UN COLPO BASSO ALLA MAGISTRATURA
GIUSEPPE D´AVANZO
da Repubblica - 8 maggio 2002

IL PROCURATORE di Napoli Agostino Cordova merita il pubblico ringraziamento di un´opinione pubblica smarrita dinanzi all´arresto di sei agenti e due funzionari di polizia e alla dolorosa avventura di 83 ragazzi e ragazze, rastrellati in un pronto soccorso e sequestrati per ore in una caserma. Chi ha ragione e chi sostenere? La polizia che difende la nostra sicurezza o la magistratura che difende i nostri diritti? Con l´intervento di Cordova in Parlamento è finalmente chiaro che cosa sta accadendo a Napoli. Il procuratore ha reso l´affare trasparente come acqua di fonte.
Ne ha mostrato la trama e il valore, il disegno politico, l´energia che vi si nasconde, capace di spezzare come un osso ordinamento giuridico, equilibrio tra i poteri, collaborazione tra istituzioni dello Stato. E´ accaduto che il Procuratore se ne è andato alla commissione antimafia per difendere la sua «equidistanza» aliena da tentazioni di compromesso politico, per accusare i suoi sostituti e l´inchiesta che stanno conducendo.
Mossa discutibilissima, ma nitida. Discutibilissima perché la prossima settimana sarà il Consiglio superiore della magistratura a decidere del destino del Procuratore. Trasferirlo per incompatibilità ambientale o lasciarlo al suo posto, censurando l´iniziativa dei 60 pubblici ministeri che ne hanno criticato l´organizzazione del lavoro? Chiunque può capire che sarebbe stato il Csm il luogo adatto per una simile, doverosa discussione, ma - ecco nitidamente rappresentato l´obiettivo di Cordova - il procuratore ha scelto la protezione della politica. Non è la prima volta che gli capita.
All´inizio degli anni '90, per venir via dalla Procura di Palmi dopo la bocciatura alla procura nazionale antimafia, scelse di lasciarsi appoggiare la mano sulla spalla dalla sinistra politica e togata. «Cordova è un magistrato onesto, lucido, assolutamente non condizionabile. Da parte di nessuno», andava dicendo Luciano Violante. Quando la stella della sinistra ha cominciato a tramontare, Cordova si circonda di pubblici ministeri che saranno poi eletti nelle liste di Alleanza nazionale, vellica l´attenzione della Destra tormentando senza alcun successo processuale il sindaco «rosso» di Napoli, Antonio Bassolino. A corto di armi giudiziarie, non meraviglia che Cordova consegni oggi al centro-destra qualche lancia politica per dare battaglia sul «caso Napoli». A volerlo credere ingenuo, ci si può sorprendere di come la sua iniziativa abbia voltato le spalle con disprezzo al lavoro di un organo costituzionale come il Csm. E´ un primato che un magistrato sconfessi l´organo che ne protegge l´autonomia e l´indipendenza, e come tale va annotato.
Il procuratore si spinge anche più in là di questo confine: accusa i suoi pubblici ministeri e allude al lavoro dell´ufficio del giudice delle indagini preliminari in modo così ambiguo da lasciar credere che in quell´ufficio, nel migliore dei casi, vi si raccoglie una consorteria di scansafatiche; nel peggiore, di toghe corrotte o colluse con il crimine organizzato.
Naturalmente, la Casa delle Libertà era già pronta ad accogliere l´«aiutino» del procuratore e invoca una severa ispezione ministeriale mentre è in corso l´indagine del Csm. Ce n´è ancora. Cordova svela di aver avuto molti dubbi sulla fondatezza dei riscontri che hanno convinto prima i suoi collaboratori e dopo il gip della necessità di arrestare i poliziotti. La rivelazione conferma che le opinioni del procuratore non sono mai granitiche. Le modella secondo necessità. La scorsa settimana, intervistato a Porta a Porta, aveva glissato ogni domanda proteggendosi con il segreto istruttorio che, evidentemente, in Parlamento evapora. Cordova non racconta che cosa i pubblici ministeri hanno opposto, per iscritto e con atti istruttori, alle sue perplessità, ma questo attiene allo stile personale. Quel che conta dire qui è che se due più due fa quattro, si può ragionevolmente convenire che è stato Cordova ad informare dell´affare napoletano il vicepresidente del Consiglio nella misteriosa telefonata di venerdì 26 aprile. Si sa cosa disse, incomprensibilmente a botta calda, Gianfranco Fini: «Sarebbe gravissimo se non ci fossero riscontri» .
