Disegni di vapore

 

Cosa era rimasto da sapere?
Guardavamo con occhi grandi la strada sottostante, grande arteria di grande città. I vetri erano sporchi di pioggia sporca ormai asciutta. Anche noi ci sentivamo asciutti, ma anche al riparo, ed elevati.

Poggiavamo la fronte sulla finestra, trasferendo piccole tracce di unto fra noi e la lontananza brulicante della sera che scendeva. Erano forse pensieri? E li disegnavamo sul vapore del nostro respiro.
La casa che avevamo in affitto era silenzio.
La chiamavamo nostra, ed era silenzio, un silenzio polveroso, sorretto dal brusìo monotono del frigorifero. Era il suono degli yogurth in barattolo, delle confezioni di olive già snocciolate, dei dadi vegetali.

C'era una sera, che nasceva. Poi sarebbe venuta la notte. Tu ed io, io e te. E la casa.
Il cielo ad un palmo, il mondo giù, a svariati metri che per noi erano la semplice pressione del tasto più alto dell'ascensore. Ricordi la felicità di aver trovato libero proprio l'ultimo piano? Nel palazzo più alto di tutta la zona.
Nessuna vista ci sarebbe stata preclusa. L'orizzonte libero, il comfort silenzioso di un attico dei sogni, il nostro amore. I led luminosi di un lettore cd avrebbero sparso il Bach di Gould nel soggiorno panoramico.
Insieme avremmo pianificato tutto il futuro. Sì, certo, con tutti gli imprevedibili accidenti messi in conto. Ciò che fino ad allora era stata la nostra vita, il nostro passato comune, si sarebbero poggiati sulle cose, sugli oggetti, dando loro un colore, e la profondità di un ricordo. Di figli era sempre troppo presto per parlare. Ma eravamo d'accordo.
Un patto di ferro, tacito.

Il futuro sarebbe arrivato. Avremmo potuto dubitarne?
Tutto era predisposto. Ogni cosa aspettava un nostro cenno per condurci innanzi.
Dal pigiare l'interruttore dell'alogena, al metter sù l'acqua per la pasta, o forse anche vedere un film alla tv o magari in cassetta, sul divano che scegliere era stato uno dei giorni più belli della nostra vita insieme.
Eppure noi indugiavamo con lo sguardo sulla finestra, e facevamo silenzio in noi per carpire in lontananza il suono dei circuiti elettrici del frigorifero.
Era come auscultare i battiti segreti di un cuore. Il cuore della nostra casa. I nostri cuori, con il loro passato, le loro aspirazioni, i loro sogni.
E sì, certo, i loro vasetti di yogurth, le loro confezioni di olive già snocciolate, i loro dadi vegetali.


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