Repubblica, 14/04/2002 Le mirabili acrobazie
del ministro del Tesoro
Tensioni sociali e
riforme al palo: per gli industriali quest'ultimo anno è
stato magrissimo
di EUGENIO
SCALFARI
A Parma gli industriali -
o meglio alcuni imprenditori che ragionano col cervello e
non solo con le viscere - hanno provato a presentare
qualche conto al presidente della Confindustria e al
governo. In particolare al ministro del Tesoro per le
poche cose malfatte e per le molte non fatte. Ci hanno
provato abbastanza seriamente se è vero che Tremonti,
abituato a sentirsi lodato dal padrone e dai portaborse
del padrone, l'ha presa molto male e ha fatto il gesto di
abbandonare il convegno in preda a un attacco di ira
funesta. Poi, più saggiamente, ci ha ripensato ma il suo
discorso non ha convinto e gli applausi sono stati di
circostanza.
Stesso trattamento ha avuto Maroni, mentre applausi da
stadio sono stati tributati a Fini e - sia pure più
contenuti - a Berlusconi, venuto apposta per rinverdire
il trionfo di un anno fa. Il trionfo non si è ripetuto,
ma la cambiale in bianco è stata rinnovata almeno per un
altro anno. Poi si vedrà.
La Confindustria del resto ha un bel po' di gatte da
pelare in casa propria e un collateralismo eccessivo come
quello dell'anno scorso non se lo può più permettere.
Alla base dei problemi che l'affliggono ce n'è uno che
è il più importante di tutti: la piccola industria non
ci si ritrova nelle diagnosi dello staff confindustriale
e quindi scalpita. Quanto alla media e medio-grande,
quella ha sempre gestito i suoi affari direttamente e
oggi più che mai, sicché D'Amato è costretto a
barcamenarsi tra scogli e correnti.
Può essere interessante capire le ragioni del malumore
della piccola industria anche perché il disagio si
esprime di solito sottotraccia e in Confindustria fanno
di tutto per diplomatizzarlo.
Le ragioni sono queste: volevano una detassazione forte,
una forte decontribuzione, un rapido miglioramento dei
trasporti e dei servizi pubblici; il tutto come da
solenni promesse più volte reiterate prima durante e
dopo la vittoria berlusconiana del 13 maggio. Undici mesi
dopo, il bilancio è magro, anzi magrissimo.
Infrastrutture e trasporti sono fermi al palo, non si è
aperto un solo cantiere.
Detassazione e decontribuzione sono state rinviate alle
cosiddette calende greche; la pace sociale è a rischio,
le quote dell'immigrazione concesse col contagocce, la
competitività con la concorrenza estera non è
migliorata neppure di uno zero virgola. Un tempo si
ricorreva alla svalutazione della lira; oggi bisogna
conquistarsela con l'innovazione o con l'abbassamento
drastico delle imposte e dei contributi o con salari
sotto ai minimi; ma l'innovazione costa, il taglio
fiscale non arriva, i servizi continuano a fare schifo e
quanto al salario sotto al minimo c'è molto e molto da
discutere. E volete pure che i piccoli imprenditori in
queste condizioni siano contenti? La cosa più grave di
tutte è che il governo non ha un quattrino. Aveva
promesso mari e monti, sembrava che il problema dei soldi
non esistesse, infatti nessuno ne parlò. Adesso la
verità è venuta a galla tutta insieme: i soldi
necessari per mantenere le promesse non ci sono, le casse
del Tesoro sono vuote anzi sono in deficit per miliardi
di euro. "Dateci tempo" ha invocato Tremonti a
Parma. Il ministro del Tesoro punta tutto sul tempo
sperando che nel 2003 la congiuntura l'aiuterà. Può
darsi che accada, chissà. Ma se pure accadesse basterà?