Perché questo azzardo? Perché una dichiarazione così sbilanciata in un politico solitamente cauto e accorto? Ora lo si sa. Se Fini ha sentito di potersi sbilanciare è grazie alle discutibili informazioni fornitegli da Agostino Cordova. Stesso metodo, due giorni prima degli arresti (mercoledì, 24 aprile), il procuratore deve aver usato informando il questore di Napoli.
D´altronde, se il capo di un ufficio giudiziario ti dice che in quegli arresti non crede, che quegli arresti hanno deboli riscontri, tu che fai? Difendi i tuoi uomini, attacchi i giudici, sospetti una manovra politica e magari per fronteggiarla ne organizzi un´altra di segno opposto che trasformi il (presunto) svantaggio in vantaggio certo. E´ quello che è accaduto a Napoli, pare. La rivolta dei poliziotti in questura è parsa a molti organizzata. La corsa precipitosa di parlamentari di An in questura in quelle ore difficili è parsa a tutti programmata. Così nei giorni successivi si è sviluppato un disegno che vedeva sullo stesso fronte Alleanza nazionale, il Sindacato autonomo di Polizia (co-fondato dal questore di Napoli) e il governo che, nella faglia aperta da Agostino Cordova, ha ritenuto di infliggere un altro colpo basso alla magistratura, di poter con una sola giocata dividere le toghe dalle divise e assegnare un colore politico agli apparati della sicurezza.
Va ringraziato il procuratore di Napoli. Agostino Cordova, come gli capita spesso, voleva difendere soltanto se stesso e la sua rispettabilità di toga indipendente da ogni attenzione politica, unico uomo capace di «ripristinare la legalità» in una città disgraziata. Per l´eterogenesi dei fini, quel che ne è venuto fuori si può sintetizzare così: l´affare napoletano mette in discussione il diritto fondamentale a non veder minacciata la propria libertà personale se non in forza di una legge e di un provvedimento motivato; isola la magistratura, la separa da un apparato di sicurezza che potrebbe cedere alla tentazione di interpretare se stesso come braccio dell´esecutivo e non come articolazione dello Stato. Ecco l´energia distruttiva nascosta nelle pieghe del «caso Napoli».
Ce ne è a sufficienza per dirsi preoccupati. E tuttavia non è questo tentativo del governo (complice un procuratore furbissimo e ambiguo) a preoccupare di più. Quel che inquieta è l´assoluta impotenza di ogni opposizione politica e sociale che lascia campo aperto all´incultura della maggioranza, ad un´idea «selvaggia» della democrazia. E´ un´opposizione che appare stordita, smarrita, muta anche di fronte al dovere di difendere i principi fondamentali dello Stato di diritto (habeas corpus, separazione dei poteri, indipendenza della magistratura, senso dello Stato di un´istituzione essenziale come la polizia). Appena l´altro giorno, un leader del centro-sinistra tra i più sapienti, come Luciano Violante, ha affermato come se fosse un´ovvietà che «chi sbaglia deve pagare, poliziotto o magistrato che sia». Come se abusi minacce e pestaggi di un poliziotto (quel poliziotto, in quel luogo, in quel giorno e non la polizia in tutte le occasioni) potessero essere paragonabili a una richiesta di custodia cautelare di un pubblico ministero e alla decisione di un gip che trova il suo contrappeso nelle valutazioni del tribunale del riesame e nel vaglio della Cassazione. Per farla breve, nella fisiologia del processo.
Bisognerà riflettere se non è proprio questo il nocciolo del «caso Napoli»: la possibilità di istruire processi a carico di soggetti forti. Siano essi colletti bianchi, pubblici amministratori, pubblici ufficiali o amici del Re. Incredibilmente, il Tribunale del riesame di Napoli si troverà domani a dover prendere una decisione che può definire una nuova idea di ordine sociale e giuridico.
Guardate quante domande cercheranno risposta: si può trattenere abusivamente in una caserma un cittadino? Si può chiedere l´arresto di un pubblico ufficiale che abusa del suo potere? Un procuratore può chiedere alla politica sostegno contro magistrati del suo ufficio? E´ il Parlamento o il Csm a decidere della correttezza e dell´efficacia del lavoro del magistrato e della sua sede? La polizia deve dipendere per le indagini giudiziarie dal pubblico ministero o dall´esecutivo? Troppo per un Tribunale del Riesame che dovrà giudicare la responsabilità personale di un pugno di poliziotti (e non della polizia). Troppo poco a quanto pare per una politica senza più voce, senza più parole, senza più coraggio.