transience blues

   Domenica suona come Risveglio; si sfila lentamente dagli arborei legacci della gravità senza smuovere il letto su cui ancora dormi, indossa pantofole di pezza e scivola via sulla polvere dei corridoi, quando ragnatele di luce indicano il percorso e il maggior numero fra i cirri d'ottobre ha umidi bordi di vetro scheggiato.
   Più giù, ampi vuoti fra le nuvole mi danno il 50% di chances per la consueta passeggiata in bici.
   Superata la timidezza della finestra sull'aria frizzantina delle 7 in punto, un respiro profondo e lento e capisco che posso far mie entrambe quelle metà. I buchi del cielo si spostano più veloci dei pieni. Forse pioverà, forse no.

   E' un dolce inquietudine quella che ti manda in strada; essere nati, anche solo per una Domenica Mattina di fine Settembre, aver attraversato un ciclo di reincarnazioni e far meta per il prossimo pedalando sù per i colli cittadini, fino a che il fresco sulla pelle si trasforma in omogeneità con lo spazio e l'aria è tutti i corpi, ancora umidi della pioggia notturna, che cantano profumi segreti.
   Il tempo li ha pazientemente macinati, e li diffonde da piccole crepe dei muretti a secco.
Sarei potuto essere chiocciola, o fungo; ma meraviglia delle meraviglie, io pedalo, ascendo al mio monte ventoso riproducendo, con il mio ciclo, il ciclo del giorno, quello delle stagioni, quello dell'anno e poi quello degli universi.
   Le gambe procedono ad agio nella sicurezza di un circolo sempre identico e che nel miracolo di questa téchne ha trasformato il simbolo rotatorio del tempo in movimento rettilineo, viatico ad ogni avventura.

   Ma ogni moto diritto prima o poi torna indietro, pur proseguendo; nell'oltre riaffiora il già stato, il tepore dell'andata è la pioggia battente del ritorno, la strada torna a rassomigliare ad un'infanzia; e la felicità è solo quel tornare, con un tesoro in tasca o ancora impresso negli occhi.
   Nulla vi si compara, e nulla può rinunciare al proprio buco da chiamare casa; tutto forse ha quel buco, tutto riparte, fosse anche dalle prime luci dell'alba o anche solo da sé.
   Quel mio mancare e poi arrancare sotto ettolitri di pioggia cela una sua perfezione.
   E' il buco, è la casa a cui ritorno.
   Le strade la domandano, i boschi che lasciavano echeggiare il sole adesso frusciano sinistra alterità. Le fronde accumulano e poi mi precipitano acqua gelida sulla testa.

   Quando la piogia diventa diluvio, in vista di nuovo della città, mi fermo sotto una pensilina dell'autobus.
   E insieme ad un altro ciclista, una vecchietta ed un tipo con un dobermann al guinzaglio attendo di tornare a casa, alla mia notte dei tempi, al più tiepido degli oblìi possibili.


 

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