Però anche gli industriali malcontenti una qualità
gliela dovrebbero riconoscere al ministro del Tesoro:
nella gestione del Bilancio è un acrobata, un funambolo
formidabile, un magnifico prestidigitatore al gioco delle
tre carte. L'esperienza acquistata nel mettere a posto i
bilanci aziendali dei suoi clienti quando faceva il
fiscalista l'ha trasportata in blocco in via XX Settembre
e funziona, accidenti se funziona. Ne abbiamo visto
alcuni mirabolanti esempi nel decreto-legge approvato
giovedì dal Consiglio dei ministri. Talmente mirabolanti
che il grosso dei media l'ha accolto come un miracolo e
l'ha ricoperto di applausi. Il presidente del Consiglio
(che probabilmente non ci ha capito niente) si è
congratulato. C'è da dire che l'ottimo Tremonti aveva le
spalle al muro: un andamento di cassa preoccupante, una
crescita del Pil ancora stimata al 2,3 per cento mentre i
calcoli più ottimistici lo danno per il 2002 a non più
dell'1,5; un rapporto disavanzo/Pil ufficialmente ancora
fisso sul bello stabile a 0,5 mentre il Fondo monetario
già lo colloca all'1. Infine la sollevazione di tutti i
ministri della spesa contro il ventilato blocco dei fondi
globali di bilancio al di sopra del tetto del 40 per
cento.
Questo provvedimento, che era il solo idoneo a rimodulare
lo sfondamento della cassa avvenuto nel primo trimestre e
proseguito in aprile, è stato tolto di mezzo per non
provocare una sollevazione. Ritoccare la fiscalità
generale era escluso per un governo nato per tagliare le
tasse che finora sono invece aumentate. La stretta
contenuta nel decreto produrrà in tutto un risparmio di
675 milioni di euro, per tre quarti a carico dei prezzi
farmaceutici: bazzecole. È stato chiesto al Ragioniere
generale dello Stato: è una manovra o una manovrina? Ha
risposto: è un provvedimento come un altro. Monorchio ha
ragione, 1300 miliardi di vecchie lire per fronteggiare
uno sfondamento di cassa dell'ordine di circa 70 mila
miliardi fanno ridere.
Ma ecco dove rifulge il genio del funambolo: quel
disavanzo sarà cancellato senza lesinare un soldo ai
colleghi del governo, senza tagliare una sola spesa
(salvo un po' di Sanità), senza metter le mani nelle
tasche dei contribuenti. Così, con alcuni giochi di
prestigio mozzafiato. Vediamoli.
La Cassa Depositi e Prestiti è un'istituzione antica e
rispettabile; amministra il risparmio postale e lo
remunera con bassi tassi di interesse; lo impiega a
favore degli enti locali per finanziare lavori e opere
pubbliche ordinarie. Esiste dall'epoca di Giolitti.
Nessuno finora aveva pensato di utilizzarla per
operazioni di alta acrobazia, Giulio Tremonti non era
ancora nato, ma adesso c'è. Tremonti c'è, come Dio, e
Dio ce lo conservi. Che cosa ti pensa il Tremonti? Fonda
una società, di totale proprietà del Tesoro. La chiama
"Patrimonio Spa". Conferisce ad essa l'intero
patrimonio dello Stato, quello iscritto nel Rendiconto
generale della contabilità. Di che cosa si tratta?
Edifici, palazzi, monumenti, musei, statue, dipinti,
miniere, brevetti, proprietà demaniali, spiagge, ed
anche crediti e partecipazioni. Totale a valore di libro:
946 mila miliardi di vecchie lire.
Questa roba non frutta, ovviamente, una sola lira anzi un
solo euro. E come potrebbe? Bisognerebbe forse affittare
o vendere il Colosseo o Palazzo Chigi o i litorali del
Bel Paese? Nel Conto generale dello Stato il patrimonio
in qualche modo valorizzabile è stimato in 138 mila
miliardi cioè 71 miliardi di euro, oltre a crediti e
partecipazioni che però fronteggiano un passivo
patrimoniale ben altrimenti superiore. Quisquilie per il
nostro acrobata. Secondo lui il fatto stesso che quegli
asset patrimoniali siano sottratti alla contabilità
dello Stato e trasferiti ad una Spa di proprietà del
Tesoro produce un'automatica valorizzazione di quattro
volte, ed ecco che la società "Patrimonio Spa"
sotto le ali della Cassa Depositi e Prestiti vanterà
cespiti pari a 2 mila miliardi di euro, cioè a 4 milioni
di miliardi di lire. Fantastico.
