Let's talk about weather
Le nuvole hanno coperto il sole, i colori delle cose
si sono abbassati di un'ottava, tutt'a un tratto. Gli umori del tempo che cambiano
la configurazione esterna del divenire sono gli stessi che cambiano quella interna.
Nel mio animo c'è questa evidenza che separa - come
appartenenti a due dimensioni inconciliabili - le immagini di questo scorcio
di pianeta quando è soleggiato e quando invece è ombreggiato,
quando rifulge dell'abbraccio invadente del sole e quando invece n'è
abbandonato.
Metto la giacca, prendo le chiavi e m'inoltro in due mondi
diversi.
Potrei stare vivendo le vite di due esseri, che percorrano
sincronicamente gli stessi percorsi. Qual è quella parte di noi che,
permanendo, ci permette di indicarci come indubitabilmente noi, noi di certo,
noi e basta?
Di sicuro non quella che presiede agli umori.
Quando l'umore cambia per via interna, ovvero a causa
di un pensiero o di una interpretazione, abbiamo la sensazione di seguire quel
filo. Pecorriamo quel sentiero ben vigili a sovrintendere ogni minimo spostamento
d'aria e controllando il ritmo dei passi.
Poi giungiamo ad un'acquisizione che ci rallegrerà
o intristirà.
E diciamo: sono stato io.
Ma se procediamo circumnavigando dall'esterno gli eventi
delle nostra vita, come osservandola attraverso le vetrate continue e traslucide
d'un edificio sferico, vedremo il nostro corpo reagire a stimoli che non capiremo
e di cui ci sfuggirà portata e identità.
Guardare il cielo in uno di quei rapidi passaggi d'umore
è un po' lo stesso.
Stavamo andando ad un incontro d'amore; i raggi gioiosi del
mattino ci hanno accompagnato durante la colazione, le abluzioni, la rasatura,
la piacevole scelta degli abiti. Vi sono finestre in ogni stanza e in ogni angolo
confiniamo con la realtà; non c'è meandro del nostro umore in
cui le ragnatele nascoste della nostra indole non possano essere baciate dalla
luce.
Poi, mentre ci infiliamo i calzini, il sole cambia espressione.
Le pareti da gialle si fanno grigie, la strada che dalla finestra ci attirava
magneticamente adesso sembra un reperto neolitico buono per altre occasioni.
C'è qualcuno che vi aspetta da qualche parte, sì ma dove? e
perché?
Il fatto che sia giorno - e non ancora notte - appare quasi
innaturale; è un lusso inutile vedere in prospettiva, è una splendida
angoscia il fatto che non piova ancora.
E non c'è vento; ciò rende la visione ancora
più salda, e paga della sua fermezza.
Se semplicemente invitaste lei a casa vostra, a stare sul balcone ad osservare il giorno - tutto il giorno - scorrere via, traslare nella notte osmotizzandosi per silenziosi attimi invisibili? Vi piacerebbe avere la possibilità di guardar qualcuno che fa la stessa cosa che fate voi, e vi piacerebbe che quel qualcuno guardasse voi fare ciò che sta facendo pure lei. E' un'enorme presunzione, in fondo, star fermi nella propria unicità.
*Vedremmo* così gli enormi istanti senza suture o
bordi che - pure - tutti insieme e senza richiedere attenzione ci porteranno
alla fine del giorno.
Allo stesso modo in cui ci si concentra sul respiro, noi potemmo
concentrarci sulle visioni, sui colori. Potrebbero essere loro a dare andatura
al tempo.
E perché poi non arriviamo mai alla notte trionfalmente,
sapendo di avere acquisito altro spessore, di avere accresciuto l'anima di tempo,
che poi è quanto già eravamo?
Quando il sole va via all'improvviso, cogliendoti al culmine delle tue attività umane e svelandone la casualità dietro alla determinazione, capisci che il lavoro di esistere è più dolce dal di fuori. Lì sei uguale a ciò che vedi, e a ciò che senti, e riesci a riappropriartene.