alla loro uscita. Al clima innaturale di un partito che non è come gli altri, un partito che si stringe attorno al capo nella unanime consapevolezza che, per motivi non interamente riferibili al suo carisma, mai si potrà metterlo in discussione. Qualcosa che ho già visto in qualche film americano degli anni Quaranta e Cinquanta. ma non mi chieda quale, ne ho perso memoria.

Paolo Mieli