La verità, vi prego, sull'amore.
Non
è per bisogno di spiritualità che scrivo di te.
Credo che il bisogno sia appunto la percezione cosciente della
mancanza. E mi sa che non basta a garantirsi requie, né per questa notte
né per le prossime. Al contrario, mi piace pensare a quest'indigenza
come ad un sordido tormento, un'irritazione delle ossa che non è mai
sufficiente grattare.
La mia scrittura è questo tentativo di sopprimere il
prurito dei fondali, annientare ogni forma di vita con lo scherno del già
detto, con la consunzione dell'aura e la maieutica del ridicolo ch'è
in ogni significato.
Di ritrovare i gioielli della sala del tesoro sottratti un
dì immemorabile non con l'astuzia, ma con una mera azione di forza. Ritrovarli,
quei tesori, e chiuderli nella più blindata delle casseforti, e nascondere
la chiave in un luogo la cui mappa farò a pezzi, nascondendo ogni pezzo
in un anfratto della mia ossessione.
E tu c'eri, fra quei tesori, tu che mi dormi accanto, miserabile,
forma fra le forme, immagine fra le immagini, e la tua luce era più forte
ed evidente, la tua voce più sottile e seducente, le tue fattezze le
più fini fra tutte.
Non merito tuo, non frutto d'un felice guadagno. Semplice
fortuna di nascere più bella dei tuoi genitori e della tua stirpe tutta.
A quella copula deve aver partecipato Giove, celato da uno spiffero d'aria e
dal buio.
Era quel rifulgere che attirò la mia odiosa attenzione
su di te, questo contravvenire alle regole di parità ch'avevo fissato
fra gli stimoli d'una vita indistinta e ridotta alla durata dalla sua fine.
Decisi che non potevo non amarti, e decisi che il mio amore
avrebbe interrotto il tuo impetuoso ed arrogante fiorire.
Sciocca
cedesti alle mie lusinghe, e senza che ricorressi ad astuzie cadesti fra le
mie braccia. Richiusi il mio mantello notturno su di te e ti profondai fra coltri
d'oblìo, alla distanza larga in cui il suono della tua voce non fosse
più udibile da anima viva fuorché dalla tua svanente stessa.
Ma ci si sbaglierebbe a credere che io abbia in qualche modo
operato violenza su di te, o abbia fatto alcunché di diverso da ciò
che era già inscritto nella tua e mia natura.
Perché io conoscevo le parole, e tu il loro suono.
Io conoscevo la tua anima, e tu la tua volontà. Non dovetti far altro
che assecondare ciò che potevo controllare.
L'amore del cui suono riempivi le stanze e imbrattavi le pagine
del tuo diario strinse attorno a te le mie catene.
E no, non è per bisogno di spiritualità che scrivo di te.