Pare che, firmato il decreto a Palazzo Chigi, siano state
sturate bottiglie di spumante per festeggiare una così
insperata moltiplicazione dei pani e dei pesci. Ma a che
cosa servirà questo gioco di prestigio? Secondo
Tremonti, a breve termine, l'immenso patrimonio finora
inerte potrà dare un reddito medio del 2,5 per cento (in
che modo non si sa). Su questo reddito la
"Patrimonio Spa" (cioè la Cassa Depositi e
Prestiti, cioè il Tesoro) pagherà al fisco imposte che
secondo i calcoli del ministro accresceranno del 5 per
cento gli incassi. In realtà se questa fumisteria si
avverasse il Tesoro pagherebbe l'imposta al fisco; si
tratterebbe cioè di una partita di giro, ma essendo la
[ab]Patrimonio Spa[bb] fuori dalla contabilità generale
dello Stato, dal punto di vista formale il fisco
registrerebbe un'entrata sostanziosa che alleggerirebbe
il disavanzo ed anche il rapporto disavanzo/Pil. Non so
se mi sono spiegato. Ma c'è di più e di meglio.
La "Patrimonio Spa", così dispone il decreto,
potrà anche effettuare operazioni di cartolarizzazione,
cioè emettere titoli garantiti dal patrimonio e
scontarli presso il sistema bancario. Così come intende
fare il Tesoro con gli immobili dell'Inps e di altri enti
pubblici nonché con i futuri ricavi del Lotto. Si tratta
naturalmente di titoli a lungo termine garantiti dallo
Stato. Per le banche è una manna: impiegano danaro a
buoni tassi e sono garantiti. Alla scadenza si vedrà: se
il patrimonio fosse rimasto inerte il Tesoro dovrebbe
comunque rimborsare il debito. Arrivederci dunque tra
dieci o vent'anni, se ne occuperanno i nostri figli e
nipoti; ma intanto entreranno soldi in cassa, dei nipoti
chi se ne frega?
Non basta: oltre a "Patrimonio Spa" il decreto
prevede la nascita di una seconda società dal nome
"Infrastrutture Spa" , di proprietà al cento
per cento della Cassa Depositi e Prestiti. Servirà ad
avviare il finanziamento delle grandi opere pubbliche
senza che se ne debba dar carico il bilancio dello Stato.
Chi darà i soldi a "Infrastrutture Spa"? Le
banche naturalmente, col solito sistema:
"Infrastrutture Spa" emetterà titoli garantiti
dalla Cassa; le banche e i loro clienti li compreranno ed
ecco risolto il problema: finanziare i lavori pubblici
con fondi "sotto la linea" , cioè al di fuori
della contabilità pubblica. Bruxelles sarà contenta
(?), lo Stato dà garanzia ma essa non figura in
contabilità, il debito pubblico aumenta invece di
diminuire ma l'aumento non appare nel bilancio. Se va
male anche qui ci penseranno figli e nipoti.
Per essere un governo che si preoccupa soprattutto del
futuro dei giovani non c'è male, non c'è proprio male.
Del resto, non stiamo noi pagando le immense sventatezze
compiute dai governi degli anni Settanta e Ottanta che
hanno accumulato una gigantesca montagna di debiti? E
allora è giusto che figli e nipoti paghino i
funambolismi finanziari compiuti negli anni Duemila e
ogni generazione porti il suo fardello. Mi sarei
aspettato che la Banca d'Italia lanciasse almeno un
segnale d'allarme; in fondo la Cassa Depositi e Prestiti
la riguarda molto da vicino poiché questa
moltiplicazione dei pani e dei pesci si costruisce sul
risparmio postale, cioè quello in genere della povera
gente. Ma Fazio si sarà distratto su qualche lemma di
Tommaso d'Aquino e quindi non avrà ancora avuto il tempo
di studiare il decreto Tremonti.
Così, mentre si cazzeggia di vari argomenti, il governo
vara una gigantesca "Fregatura Spa" . !E er
popolo?" scriveva il poeta. "Se gratta / e
guarda la Fregata che sur mare sfavilla" .
Post scriptum. Poiché i risultati di questi giochetti
prenderanno comunque un certo tempo, per far fronte a
bisogni più immediati se ne stanno escogitando altri che
daremo non appena ne avremo certezza. Uno però possiamo
già anticiparlo: il Tesoro pensa di farsi dare dalla
Banca d'Italia una parte delle riserve in valuta estera
per poterle utilizzare a favore dei programmi di opere
pubbliche. Niente da dire sulla buona intenzione, del
resto le riserve in valuta servono ormai a poco dopo
l'ingresso della lira nell'Euro. Ma ecco un'altra trovata
di finanza creativa.
Bisogna andarci con molta prudenza su queste creatività
che alla fin fine metteranno fuori bilancio tutto in modo
che nessuno sia in grado di controllare più nulla.
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