la torretta di guardia
Stagliata su una coltre di luce cieca, circa trecento metri oltre i vetri della
mia finestra, c'è una fortezza dismessa; un vecchio muro dai caratteri
ancora facilmente riconoscibili.
E' in alto, appisolata sul punto più alto della collina.
Delle crepe la tagliano verticalmente, zigzagando fra buchi, misti fra volontari
e involontari, ovvero quelli che il tempo ha tracciato per mano dell'uomo oppure
dei suoi elementi più diretti.
Si direbbe che prenda il sole, oggi che per sbaglio s'insinua fra analoghi buchi
di nuvole e fa breccia nella mia attenzione col riverbero di mattoni giallastri
che sembrano essere sempre esistiti.
Non conosco l'età dell'edificio, ne ignoro la storia, e seppur ne presuma
identità e funzione, ciò non basta a farmela sistematizzare nel
grigio consueto dei suoi dintorni, che sono alberelli sparuti, e più
giù, rovine di case assortite fra abbandonate e di recente costruzione.
Poi, ancora più giù, una legnaia.
Sento il suono di un martello su del legno. Poi sento il silenzio della fortezza.
Guardo la sua piccola torretta di guardia aggettante dall'estremità che
è rivolta verso la città. E' vuota, come aspettavo che fosse,
come ho sempre immaginato essere sempre stata.
Da lì intravedo la finestra della mia stanza.